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Con Carlo Favini rivive un’arte antica

La capacità di realizzare intarsi lignei ha visto impegnati in passato, soprattutto nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, artisti di gran nome, autori di capolavori mirabili per inventiva dei soggetti e tecnica esecutiva. Il loro lavoro è stato ripreso nel nostro tempo da Carlo Favini, del quale questa mostra offre un’ampia selezione di opere, tutte sorprendenti per fascino e ricercatezza.

      Esse possono essere raggruppate in due multiformi categorie: da un lato quelle di soggetti di sua invenzione, a carattere geometrico o figurativo, riflettenti, questi ultimi, aspetti della vita quotidiana. Dall’altro lato sta invece il gruppo, assai più ricco e complesso, delle opere nate dal suo interesse per la pittura antica.

Con una passione pari alla sua sensibilità estetica, egli ha studiato in particolare i dipinti bizantini – le sacre icone, i cicli affrescati sulle pareti delle chiese – per coglierne sia il fascino, sia il profondo significato teologico, con particolare attenzione agli aspetti propri della tradizione cristiana orientale.

      Le sue scoperte egli poi ha cercato di tradurle nelle sue tarsie, con libertà di spirito associata a un sorprendente senso estetico. Lo si capisce quando si ha modo di confrontare una tarsia con il dipinto in essa riprodotto: si vede allora come Favini non si limiti mai a “copiare” il dipinto che l’ha ispirato, sia perché egli non esita a sacrificare particolari di quel dipinto che ritiene irrilevanti, sia perché sa bene – come chi traduce da una lingua a un’altra -, che “tradurre” la policromia di un dipinto nelle risorse offerte dai legni produrrà sempre un effetto differente.

Sta allora proprio in questo la singolarità delle sue opere, che non potranno mai essere copie ma interpretazioni degli originali, sempre elaborate in base ai diversi legni di volta in volta utilizzati. E quei legni egli studia e accosta, con una accortezza che fa di lui un vero artista, non indegno successore, nell’arte dell’intarsio ligneo, dei grandi che l’hanno preceduto.

di Mons. Roberto Brunelli

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