Ritiro della Vita consacrata
Dopo l’Adorazione e la preghiera dell’Ora Media, domenica 3 aprile, presso il Convento di S. Antonio, padre Maurizio ci ha parlato della virtù della giustizia, la quale va al cuore del rapporto umano con Dio, con l’altro e con se stessi.
“La giustizia è la virtù morale che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. La giustizia verso Dio è chiamata «virtù di religione». La giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l’armonia che promuove l’equità nei confronti delle persone e del bene comune. L’uomo giusto, di cui spesso si fa parola nei Libri Sacri, si distingue per l’abituale dirittura dei propri pensieri e per la rettitudine della propria condotta verso il prossimo. «Non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia» (Lv 19,15). «Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo» (Col 4,1).” (CCC 1807)
Non si è giusti quando si fa una cosa giusta ogni tanto ma quando la giustizia è costante e ferma: decido cioè di essere giusto. È una virtù relazionale: tutti siamo chiamati a essere autentici nelle relazioni.
Senza la giustizia il mondo morale precipiterebbe nell’inferno del disordine. Ciò che si cerca di ottenere con la giustizia è l’armonia. Bisogna sempre tener presente il bene comune. Quando si sa dosare un intervento giusto si crea bellezza; ad esempio la bellezza dell’ordine di una stanza messa in ordine: c’è equilibrio, armonia, pace. Quando c’è giustizia c’è pace. Essere giusto è corrispondere ciò che si deve a sé, agli altri, a Dio il quale va sempre ringraziato, lodato, benedetto.
Cosa devo cambiare in me per essere veramente uomo?
Cosa c’è nella vita che mi disumanizza?
Cosa posso fare perché chi mi sta accanto possa esprimersi al meglio nella sua umanità?
Come posso promuovere il fratello/la sorella?
Corrispondo a ciò che si deve a Dio?
Lodo e ringrazio sempre Dio, cioè Colui che mi ha dato la vita?
Sono uomo? Allora sono chiamato a essere pienamente uomo.
Sono frate? Allora sono chiamato a essere pienamente frate.
Sono padre? Allora sono chiamato a essere pienamente padre.
Come posso calcolare cosa è giusto? Con la regola? Con la norma? Con l’amore!
La giustizia è ciò che rende la carità attiva e operante. Il giusto con l’amore misura ciò che manca, con la carità consegna ciò che ha misurato.
In che consiste l’amore? L’amore è Gesù Cristo. Gesù è lo strumento di misura. E’ figlio dell’uomo pienamente giusto in sé, pienamente perfetto. Lui è il metro di valutazione.
Giustificare vuol dire rendere autentici. Con la giustizia aiutiamo le persone a essere autentiche, a essere quelle che sono, a esprimere quello che sono e i loro talenti. Un laureato in ingegneria, ad esempio, lo si aiuta a trovare un lavoro di ingegnere perché esprime così quello che ha studiato e quello che è. Gli scribi e i farisei invece non esprimevano ciò che erano; rispettavano la legge ma formalmente volevano apparire giusti anche se non lo erano.
Quando si subisce ingiustizia nel cuore si nutrono sentimenti di rivalsa, non di giustizia: di pareggiare i conti. Quando mi riconcilio con la mia storia allora posso parlare di essere giusto. Il mondo invece è pieno di giustizieri, non di giusti. La rabbia mi dà il passaporto per l’ingiustizia. Quando mi riconcilio con la mia storia posso invece essere giusto.
Cosa fare quando si è arrabbiati?
- fai sbollire la rabbia;
- ti riconcili;
- metti al centro Gesù e gli chiedi: cosa devo fare?
Praticare la giustizia è avere a cuore la fama della persona accanto, è evitare le detrazioni, i favoritismi dovuti alle simpatie, è avere un’attitudine di cura verso la vita.
Da noi cristiani cosa si aspettano le persone? Che abbiamo fede!
Essere giusto vuol dire essere pienamente se stessi.
Se credi che Gesù sia risorto perché vivi con attaccamento le cose di questo mondo?
Alla virtù della giustizia si oppone il vizio della avarizia, la quale è incapacità ad amare. E’ un continuo vivere in miseria per paura della miseria. La povertà ci rende liberi, la miseria ci rende attaccati e ci porta all’incapacità di amare.
