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Krajewski a Kiev: la Via Crucis dove la guerra ha lasciato i suoi morti

Il cardinale elemosiniere ha consegnato il 14 aprile scorso la seconda ambulanza donata dal Papa all’ospedale cardiologico della capitale ucraina e con il nunzio ha vissuto il rito del Venerdì Santo nelle zone più segnate dalla crudeltà del conflitto

Salire il calvario ucraino, dove le stazioni sono segnate da carcasse di mezzi da combattimento, case sventrate, corpi senza sepoltura. Lo scempio della guerra, che troppe immagini televisive hanno mostrato nella sua crudezza impietosa, il cardinale Konrad Krajewski lo ha potuto constatare di persona poco fuori Kiev. Ed è lì, in quello scenario di desolazione che ha fatto il suo Venerdì Santo mentre il Papa lo ha celebrato al Colosseo.

L’elemosiniere, tornato per la terza volta in Ucraina, ha realizzato in questo modo uno degli obiettivi del viaggio, consegnare una seconda ambulanza, il simbolo con cui Francesco – ha detto – “bacia i piedi al popolo ucraino”. L’altro obiettivo è quello di trascorrere e condividere il Triduo e la Pasqua con chi vive la passione ormai da 50 giorni, sperando che ogni giorno sia un passo in più verso la resurrezione. Riportiamo l’intervista fatta al Cardinale giovedì 14 aprile.

Eminenza, questa mattina lei ha portato agli ucraini un nuovo dono del Papa. Com’è andata la consegna dell’ambulanza?

Tutto è andato molto bene, perché il direttore del più grande ospedale cardiologico di Kiev ha capito subito che simbolo fosse, non solo per la salvezza di vite, ma anche il simbolo della resurrezione possibile dell’Ucraina.

Abbiamo incontrato tanti medici e altro personale e il direttore, ringraziando il Papa per questo dono ricevuto nel giorno della commemorazione dell’Ultima cena – e dunque un segno del bacio del Papa ai piedi del popolo ucraino, del suo essergli vicino e soffrire con loro – ha detto parole che mi sono rimaste nel cuore. “Noi – ha detto – siamo medici e dobbiamo essere come il Buon Samaritano e operare non solo i feriti ucraini, la gente e i militari, ma dobbiamo aiutare tutti, anche i russi”.

Una cosa difficile per lui, operare interventi sapendo di avere davanti uomini che possono aver ucciso tante persone. Ma lui ha detto: “Questo significa essere medico, samaritano e uomo, nonostante l’amarezza del cuore e i sentimenti che uno ha dentro”.

Queste parole per me sono puro Vangelo: è duro, ma quando lo seguiamo, è bello come la primavera e tutto fiorisce. Ho imparato tantissimo da questo direttore, è valsa la pena viaggiare con l’ambulanza per migliaia di chilometri e ascoltare un direttore che ha parlato in questo modo di fronte a circa 150 medici. La sua è stata per me la vera “omelia” di oggi.

Che atmosfera ha trovato lì a Kiev, in particolare ora che è vicina la Pasqua?

Sembra che la città inizi a vivere, ma non è vero. Ci sono gruppi di assalto qui, le sirene che suonano e la gente che si nasconde. E poi basta uscire poco lontano da Kiev per trovare i segni più profondi della guerra, fino alle persone senza vita. Domani cercherò proprio di raggiugere questi luoghi e celebrare la Via Crucis, mentre il Papa la farà al Colosseo. Con il nunzio, in modo privato, faremo la nostra Via Crucis dove c’è la Passione vera di Gesù, dove la gente soffre e muore. Ma noi termineremo la Via Crucis con la stazione della risurrezione.

Sarà un Calvario da salire insieme con gli ucraini…

Esatto, così voleva il Papa: che stessi tutta la settimana per vivere il Triduo con gli ucraini. La presenza è il primo nome dell’amore. Il Papa ama dire che un prete dovrebbe avere “l’odore delle pecore” e per questo mi ha mandato qui: per stare tra la gente e non per fare le foto o per viaggiare, ma per stare e pregare.

Lei rimarrà fino alla Pasqua dunque?

Certo, e speriamo sarà la Domenica della Risurrezione proprio per questo Paese. Farò le celebrazioni in diverse Chiese. Dobbiamo ricordare che per la Chiesa ortodossa la Pasqua cade una settimana dopo la nostra Domenica. Dunque, qui il tempo si prolunga e possiamo, per così dire, celebrare due volte la Risurrezione di Cristo, anche se noi la possiamo celebrare in ogni Messa.

di Alessandro De Carolis

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