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Rallegratevi, scrutate, contemplate, annunciate

Ad aprile presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale Sezione s. Tommaso a Napoli si è tenuto un incontro che si colloca nel contesto del IV Seminario interdisciplinare teologico della Vita consacrata, con il patrocinio della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, nonché con la partecipazione del cardinale prefetto João Braz De Aviz.

Dopo il canto di invocazione della presenza dello Spirito Santo, p. Salvatore Farì ha salutato i presenti e quanti seguivano da casa on-line, lasciando subito la parola al decano. Il prof. don Francesco Asti ha innanzitutto ringraziato e ha avviato il discorso parlando di comunione di idee (capacità per ciascuno di mettere insieme il proprio pensiero) quale fondamento per la crescita di una Chiesa che possa diventare sempre più bella e più grande; di formazione in ambienti specialistici, cioè in una facoltà che abbia un’attenzione verso i consacrati e le consacrate proprio quale esempio di cammino insieme; del contemplare di Maria discepola che ha annunciato Colui che portava in grembo e ha confrontato la Storia del Figlio con la sua avendo come strumento la Lectio divina.

Il vescovo mons. Franco Beneduce ha recato i saluti dell’Arcivescovo Battaglia e ha parlato di un libro: Andrea Riccardi, La Chiesa brucia. Partendo dall’icona di Notre Dame, Riccardi fa una disamina: l’urgenza dell’evangelizzazione. Una delle radici delle difficoltà che vive la Chiesa in questo momento è correlata alla crisi della vita consacrata. Come mai Andrea Riccardi si spinge in questa lettura? Siamo in una situazione di declino (che è inesauribile) o di crisi (non l’agonia ma l’agone della lotta)? Ci sentiamo nell’agone perché non abbiamo nulla da portare di nostro, ma siamo sotto il Vangelo che è lievito per un’umanità, a partire dalla Persona di Gesù Cristo intorno al Quale si raduna la Chiesa e si radunano le nostre comunità e sorgono dei carismi come dono dello Spirito Santo. “Non viviamo in un’epoca di cambiamento ma viviamo in un cambiamento di epoca” (papa Francesco) in cui stiamo riscoprendo la dimensione dell’autenticità, dell’individualità come valore testimoniale. Il rischio, la deriva di questa scoperta dipende dal consumismo e porta all’individualismo che nelle nostre comunità è molto forte. Non dobbiamo rinunciare all’urgenza della radicalità evangelica.

Il cardinale João Braz De Aviz ha ricambiato il saluto dell’Arcivescovo e ha salutato tutti. La comunione va fortemente costruita e in una lettura sincronica, in una visione d’insieme delle quattro lettere inviate, grazia dell’anno della Vita consacrata, è centrale il Concilio Vaticano II. Lo è al punto tale che se una famiglia religiosa ha preso una strada per uscirne sappia che così sta uscendo dalla Chiesa. Se c’è troppa critica a papa Francesco sappiate non siete più Chiesa, perché i punti di contatto più solidi sono questi. Papa Francesco è Pietro ed è l’unico Pietro. È lo stesso Dio poi che governa la Chiesa.     

Alcune prospettive di fondo importanti per la vita consacrata sono: la Sequela Christi, il seguire Gesù, non come abbiamo calcolato noi ma andando all’essenziale del Vangelo e dell’essenziale di fondatori e fondatrici. Innanzitutto: una sequela di Gesù che deve essere gioiosa, che ci realizza umanamente. Si parla oggi la necessità di ritornare alla testimonianza di qualsiasi pagina del Vangelo, prima ancora della testimonianza dei nostri fondatori. Come sto vivendo io? Come stiamo vivendo noi? Il papa chiede di svegliare il mondo. Se viviamo secondo quello che Gesù ci ha insegnato noi possiamo veramente dare al mondo una testimonianza gioiosa, liberatrice e liberante per tutte le persone perché noi stessi saremo più liberi, più completi. L’invito alla gioia lo troviamo anche nell’Evangelii Gaudium. Se non siamo gioiosi non abbiamo trovato in Cristo qualcuno di importante. Bisogna tornare al primo momento del nostro incontro col Signore. Un incontro che solo noi conosciamo, che ci ha fatti innamorare. Lui ha preso l’iniziativa e ci ha chiamati. Ritrovare questo incontro con il Signore che è sempre il sostegno più profondo della nostra vita consacrata. Gesù non è venuto a dirci che un giorno avremo il Paradiso e che ora dobbiamo tutti rovinarci con la croce. No. Lui è venuto per farci felici, tutti.

Il Vangelo è novità, il Vangelo è una festa – dice il papa – e chi trova il Vangelo trova la libertà, trova la gioia. Se siamo prigionieri, se stiamo diventando malati perché non riusciamo più ad esprimerci c’è qualcosa che deve essere rotto, tagliato, lasciato da parte, anche se costerà. Le strutture, le imposizioni, le servitù senza la luce del Vangelo non servono a niente. Bisogna ritrovare il Signore. Devono rinascere nelle nostre case tutti gli atteggiamenti che rispettano la nostra umanità. Il calore degli affetti, una sessualità matura, un essere aperto agli altri anziché essere dei muri e la vita fraterna diventa un peso e la diversità tra noi diventa una esclusione e il Vangelo diventa una cosa impossibile.

Dobbiamo essere capaci di contemplare questo incontro con il Signore e poter testimoniare il modo in cui Gesù ha vissuto sulla terra. Lui ci ha portati dentro questa possibilità di vivere come Lui, ma non come peso, come prigione o come mancanza di libertà. Ecco cosa è accaduto: abbiamo perso la libertà, abbiamo perso la gioia. La vita consacrata dovrebbe dare una tale felicità umana che nessuno dovrebbe toglierci perché siamo convinti di ciò che abbiamo ricevuto. C’è bisogno di fare un cammino di questa felicità basata sulla testimonianza.

