Commento al Vangelo Gv 21,1-19
Il tempo pasquale è tutto finalizzato a superare il dolore, ad abbandonare in fretta il sepolcro, cosa molto più difficile di quanto immaginiamo. È bellissimo il fatto che, domenica dopo domenica, la liturgia ci aiuta ad affiancare i discepoli in questo percorso.
Magari è successo anche a te che leggi, che la Pasqua non è stata un granché; per carità sei in cammino di fede, sì, credi che Gesù è risorto, ok, tanto piacere, ma cosa cambia nella tua vita? Cosa cambia se stai vivendo questo lutto, questo fallimento affettivo, questo senso di sconforto, questo dolore che non passa? Sappia che non sei il solo perché sei in compagnia di qualcuno molto importante: sei in compagnia di Pietro.
Pietro è stato senz’altro quello che ha fatto più fatica a convertirsi alla gioia della Pasqua e la ragione è molto semplice: non è riuscito a superare quel gigantesco senso di colpa, di fallimento, di incapacità che ha sperimentato lì nella casa di Caifa, quando si è reso conto di non essere capace nemmeno di riconoscersi tra i discepoli. Altro che roccia! Si è sgretolata sotto il pettegolezzo di una serva.
Questa cosa mi commuove; mi commuove il fatto che tutti (gli apostoli, le discepole, Maria Maddalena, Pietro, Andrea ecc.) hanno faticato a far entrare in loro la Pasqua perché anche io fatico, spesso vittima del mio vittimismo; spesso sono lì a lamentarmi, a dire che va tutto male, che la chiesa va male, che il mondo va male, che la mia vita va male e mi stupisce il fatto che Pietro abbia dovuto fare lo stesso percorso che anch’io devo fare.
È come se Pietro portasse nel suo cuore un dolore inespresso, una specie di senso di colpa insormontabile. Gesù è risorto, lui ci crede, ma è come se non fosse risorto per lui; è come se quella gioia non riuscisse a contagiarlo. Perciò oggi in questa bellissima terza domenica di Pasqua Gesù torna a farsi vedere a Tiberiade proprio per Pietro. Il Vangelo inizia con una delle frasi più tristi, la più triste nella classifica dopo Luca 24 (“noi speravamo che fosse lui a liberare Israele”).
Simone dice: “Io vado a pescare”. “Simone” dice il testo, il vecchio nome prima di incontrare Gesù. Cosa c’è di così triste? Amici miei, l’ultima volta che Simone è andato a pescare era tre anni prima, quando aveva lasciato tutto per seguire Gesù. è come dire ok, chiusa parentesi, finito il momento mistico della nostra vita, torniamo alle cose serie.
Mi commuove questo perché indica veramente la fragilità enorme di Pietro. Mi commuovono i discepoli che dicono veniamo con te, come una specie di sostegno in un momento difficile. Potessimo stare così vicino ai preti quando sono in difficoltà e sono in crisi. Vanno a pescare e, come spesso accade quando le cose vanno storte, la sfortuna viaggia sempre accompagnata. Così in quella notte non prendono nulla. Forse una bella pesca avrebbe tirato un po’ su il morale, ma così non avviene; e in questo clima al mattino tornano sulla riva. Immaginate quando voi avete investito tanto in una cosa e poi alla fine non funziona e arriva anche la disgrazia.
Tutti tacciono mentre sono lì a riassettare le reti, nessuno osa parlare. Immagino la scena, immagino questo clima veramente pesante, la sconfitta che continua a bruciare nel cuore di tutti. Ed ecco che arriva un camperista, arriva questo tale che comincia dire: “Ma avete preso niente?”. Immaginatevi la scena: arriva il rompiscatole di turno e tu devi far finta di niente.
Questo ti dice “prendete il largo e gettate la rete”. Io vedo plasticamente la scena, ci sono stato su quella spiaggia a meditare, vedo quel lago, vedo la luce del mattino, vedo i discepoli che sono chinati, Simone che alza la testa e guarda, Andrea che guarda Filippo ecc., nessuno dice nulla. Cosa ha detto? Cosa ha detto questo tale? Le stesse identiche parole che Gesù aveva detto tre anni prima. Non dicono nulla, prendono il largo e una quantità inverosimile di pesci.
