Commento al Vangelo Gv 10, 27-30
È proprio di pecore e di pastori che parliamo in questa quarta domenica del tempo pasquale, come tutti gli anni dedicata ad alcuni versetti del capitolo 10 del Vangelo di Giovanni.
Essa è abitualmente ricordata e celebrata come la giornata di preghiera per le vocazioni, proprio per i pastori. Siamo abituati a pensare a Gesù Pastore come ce lo ha raccontato Luca: quello tenero che parte alla ricerca della pecorella smarrita e quando l’ha trovata, tutto contento se la carica sulle spalle per portarla a casa. Il pastore di Giovanni è un pastore molto diverso, è un pastore guerriero, è un pastore severo, è un pastore combattente, è un pastore che è la porta delle pecore.
Egli dopo aver ricostruito come rifugio per la notte questo muretto a secco circolare di una sessantina di centimetri in modo che le pecore non escano, le fa entrare da questa apertura e poi si mette lui, appoggiato così, per evitare che le pecore escono e soprattutto per evitare che i lupi entrino a rapire le pecore.
È lui che ci protegge, è lui che dà la vita per le pecore, siamo difesi da questo pastore. Sì, oggi la liturgia ci chiede di celebrare questo pastore tenero ma anche determinato e deciso, autentico, non mieloso, ma forte. Ancora una volta la liturgia non ci dice soltanto chi è Dio, ma anche chi siamo noi. Per capire questo ripercorriamo alcune espressioni. “Le mie pecore ascoltano la mia voce”. La prima caratteristica è quella di “ascoltare”.
La fede nasce da un ascolto, la relazione e la condivisione nasce da un ascolto. Siamo degli ascoltatori della parola, siamo degli uditori, dei meditatori della Parola. Attraverso la lettura della lettera d’amore di Dio che è la parola, siamo chiamati ad entrare in relazione con Dio. La caratteristica di un discepolo è proprio quella di passare del tempo con la parola, nella preghiera, nell’ascolto quotidiano o almeno alla domenica. Ascoltare la sua voce e riconoscerla tra mille voci nel quotidiano.
Oggi tutti abbiamo da dire sempre qualcosa; tra mille voci ne vale una sola: la Sua. “Io le conosco” dice Gesù. Il Signore ti conosce, sa benissimo chi sei, conosce ogni passo del tuo percorso, ogni lacrima che hai versato, ogni fatica che fai. Per questo ti conosce e ti parla. Come mi piacerebbe che il sinodo che stiamo facendo aiutasse a dare primato nelle nostre comunità alla parola, accolta, condivisa e vissuta più che alle devozioni e alle manifestazioni.
Quando uno ama, desidera conoscere profondamente l’amato. “Io do loro la vita eterna”, continua Gesù. Seguire Gesù significa sperimentare la vita eterna, la vita di Dio, L’Eterno. Seguire Gesù, farlo diventare il nostro pastore, colui che ci conduce, significa sperimentare un’eternità, una pienezza di vita già adesso. La nostra vita è una continua conversione dal dio che è nella nostra testa al Dio che è quello che ci ha raccontato Gesù. Noi crediamo che in noi c’è una parte di Eternità, c’è una scintilla di Dio, c’è un’anima che c’è stata donata ed è la cosa più preziosa che abbiamo; noi siamo già eterni, noi siamo già immortali.
Allora è straordinario il fatto che le pecore/discepoli si accorgano di questo, facciano esperienza di questo. Dentro di noi, dentro questa mia vita, dentro questo mio carattere, esiste questa presenza di Dio, l’eterno. Gesù continua dicendo che “nulla le potrà strappare dalla mia mano”. Ripenso a San paolo quando scrive: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo”. Cosa ci può strappare dall’amore di Cristo, dalle mani del Padre in eterno? Nulla. Le mani del Pastore sono forti e ti tengono stretto.
Se ci sono dei momenti oscuri nella storia, se stiamo vivendo un momento oscuro, se ci sono momenti della nostra vita anche personali in cui il nostro peccato, la nostra indifferenza oppure la malattia, la morte, un fallimento affettivo, un fallimento economico ci mettono a dura prova, Gesù dice che non sono “in eterno”. Non è una condizione che è per sempre, perché sei nelle mani del pastore. Questa è un’esperienza che possiamo fare sempre!
Gesù conclude questi versetti dicendo che seguiamo Gesù per conoscere il Dio che lui ci è venuto a raccontare: il Padre. Noi abbiamo un’idea meschina e piccina di Dio. Gesù ci ha parlato del Padre: Dio c’è ed è bellissimo. Con questo Vangelo, oggi la chiesa ci chiede di pregare per i sacerdoti. Preghiamo per le comunità che sentono la mancanza di un sacerdote, ma anche per quei sacerdoti che le comunità fanno soffrire. Non è facile essere sacerdoti, soprattutto perché, come dice Gesù nel vangelo: “La messe è molta ma gli operai lavorano poco”.
Questo perché ingolfati da mille cose che la storia ha messo sulle loro spalle e che ancora non abbiamo il coraggio di togliere. Sta di fatto che i sacerdoti prima di essere pastori sono discepoli. Allora mi sembra che quello che posso dire senza troppa enfasi, senza scaricare sui miei confratelli aspettative disattese, senza fare i superuomini: “Amici confratelli cerchiamo di essere discepoli.
Proviamo a vivere a piccole dosi il vangelo, meditiamo la parola; non importa se siamo acculturati o autorevoli o se abbiamo mille idee, ma in questo nostro tempo viviamo la nostra fede con serenità e verità, certi di non essere strappati dalla mano del pastore!”.
Buona domenica!