Stiamo mostrando a chi ci incontra o a chi partecipa alle nostre celebrazioni o a chi entra nelle nostre comunità che siamo uomini e donne felici, che abbiamo il cuore colmo di gioia e lo mostrano nel viso e nel modo di vivere? Sono al mio posto? Ho trovato veramente il Signore o sto cercando un altro posto?

Il radicamento nella vita ecclesiale. La Chiesa ha due dimensioni che sono essenziali e coessenziali: la gerarchia, i laici, ecc. e i carismi della vita consacrata. Una Chiesa che non ha consacrati e consacrate è una chiesa non completa. Dobbiamo comporre l’unità con tutti in un equilibrio. È un cammino insieme, uniti a Dio, ai vescovi, ai superiori. Cercare allora l’unità. Costruire questa ecclesialità. Dio è perfetto, ma noi? Se guardiamo alla nostra miseria non so dove mettiamo questa perfezione. L’individualismo è anche dentro le nostre comunità ed è fonte di tanto dolore e di tante malattie. Ritrovare, dunque, questo cammino insieme. Tra noi non ci può essere un fratello o una sorella più grandi e un fratello o una sorella più piccoli. Anche la dicitura inferiori e superiori non serve, dobbiamo toglierla, piuttosto mettere fratelli e sorelle con carismi, con ministeri diversi. Dobbiamo imparare a rischiare. Soprattutto nel cammino sinodale del momento, dobbiamo chiederci cosa sia cambiato dentro di noi, nella partecipazione personale a questo processo, lasciando che questo radicarsi nella vita evangelica, ecclesiale, entri dentro di me e nella mia congregazione.

La radicalità evangelica non è solo questione della vita consacrata ma è l’unica regola di quelli che vogliono essere discepoli di Gesù: sposati, celibi, bambini, giovani, vecchi, anziani, professori, i vari lavori, tutto deve rispecchiare queste stesse regole del Vangelo per realizzare quello che Gesù vuole. Non c’è un meno e un più. Tutti seguiamo il battesimo, il Vangelo è per tutti. Uno lo vivrà come celibe, uno come sposato. Il proprio della vita consacrata è dunque la profezia.

La profezia è il distintivo della vita consacrata. Cosa significa? Dobbiamo discernere i segni della presenza di Dio, distinguere la voce di Dio, interpretare questi segni di speranza come faceva il popolo di Israele, come ha fatto il profeta Elia. Dobbiamo scoprire questi segni dentro la storia umana. La vita con Gesù non è una dottrina per aria ma è un qualche cosa di molto incarnato nel cammino del giorno dopo giorno che passa. Alle volte questi segni di Dio sono piccoli come la nube piccolina che il servo di Elia ha visto e che però già indicava, dopo tre anni, la pioggia imminente.

Dobbiamo superare l’idea che nel popolo di Dio siamo una classe privilegiata. Noi siamo discepoli di Gesù se cerchiamo come tutti i cristiani di vivere la vita del Vangelo. In più se siamo disposti a testimoniare la vita come era quella di Gesù. Questa è una grazia, un dono, una chiamata ed è Lui che ci da la forza di seguirlo. Essere profeti nel mondo di oggi non è adattarsi alla mentalità che c’è.  Dobbiamo andare con una luce nuova e essere come quella sentinella che veglia durante la notte e sa quando arriva l’aurora. Dio ci conosce bene. I nostri mistici, i profeti sono persone che conoscono, che cercano di capire quello che Dio dice e fa e lo trasmettono nella storia. Così dobbiamo essere. Nel quotidiano. La santità della porta accanto. Nel normale della vita.

Il profeta è colui che sa discernere. Denuncia il male ma non entra nel male. Non ha paura di dire la verità. Quante volte abbiamo paura di dire la verità: questo a noi non serve. La storia è sempre di coraggio, di limpidezza. Una ragazzina che sta per morire testimonia con coraggio il Vangelo, e noi no? Dobbiamo tornare a questo. Non accettare una mentalità mondana che è entrata nella Chiesa, nei nostri conventi. Dobbiamo riscoprire questi piccoli segni della presenza di Dio e riprendere la strada. Chiediamoci la mia comunità sta diventando profetica o siamo già adagiati ai problemi, alle difficoltà?

Siamo chiamati a essere esperti di comunione. Dovremmo essere capaci di superare una difficoltà storica: quella di poter amare, di poter condividere le nostre fraternità con quello che è diverso da noi, arricchiti dalla personalità dell’altro e maturare la nostra. Questo lavoro va fatto con serietà. Uscire poi verso l’altro per poter dare spazio all’altro. Troveremo questa strada della comunione se guardiamo al Mistero dell’incarnazione del Verbo e al Mistero pasquale della settimana santa. Dio secondo la Scrittura è amore, la Trinità è amore – Padre, Figlio e Spirito Santo. Noi siamo creati a immagine e somiglianza di Dio, cioè dell’amore. Dobbiamo quindi vedere come ha agito Dio per poter mostrare il suo amore per noi. Ci ha trovati e, in modo inedito, Dio grande, Padrone del mondo, che ha creato tutto e che governa tutto con sapienza si è fatto, nel seno di Maria, quel piccolo bambino messo a margine della nostra vita umana. C’è un mistero di annientamento, di svuotamento in questa realtà dell’amore. Come mai? Non è possibile amare se noi non diventiamo piccoli.

Marilena Siciliano (Ordo Virginum) – Angela Di Scala
Immagine: João Braz De Aviz

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