Ecco il segno per Pietro: torna di nuovo a raccogliere, torna a fiorire! Allora Giovanni grida: è il Signore! È lui! Si avvicinano e Simone è talmente confuso che invece di svestirsi, si veste e si butta nell’acqua e gli va incontro! Il Signore, il Risorto è lì, lo aspetta, ha preparato un po’ di brace per cuocere con pane il loro pesce, la loro vita insieme al pane e sta aspettando che mettiamo la nostra vita insieme a quel pane.
È una scena molto commovente; tutti sono travolti dalle emozioni ed è bellissima questa annotazione giovannea: nessuno aveva il coraggio di chiedergli chi sei perché sapevano bene che era il Signore. Il maestro ci raggiunge sempre alla fine della notte, di ogni notte e chiede di avere il coraggio di riprendere il largo e fa un gesto per cui possiamo riconoscerlo.
Anche per noi è così, anche per me e non ho il coraggio di chiedergli “chi sei”, perché so bene che è lui che si manifesta. Si manifesta nelle persone che incontri, in una telefonata, una pagina internet che si apre improvvisamente, nei piccoli segni per cui non riusciamo ancora ad individuare e riconoscere che è il Maestro che viene. Il Signore prende da parte Simone.
Per tre volte aveva giurato di non conoscere Gesù e per tre volte Gesù vuole aiutare Simone a perdonarsi. Gesù gli porge delle domande pur sapendo già le risposte. Quelle domande servono a Pietro non a Gesù. Gesù è sicuro di Pietro. Gesù gli dice, chiamandolo Simone, non Pietro: Mi ami Simone più di tutti questi? Sapete che in greco, la lingua in cui sono scritti i vangeli, l’inglese di allora, si usano tre parole per indicare l’amore: “eros” per indicare l’attrazione fisica, la “philia” per indicare l’amicizia e “l’agape” per indicare l’amore che proviene da Dio.
Ebbene Gesù usa la terza parola greca per chiedere se Simone lo amasse. Simone gli risponde ti voglio bene (phileo). Cosa volete che gli dica dopo la figura che ha fatto? Allora Gesù gli chiede una seconda volta se Pietro è capace di amarlo e lui gli dice ti voglio bene. Non ha il coraggio di promettere ciò che non è riuscito già una volta a mantenere.
Allora Gesù per la terza volta gli chiede mi vuoi bene; è Dio che abbassa sempre il tiro, lui sa che siamo polvere, cenere e allora non insiste troppo. Simone quasi rattristato che è stato Dio a dover abbassare il tiro, dice: “Tu sai tutto, cosa vuoi che ti dica Signore, sai che ti voglio bene”. E il Signore gli affida la custodia della fede dei suoi discepoli; a questo punto gli dice ok, adesso occupati tu di loro. Sono le domande importanti che ci fanno stare faccia a faccia con Gesù e ci riconciliano con i nostri tradimenti e le nostre sviste.
A Gesù non importa gli sbagli di Pietro ma importa sapere quello che c’è nel cuore di Pietro: si può sbagliare amando. Pietro ha capito quanto amasse Gesù sbagliando, ma da quel momento Egli è diventato autentico. Pietro impara che è figlio e che deve imparare ad amare, a non accontentarsi del ti voglio bene.
E la buona notizia è questa: non siamo figli di un Dio che si lega le cose al dito, ma ci conosce e sa cosa c’è nel nostro cuore. Ecco perché Gesù affida il gregge non a Giovanni, il discepolo che Gesù amava, l’aquila che vola in alto, il gran mistico, di custodire la fede dei discepoli, lo ha chiesto a Pietro, a Pietro povero, a Pietro peccatore, a Pietro che però sa piangere il suo peccato, a Pietro che sa perdonarsi, a Pietro che perciò saprà accogliere i suoi fratelli.
È magnifico pensare che Simone è stato l’ultimo fra i discepoli a fare questo salto, come se ci aspettasse, come se dicesse adesso tocca a te. Adesso tocca veramente a me e a te, cioè tocca lasciare che da lui finalmente dilaghi la gioia. Se c’è anche qualcosa di pesante nella nostra vita, una delusione oppure un senso di colpa, anche un peccato che sentiamo catturare la nostra vita, è finalmente giunto il tempo di sbarazzarcene.
