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La discesa agli inferi dal mito classico al cristianesimo

Che cosa significa esattamente “discesa agli inferi”? Molti pensano, paradossalmente, che sia l’inferno, ma non è così. Anzi: per le Chiese d’oriente è il modo di raffigurare la risurrezione di Cristo, come mostra una famosa icona russa riprodotta in questa pagina, che richiama l’attenzione sul corpo glorioso del risorto. Ma cominciamo dall’inizio.

La discesa agli Inferi è un tema presente presso tutte le civiltà ed è un argomento ben noto sin dalla mitologia greco-romana e ripreso poi anche dal cristianesimo con la catabasi di Gesù prima della resurrezione. Inferi, Sheol, Ade indicano tutti una sola realtà: il regno dell’oltretomba. L’etimo ADE, dalla radice greca ID, (vedere) preceduta dall’A privativo, significa luogo dove non si può vedere, tetro buio, dove non arriva la luce del sole.

Custode degli Inferi, sempre secondo il mito, era Cerbero, il cane a tre teste che stava di guardia sulla porta del regno senza ritorno, per impedire che, una volta entrati, i morti fuggissero via da quella triste dimora senza sole. Per capire che cosa fosse l’oltretomba nella cultura classica, potremmo rifarci al prode Odisseo nell’XI libro dell’Odissea di Omero quando incontra nella sua discesa agli inferi l’eroe greco Achille, che agli elogi di Ulisse che lo definisce beato, risponde con amarezza: “Non abbellirmi, illustre Odisseo, la morte! Vorrei da bracciante servire un altro uomo, un uomo senza podere che non ha molta roba; piuttosto che dominare tra tutti i morti defunti.” (Odissea XI, vv.488-491).

Nella visione omerica e poi della Grecia classica, i morti non sono né anime afflitte, né entità minacciose. Davanti al mistero della morte non c’è spazio né per il terrore, né per riflessioni teologiche: il mondo greco è tutto proiettato nella pienezza dell’esistenza. Le anime dei defunti sono presenze evanescenti e inquietanti, simili ai sogni, e sono soggette non alla sofferenza, ma alla nostalgia, al ricordo e al rimpianto della vita trascorsa sulla terra. Gli unici privilegiati che nella mitologia antica discesero agli Inferi non furono soltanto Ulisse ed Enea. Mi piace ricordare tra le altre, la triste storia di Orfeo ed Euridice.

Orfeo è un bel giovane, abilissimo poeta e musicista, talmente valido da ammansire con la sua cetra e il canto perfino le belve feroci. Sposo della bellissima Euridice, la perde a causa del morso di una vipera. Dopo averla lungamente pianta, non rassegnandosi alla perdita subita, scende nel Regno delle ombre e con la sua musica riesce a commuovere Ade e Persefone, i signori dell’oltretomba, che gli consentono di riportare in vita l’amata, a patto che egli non si volti a guardarla fino a quando i due saranno tornati tra i vivi.

La coppia affronta quindi il lungo e difficile viaggio di ritorno e ad un passo dalla soglia infernale che divide il mondo della luce da quello del buio, Orfeo, mancando alla parola data, si volta e guarda Euridice, che immediatamente viene di nuovo inesorabilmente trascinata nella profondità della Terra. Ma perché si volta? Orfeo non può fare a meno di girarsi per guardarla semplicemente per amore, per troppo amore, per l’impazienza incontenibile di rivedere l’amata. Riportarla alla luce senza guardarla, avrebbe significato non prendersene cura.

Orfeo è comunque un pagano e tuttavia prefigura la potenza dell’amore, più forte della morte; ma per l’amore che salva e vince definitivamente la morte dobbiamo aspettare il cristianesimo. Già con la Divina Commedia dantesca si delinea il potere dell’Amore divino e l’opera rimane l’affresco più impressionante del viaggio nel regno dei morti, compiuto dall’autore e narratore al fine di purificarsi e di godere della contemplazione diretta di Dio. Ma perché Dante narra questo viaggio così inconsueto? Per almeno due motivi. Innanzitutto per farsi perdonare alcuni peccati: per aver quasi dimenticato Dio innamorandosi di Beatrice, per la sua passione politica, per la sua “superbia” letteraria.

Le tre fiere che gli sbarrano il passo nella “selva oscura”, il leone, la lince, la lupa, sono altrettanti simboli di peccati capitali: la superbia, la lussuria, l’avarizia. In secondo luogo per invogliare i contemporanei a percorrere la strada della giustizia, dell’amore, del perdono, a non perdersi, come aveva fatto lui nella selva oscura del peccato. E per i Cristiani di oggi che cosa significa la discesa agli Inferi? L’espressione è citata nel credo apostolico in riferimento a Gesù e sarebbe insensato pensare che il Maestro si sia recato nel luogo della perdizione.

È, invece, un chiaro indizio della missione salvifica universale di Cristo che si è immolato per tutti gli uomini, quelli viventi, quelli del futuro e quelli del passato, in attesa della redenzione. Quindi la discesa del Signore agli inferi vuol soprattutto dire che l’efficacia della redenzione tocca anche il passato, lo abbraccia e con esso prende per mano per condurli al Padre tutti gli uomini di tutti i tempi. In fondo Cristo è sceso negli inferi della nostra umanità, ha sperimentato in tutto, tranne che nel peccato la dimensione umana.

È stato disprezzato, criticato, oltraggiato, processato e messo a morte. Torturato fino all’ultimo istante perché ci ha amati di un amore pazzesco: quello di dare la propria vita per i suoi amici e per ogni uomo. E al culmine del dolore, dopo una straziante agonia, ha fatto suo il grido di sofferenza di ogni uomo “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”? Ma poi subito dopo ha detto: “nelle tue mani, Padre, consegno il mio spirito”.

E noi che cosa dovremmo fare con i nostri inferni quotidiani?. Lasciarci guidare da Lui che è la Via. Scendere in questi inferni e sporcarci le mani, con chi è solo, abbandonato, in difficoltà. Senza troppe parole né discorsi roboanti, semplicemente col nostro essere prossimo, stare vicino, fare nostro il dolore, la disperazione, il grido del fratello. “Fare” come ha fatto Gesù con tutti quelli che ha incontrato, sporcandosi le mani e la reputazione con pubblicani, Farisei, peccatori, ciechi, e ammalati in genere. D’altra parte qual è il comandamento nuovo che Gesù ci ha lasciato? Amatevi come io vi ho amati”.

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