Papa Francesco ha incentrato la catechesi sulla vecchiaia sottolineando il ruolo fondamentale delle vedove, figure indispensabili nella società: «Oggi continuiamo a riflettere sugli anziani, sui nonni, sulla vecchiaia, sembra brutta la parola, ma no, i vecchi sono grandi, sono belli! E oggi ci lasceremo ispirare dallo splendido libro di Rut, un gioiello della Bibbia.
La parabola di Rut illumina la bellezza dei legami famigliari: generati dal rapporto di coppia, ma che vanno al di là del legame di coppia. Legami d’amore capaci di essere altrettanto forti, nei quali si irradia la perfezione di quel poliedro degli affetti fondamentali che formano la grammatica famigliare dell’amore. Questa grammatica porta linfa vitale e sapienza generativa nell’insieme dei rapporti che edificano la comunità. Rispetto al Cantico dei Cantici, il libro di Rut è come l’altra tavola del dittico dell’amore nuziale.
Altrettanto importante, altrettanto essenziale, esso celebra infatti la potenza e la poesia che devono abitare i legami di generazione, di parentela, di dedizione, di fedeltà che avvolgono l’intera costellazione famigliare. E che diventano persino capaci, nelle congiunture drammatiche della vita di coppia, di portare una forza d’amore inimmaginabile, in grado di rilanciarne la speranza e il futuro».
Quando il Serafico padre Francesco era in fin di vita, volle che i suoi frati scrivessero una lettera ad una vedova molto devota e illuminata, che denominò Donna Jacopa dei Settesoli, detta anche Frate Jacopa: “Stava il Santo, infermo dell’ultima malattia che lo portò a morte, nel luogo di Santa Maria degli Angeli. Un giorno chiamò i suoi compagni e disse loro: «Voi sapete come Donna Jacopa de Settesoli è vivamente devota a me e al nostro Ordine.
Credo perciò ch’ella considererà grande favore e consolazione se la informiamo del mio stato. Domandatele specialmente che mi faccia avere del panno monacale color cenere e, insieme, mi mandi anche di quel dolce che a Roma preparò per me più volte». I romani chiamano quel dolce: mostaccioli, ed è fatto di mandorle, zucchero e altri ingredienti. Quella nobildonna era molto religiosa, una delle vedove più nobili e ricche di Roma.
Per i meriti e la predicazione di Francesco, aveva ricevuto dal Signore la grazia di emulare, nelle lacrime e nel fervore, nell’amore e nell’appassionata dedizione a Cristo, Maria Maddalena. Scrissero dunque una lettera come aveva detto il Santo; e un frate andava cercando un compagno che recapitasse alla nobildonna la lettera, quando fu picchiato alla porta del luogo. Un frate aprì, ed ecco, lì in persona, Donna Jacopa, venuta con gran fretta a visitare Francesco.
Un frate la riconobbe e si recò immediatamente da Francesco, annunziandogli con grande gioia che Donna Jacopa era venuta da Roma con suo figlio e molto seguito a fargli visita. Soggiunse: «Cosa facciamo, padre? Possiamo lasciarla entrare da te?». Disse questo, perché per volontà di Francesco era stato deciso che in quel luogo, per preservarne il decoro e il raccoglimento, non vi entrasse alcuna donna. Ma il Santo disse: «Tale regola non va osservata per questa nobildonna, che una grande fede e devozione ha fatto accorrere qui da tanto lontano».
Così Donna Jacopa entrò dal beato Francesco, scoppiando in lacrime davanti a lui. E, cosa mirabile, portava con sé il panno mortuario, color cenere, per fare una tonaca, e le altre cose contenute nella lettera, come se l’avesse ricevuta in antecedenza. La signora disse ai frati: «Fratelli miei, mentre pregavo ebbi questa ispirazione:–Va’ a visitare il tuo padre Francesco; affrettati, non indugiare; ché, tardando, non lo troveresti più vivo. E portagli il tale panno per la tonaca e tali altre cose, per fargli quel dolce.
Inoltre, porta con te gran quantità di cera per farne delle candele, e anche dell’incenso —». Questo, tranne che l’incenso, era annotato nella lettera che si stava per recapitarle. … Francesco stesso ordinò ai frati di cucirgli del sacco sulla veste che portava, in segno ed esempio di umiltà e di sovrana povertà. E in quella settimana in cui era venuta Donna Jacopa, il nostro santissimo padre migrò al Signore» (FF 1812).