Buona settimana e splendido cammino di Pasqua!
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Magari è successo anche a te che leggi, che la Pasqua non è stata un granché; per carità sei in cammino di fede, sì, credi che Gesù è risorto, ok, tanto piacere, ma cosa cambia nella tua vita? Cosa cambia se stai vivendo questo lutto, questo fallimento affettivo, questo senso di sconforto, questo dolore che non passa? Sappia che non sei il solo perché sei in compagnia di qualcuno molto importante: sei in compagnia di Pietro.
Pietro è stato senz’altro quello che ha fatto più fatica a convertirsi alla gioia della Pasqua e la ragione è molto semplice: non è riuscito a superare quel gigantesco senso di colpa, di fallimento, di incapacità che ha sperimentato lì nella casa di Caifa, quando si è reso conto di non essere capace nemmeno di riconoscersi tra i discepoli. Altro che roccia! Si è sgretolata sotto il pettegolezzo di una serva.
Questa cosa mi commuove; mi commuove il fatto che tutti (gli apostoli, le discepole, Maria Maddalena, Pietro, Andrea ecc.) hanno faticato a far entrare in loro la Pasqua perché anche io fatico, spesso vittima del mio vittimismo; spesso sono lì a lamentarmi, a dire che va tutto male, che la chiesa va male, che il mondo va male, che la mia vita va male e mi stupisce il fatto che Pietro abbia dovuto fare lo stesso percorso che anch’io devo fare.
È come se Pietro portasse nel suo cuore un dolore inespresso, una specie di senso di colpa insormontabile. Gesù è risorto, lui ci crede, ma è come se non fosse risorto per lui; è come se quella gioia non riuscisse a contagiarlo. Perciò oggi in questa bellissima terza domenica di Pasqua Gesù torna a farsi vedere a Tiberiade proprio per Pietro. Il Vangelo inizia con una delle frasi più tristi, la più triste nella classifica dopo Luca 24 (“noi speravamo che fosse lui a liberare Israele”).
Simone dice: “Io vado a pescare”. “Simone” dice il testo, il vecchio nome prima di incontrare Gesù. Cosa c’è di così triste? Amici miei, l’ultima volta che Simone è andato a pescare era tre anni prima, quando aveva lasciato tutto per seguire Gesù. è come dire ok, chiusa parentesi, finito il momento mistico della nostra vita, torniamo alle cose serie.
Mi commuove questo perché indica veramente la fragilità enorme di Pietro. Mi commuovono i discepoli che dicono veniamo con te, come una specie di sostegno in un momento difficile. Potessimo stare così vicino ai preti quando sono in difficoltà e sono in crisi. Vanno a pescare e, come spesso accade quando le cose vanno storte, la sfortuna viaggia sempre accompagnata. Così in quella notte non prendono nulla. Forse una bella pesca avrebbe tirato un po’ su il morale, ma così non avviene; e in questo clima al mattino tornano sulla riva. Immaginate quando voi avete investito tanto in una cosa e poi alla fine non funziona e arriva anche la disgrazia.
Tutti tacciono mentre sono lì a riassettare le reti, nessuno osa parlare. Immagino la scena, immagino questo clima veramente pesante, la sconfitta che continua a bruciare nel cuore di tutti. Ed ecco che arriva un camperista, arriva questo tale che comincia dire: “Ma avete preso niente?”. Immaginatevi la scena: arriva il rompiscatole di turno e tu devi far finta di niente.
Questo ti dice “prendete il largo e gettate la rete”. Io vedo plasticamente la scena, ci sono stato su quella spiaggia a meditare, vedo quel lago, vedo la luce del mattino, vedo i discepoli che sono chinati, Simone che alza la testa e guarda, Andrea che guarda Filippo ecc., nessuno dice nulla. Cosa ha detto? Cosa ha detto questo tale? Le stesse identiche parole che Gesù aveva detto tre anni prima. Non dicono nulla, prendono il largo e una quantità inverosimile di pesci.