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Pastori e pecore
Commento al Vangelo Gv 10, 27-30
È proprio di pecore e di pastori che parliamo in questa quarta domenica del tempo pasquale, come tutti gli anni dedicata ad alcuni versetti del capitolo 10 del Vangelo di Giovanni.
Essa è abitualmente ricordata e celebrata come la giornata di preghiera per le vocazioni, proprio per i pastori. Siamo abituati a pensare a Gesù Pastore come ce lo ha raccontato Luca: quello tenero che parte alla ricerca della pecorella smarrita e quando l’ha trovata, tutto contento se la carica sulle spalle per portarla a casa. Il pastore di Giovanni è un pastore molto diverso, è un pastore guerriero, è un pastore severo, è un pastore combattente, è un pastore che è la porta delle pecore.
Egli dopo aver ricostruito come rifugio per la notte questo muretto a secco circolare di una sessantina di centimetri in modo che le pecore non escano, le fa entrare da questa apertura e poi si mette lui, appoggiato così, per evitare che le pecore escono e soprattutto per evitare che i lupi entrino a rapire le pecore.
È lui che ci protegge, è lui che dà la vita per le pecore, siamo difesi da questo pastore. Sì, oggi la liturgia ci chiede di celebrare questo pastore tenero ma anche determinato e deciso, autentico, non mieloso, ma forte. Ancora una volta la liturgia non ci dice soltanto chi è Dio, ma anche chi siamo noi. Per capire questo ripercorriamo alcune espressioni. “Le mie pecore ascoltano la mia voce”. La prima caratteristica è quella di “ascoltare”.
La fede nasce da un ascolto, la relazione e la condivisione nasce da un ascolto. Siamo degli ascoltatori della parola, siamo degli uditori, dei meditatori della Parola. Attraverso la lettura della lettera d’amore di Dio che è la parola, siamo chiamati ad entrare in relazione con Dio. La caratteristica di un discepolo è proprio quella di passare del tempo con la parola, nella preghiera, nell’ascolto quotidiano o almeno alla domenica. Ascoltare la sua voce e riconoscerla tra mille voci nel quotidiano.
Oggi tutti abbiamo da dire sempre qualcosa; tra mille voci ne vale una sola: la Sua. “Io le conosco” dice Gesù. Il Signore ti conosce, sa benissimo chi sei, conosce ogni passo del tuo percorso, ogni lacrima che hai versato, ogni fatica che fai. Per questo ti conosce e ti parla. Come mi piacerebbe che il sinodo che stiamo facendo aiutasse a dare primato nelle nostre comunità alla parola, accolta, condivisa e vissuta più che alle devozioni e alle manifestazioni.
Quando uno ama, desidera conoscere profondamente l’amato. “Io do loro la vita eterna”, continua Gesù. Seguire Gesù significa sperimentare la vita eterna, la vita di Dio, L’Eterno. Seguire Gesù, farlo diventare il nostro pastore, colui che ci conduce, significa sperimentare un’eternità, una pienezza di vita già adesso. La nostra vita è una continua conversione dal dio che è nella nostra testa al Dio che è quello che ci ha raccontato Gesù. Noi crediamo che in noi c’è una parte di Eternità, c’è una scintilla di Dio, c’è un’anima che c’è stata donata ed è la cosa più preziosa che abbiamo; noi siamo già eterni, noi siamo già immortali.
Allora è straordinario il fatto che le pecore/discepoli si accorgano di questo, facciano esperienza di questo. Dentro di noi, dentro questa mia vita, dentro questo mio carattere, esiste questa presenza di Dio, l’eterno. Gesù continua dicendo che “nulla le potrà strappare dalla mia mano”. Ripenso a San paolo quando scrive: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo”. Cosa ci può strappare dall’amore di Cristo, dalle mani del Padre in eterno? Nulla. Le mani del Pastore sono forti e ti tengono stretto.
Se ci sono dei momenti oscuri nella storia, se stiamo vivendo un momento oscuro, se ci sono momenti della nostra vita anche personali in cui il nostro peccato, la nostra indifferenza oppure la malattia, la morte, un fallimento affettivo, un fallimento economico ci mettono a dura prova, Gesù dice che non sono “in eterno”. Non è una condizione che è per sempre, perché sei nelle mani del pastore. Questa è un’esperienza che possiamo fare sempre!
Gesù conclude questi versetti dicendo che seguiamo Gesù per conoscere il Dio che lui ci è venuto a raccontare: il Padre. Noi abbiamo un’idea meschina e piccina di Dio. Gesù ci ha parlato del Padre: Dio c’è ed è bellissimo. Con questo Vangelo, oggi la chiesa ci chiede di pregare per i sacerdoti. Preghiamo per le comunità che sentono la mancanza di un sacerdote, ma anche per quei sacerdoti che le comunità fanno soffrire. Non è facile essere sacerdoti, soprattutto perché, come dice Gesù nel vangelo: “La messe è molta ma gli operai lavorano poco”.
Questo perché ingolfati da mille cose che la storia ha messo sulle loro spalle e che ancora non abbiamo il coraggio di togliere. Sta di fatto che i sacerdoti prima di essere pastori sono discepoli. Allora mi sembra che quello che posso dire senza troppa enfasi, senza scaricare sui miei confratelli aspettative disattese, senza fare i superuomini: “Amici confratelli cerchiamo di essere discepoli.
Proviamo a vivere a piccole dosi il vangelo, meditiamo la parola; non importa se siamo acculturati o autorevoli o se abbiamo mille idee, ma in questo nostro tempo viviamo la nostra fede con serenità e verità, certi di non essere strappati dalla mano del pastore!”.
Buona domenica!
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Don Cristian Solmonese
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