Commentando il libro biblico del Qoelet Papa Francesco ha voluto condividere la domanda che ogni uomo si pone verso il tramonto della propria vita, e anche prima: che senso ha tutto ciò per cui si è vissuto se tutto è vanità. «Di fronte a una realtà che, in certi momenti, ci sembra ospitare tutti i contrari, riservando loro comunque lo stesso destino, che è quello di finire nel nulla, la via dell’indifferenza può apparire anche a noi l’unico rimedio ad una dolorosa disillusione.
Sorgono in noi domande come queste: I nostri sforzi hanno forse cambiato il mondo? Qualcuno è forse capace di far valere la differenza del giusto e dell’ingiusto? Sembra che tutto questo sia inutile: perché fare tanti sforzi? È una specie di intuizione negativa che può presentarsi in ogni stagione della vita, ma non c’è dubbio che la vecchiaia rende quasi inevitabile questo appuntamento col disincanto.
Il disincanto, nella vecchiaia, viene.
E dunque la resistenza della vecchiaia agli effetti demoralizzanti di questo disincanto è decisiva: se gli anziani, che hanno ormai visto di tutto, conservano intatta la loro passione per la giustizia, allora c’è speranza per l’amore, e anche per la fede. E per il mondo contemporaneo è diventato cruciale il passaggio attraverso questa crisi, crisi salutare, perché? Perché una cultura che presume di misurare tutto e manipolare tutto finisce per produrre anche una demoralizzazione collettiva del senso, una demoralizzazione dell’amore, una demoralizzazione anche del bene. … Il vuoto di senso e di forze aperto da questo sapere, che respinge ogni responsabilità etica e ogni affetto per il bene reale, non è innocuo.
Non toglie soltanto le forze alla volontà del bene: per contraccolpo, apre la porta all’aggressività delle forze del male. Sono le forze di una ragione impazzita, resa cinica da un eccesso di ideologia. Di fatto, con tutto il nostro progresso, con tutto il nostro benessere, siamo davvero diventati “società della stanchezza”. Pensate un po’ a questo: siamo la società della stanchezza!».
Singolare è un episodio delle Fonti Francescane in cui si racconta la richiesta di una fedele nobildonna al serafico Padre Francesco di intercedere, per amore di Dio, per la conversione del marito dal cuore duro: “In un’altra circostanza, una devota nobildonna si recò dal Santo, per esporgli il proprio dolore e richiedere il rimedio: aveva un marito molto cattivo, che la faceva soffrire osteggiandola nel servizio di Cristo. Perciò chiedeva al Santo di pregare per lui, affinché Dio si degnasse nella sua bontà d’intenerirgli il cuore. Il Santo, dopo averla ascoltata, le disse: “Va in pace e sta sicura che fra poco avrai dal tuo uomo la consolazione che desideri”.
E aggiunse: “Gli dirai da parte di Dio e mia che ora è tempo di misericordia; poi, di giustizia”. Ricevuta la benedizione, la donna ritorna, trova il marito, gli riferisce quelle parole. Scende sopra di lui lo Spirito Santo che, trasformandolo in un uomo nuovo, così lo induce a rispondere con tutta mansuetudine: “Signora, mettiamoci a servire il Signore e salviamo l’anima nostra”.
Dietro esortazione della santa moglie, condussero una vita da celibi per parecchi anni, finché ambedue nello stesso giorno tornarono al Signore. Veramente degno di ammirazione lo Spirito profetico operante in quest’uomo di Dio, con la potenza del quale egli rinnovava il vigore alle membra ormai inaridite e nei cuori induriti imprimeva la pietà.
Ma non è meno stupefacente la chiarezza con cui questo spirito profetico gli faceva prevedere gli eventi futuri e scrutare il segreto delle coscienze, quasi gli avesse conferito il duplice spirito di Elia, invocato da Eliseo” (FF 1193). In questa settimana in cui abbiamo pregato la novena allo Spirito Santo, detto anche Spirito d’Amore, possa il Signore donarci la gioia di amare la vita nonostante le dure prove, di intercedere per coloro che fanno del male e non hanno ancora conosciuto l’Amore di Dio.