Ecco il segno per Pietro: torna di nuovo a raccogliere, torna a fiorire! Allora Giovanni grida: è il Signore! È lui! Si avvicinano e Simone è talmente confuso che invece di svestirsi, si veste e si butta nell’acqua e gli va incontro! Il Signore, il Risorto è lì, lo aspetta, ha preparato un po’ di brace per cuocere con pane il loro pesce, la loro vita insieme al pane e sta aspettando che mettiamo la nostra vita insieme a quel pane.
È una scena molto commovente; tutti sono travolti dalle emozioni ed è bellissima questa annotazione giovannea: nessuno aveva il coraggio di chiedergli chi sei perché sapevano bene che era il Signore. Il maestro ci raggiunge sempre alla fine della notte, di ogni notte e chiede di avere il coraggio di riprendere il largo e fa un gesto per cui possiamo riconoscerlo.
Anche per noi è così, anche per me e non ho il coraggio di chiedergli “chi sei”, perché so bene che è lui che si manifesta. Si manifesta nelle persone che incontri, in una telefonata, una pagina internet che si apre improvvisamente, nei piccoli segni per cui non riusciamo ancora ad individuare e riconoscere che è il Maestro che viene. Il Signore prende da parte Simone.
Per tre volte aveva giurato di non conoscere Gesù e per tre volte Gesù vuole aiutare Simone a perdonarsi. Gesù gli porge delle domande pur sapendo già le risposte. Quelle domande servono a Pietro non a Gesù. Gesù è sicuro di Pietro. Gesù gli dice, chiamandolo Simone, non Pietro: Mi ami Simone più di tutti questi? Sapete che in greco, la lingua in cui sono scritti i vangeli, l’inglese di allora, si usano tre parole per indicare l’amore: “eros” per indicare l’attrazione fisica, la “philia” per indicare l’amicizia e “l’agape” per indicare l’amore che proviene da Dio.
Ebbene Gesù usa la terza parola greca per chiedere se Simone lo amasse. Simone gli risponde ti voglio bene (phileo). Cosa volete che gli dica dopo la figura che ha fatto? Allora Gesù gli chiede una seconda volta se Pietro è capace di amarlo e lui gli dice ti voglio bene. Non ha il coraggio di promettere ciò che non è riuscito già una volta a mantenere.
Allora Gesù per la terza volta gli chiede mi vuoi bene; è Dio che abbassa sempre il tiro, lui sa che siamo polvere, cenere e allora non insiste troppo. Simone quasi rattristato che è stato Dio a dover abbassare il tiro, dice: “Tu sai tutto, cosa vuoi che ti dica Signore, sai che ti voglio bene”. E il Signore gli affida la custodia della fede dei suoi discepoli; a questo punto gli dice ok, adesso occupati tu di loro. Sono le domande importanti che ci fanno stare faccia a faccia con Gesù e ci riconciliano con i nostri tradimenti e le nostre sviste.
A Gesù non importa gli sbagli di Pietro ma importa sapere quello che c’è nel cuore di Pietro: si può sbagliare amando. Pietro ha capito quanto amasse Gesù sbagliando, ma da quel momento Egli è diventato autentico. Pietro impara che è figlio e che deve imparare ad amare, a non accontentarsi del ti voglio bene.
E la buona notizia è questa: non siamo figli di un Dio che si lega le cose al dito, ma ci conosce e sa cosa c’è nel nostro cuore. Ecco perché Gesù affida il gregge non a Giovanni, il discepolo che Gesù amava, l’aquila che vola in alto, il gran mistico, di custodire la fede dei discepoli, lo ha chiesto a Pietro, a Pietro povero, a Pietro peccatore, a Pietro che però sa piangere il suo peccato, a Pietro che sa perdonarsi, a Pietro che perciò saprà accogliere i suoi fratelli.
È magnifico pensare che Simone è stato l’ultimo fra i discepoli a fare questo salto, come se ci aspettasse, come se dicesse adesso tocca a te. Adesso tocca veramente a me e a te, cioè tocca lasciare che da lui finalmente dilaghi la gioia. Se c’è anche qualcosa di pesante nella nostra vita, una delusione oppure un senso di colpa, anche un peccato che sentiamo catturare la nostra vita, è finalmente giunto il tempo di sbarazzarcene.
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Don Cristian Solmonese
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