L’avaro, come tutti i peccatori, è fondamentalmente un malato spirituale, in questo caso tormentato dallo spettro della scarsità. Non vuole come comunemente si pensa, arricchirsi alle spalle degli altri ma piuttosto teme che il dare qualcosa a qualcuno possa rovinarlo, possa turbare il fragile equilibrio psicologico su cui basa la sua idea della realtà. Così, chi vive nell’avarizia, vede il male dove non c’è alcun male, travisa la generosità con la stupidità, scambia disponibilità con l’opportunismo e vede il successo altrui come il risultato di illeciti e di macchinazioni. E’ ansioso, perché se gli togli quella cosa non sa più che fare.
L’avarizia non è da confondersi con l’avidità; mentre l’avido è colui che desidera accrescere il proprio “possesso”, l’avaro è concentrato nella conservazione meticolosa di ciò che ha. L’avarizia non consiste nell’avere molti beni. E’ piuttosto la brama e l’avidità di possesso che indurisce il cuore e porta alla presunzione di autosufficienza, di bastare a se stessi e di non aver bisogno di nulla.
La ragione che fa dell’avarizia un vizio non è tanto mostrare una cura speciale per il denaro e le cose in genere, ma che esse vengono a rivestire un valore simbolico spropositato.
L’avarizia ha in se un aspetto religioso: il denaro fornisce l’illusione di essere onnipotenti, le ricchezze sostituiscono la funzione di tutela da parte di Dio.
Conseguenze dell’avarizia sono:
- la perdita della gratuità e del senso dell’esistere;
- conservi, conservi poi alla fine cosa ti porti? Alla fine solo Dio resta! Per vivere nella libertà bisogna distaccarsi dalle cose altrimenti non si è mai liberi, si è sempre ripiegati su se stessi;
- costante tristezza di non trovare quello che si cerca. Cerca sempre qualcosa l’avaro ma quello che cerco io non mi rende felice.
L’avaro sa anche giustificare, motivare quella cosa che fa. L’avaro poi non sa scegliere. Per prendere una decisione giusta allora dobbiamo uscire dalla situazione, guardarla con il giusto distacco e poi decidere. L’avaro mette pure alla prova.
Cosa fare contro questo vizio?
- Non sottovalutarlo. “Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni” (Lc 12, 15);
- Ricordarsi l’origine dei suoi beni. “Non accumulate i tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano, accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6, 19-21);
- Ricordarsi il fine dei beni. “Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità. Pertanto, quali che siano le forme della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli secondo circostanze diverse e mutevoli, si deve sempre tener conto di questa destinazione universale dei beni. L’uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri.” (Gaudium et spes n. 69);
- Praticare la sobrietà. “Volete davvero essere ricchi? Lo siete già, se avete la fede e vi accontentate. Dopo tutto, quando veniamo al mondo non ci portiamo appresso niente; e neppure possiamo portare niente con noi, quando moriamo” (1Tim 6, 6-7);
- Esercitare la fiducia. “Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio” (Lc 12, 20-21);
- Praticare la generosità. “date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi” (Lc 6, 38).
- Ricordarsi dei poveri. “La verità è un’altra: sotterrando il tuo oro, tu in realtà hai sotterrato il tuo cuore … Tu non conosci che una parola: “Non ho nulla, non ti do nulla perché sono povero”. Sì, tu sei povero, non possiedi alcun bene: sei povero d’amore, povero di bontà, povero di fede in Dio, povero di speranza eterna” (Omelia sulla ricchezza di San Basilio di Cesarea)
- Meditare sulla croce. La contemplazione della Croce ci guarisce da un attaccamento smisurato ai beni terreni e ci salva dalle cupidigie sbagliate. Essa testimonia della infinita liberalità di Dio: donando la vita per noi, Gesù ha donato tutto “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15, 13)”.
Una storiella: “Una notte, un vecchio indiano raccontò a suo nipote una storia: «Figlio mio, la battaglia nel nostro cuore è combattuta da due lupi. Un lupo è maligno: è collera, gelosia, tristezza, rammarico, avidità, arroganza, autocommiserazione, colpa, risentimento, inferiorità, falso orgoglio, superiorità; è l’ego. L’altro è buono: è gioia, pace, amore, speranza, serenità, umiltà, gentilezza, benevolenza, immedesimazione, generosità, verità, compassione e fede». Il nipote, dopo averci pensato per qualche minuto, chiese al nonno: «Quale dei due lupi vince?». Il vecchio rispose semplicemente: «Quello che tu nutri».”
E noi siamo andate a nutrirci di Gesù nella S. Messa che è tutto ciò che si può desiderare, sognare, sperare.
di Angela Di Scala