Quando le imposizioni post pandemia si allentano, ma con prudenza, quando la mascherina non è più obbligatoria ma consigliata, quando la normalità assume le forme di un’esigenza di vita che ora si fa fatica anche a ricordare e non più una ostinazione derivante dalla forzata restrizione, quando l’ospite è declinabile in ospitante ed ospitato non resta molto spazio ad equivoci e fraintendimenti. Ognuno faccia ciò che può, con le risorse che ha e nella posizione in cui sta.
E chi c’è, c’è… In qualche modo occorre ricominciare a vivere ed il modo migliore per ricominciare a fare le cose è facendole, senza troppi ma e senza troppi se.
Nell’ultima manciata di giorni si sono succeduti diversi eventi e in ciascuno di essi, rievocandoli all’indietro, è possibile scorgere un denominatore comune, un sottilissimo filo che lega in qualche modo ed accomuna i partecipanti ed i partecipati: la semplicità dei festeggiamenti in onore di Sant’Antonio da Padova, in povertà e in sinteticità, la meraviglia e l’incredulità di alcuni ospiti speciali in visita sull’Isola d’Ischia e la gratitudine per la condivisone del poco offerto, la compostezza e la sobrietà della processione del Corpus Domini per le strade del centro.
Al netto di tutte le polemiche e le dietrologie, gli avvenimenti in questione si sono sviluppati in semi-rapida successione, catapultando attori e interpreti da una scena all’altra e senza nemmeno passare per il cambio del costume di scena, né per il ripasso copione. Qualche volta accade che le cose accadono ancora prima di pensare al come potrebbero o dovrebbero accadere e mentre succede ci ritroviamo in una scena o nell’altra senza nemmeno aver fatto caso al “via” di partenza o al sipario che a seconda dei casi, si cala o si alza.
Sant’Antonio da Padova, emblema di umiltà, sapienza e cultura, in questi giorni ha rinnovato la tradizionale ma breve processione fino al pontile con imbarco e benedizione del litorale fino al pontile aragonese. E ritorno. Come tornare alla semplicità, alla mitezza, a quella prudenza che richiede il coraggio di apparire anche impopolari ma che ha suggellato il vero e autentico messaggio del Santo.
Qui, in terra, l’occhio dell’anima è l’amore, il solo valido a superare ogni velo. Dove l’intelletto s’arresta, procede l0amore che con il suo calore porta all’unione con Dio
Antonio di Padova, Sermones
Il padre guardiano Maurizio Del Giudice, rettore del Convento di Sant’Antonio, dopo aver accompagnato il Santo per la stradina che porta all’imbarco, dopo la brevissima processione via mare, dove il Santo è stato adagiato su un gozzo, dopo l’intensa preghiera in solitaria ed il rientro in Chiesa in altrettanta sobrietà e umiltà, sulla soglia della Chiesa poco prima della benedizione finale, ha chiesto un minuto di silenzio, come se ce ne fosse bisogno, per ringraziare tutti quelli che pur non condividendo la scelta della sobrietà e della parsimonia nei festeggiamenti, hanno contribuito fattivamente alla buona riuscita della celebrazione. “Si può essere in disaccordo ma non per questo disuniti, si può pensare in maniera diversa ma non per questo non concorrere al bene comune”.
Quel “bene” che qualche volta si distrae nella sua manifestazione ed assume contorni di confezionamento sartoriale per tradizioni simil pagane, salvo poi, nel tempo, rendersi conto che la taglia del vestito confezionato può cambiare a seconda del periodo, delle stagioni, delle regole, delle variabili che per forza di cose si incontrano col passare degli anni. Che fare? Riportare al centro dei festeggiamenti, il festeggiato, nella sua Umiltà che resta la stessa di sempre e che ugualmente benedice e protegge i suoi devoti. Ricordando che per Antonio, il Santo celebrato in questi giorni, lo stato di perfezione cristiana non si risolve né nella sola azione né nella sola contemplazione, ma nella conciliazione dell’una e dell’altra.
Da lì a poco, in una parrocchia vicina, ha avuto luogo una giornata particolare, una gita speciale, non programmata né preventivata. La parrocchia di Ischia Ponte ha voluto ospitare un gruppo di 30 persone tra volontari, suore di madre Teresa di Calcutta e disabili, emarginati, senza tetto (e un tempo senza amore) che una volta all’anno si concedono, da Napoli dove sono di stanza, per volontà di quegli organizzatori, una gita fuori porta.
Armati di stampelle, sedie a rotelle e sogni da inseguire oltre l’ostacolo, al molo Beverello hanno lanciato un cuore un po’ malandato, qualche volta con qualche cicatrice, e, imbarcandosi alla volta di Ischia, se lo sono venuti a riprendere, forse un po’ più guarito.
Sono partiti preventivando un pranzo al sacco, un fugace bagnetto nella prima spiaggia libera anche subito vicino al porto ed una messa se possibile. Un giro di telefonate e la Provvidenza ha mostrato loro come un pranzo condiviso possa trasformarsi un lauto pasto in casa parrocchiale, come un bagnetto frugale possa trasformarsi un gran bel giro dell’isola, ma soprattutto come l’Ospite, nella casa parrocchiale di Ischia Ponte, possa sentirsi a casa, sia che ospiti, sia che venga ospitato. Lo stupore, la meraviglia, la sorpresa e la gioia di riscoprirsi ancora capaci di sorprendersi ha colto tutti i partecipanti, pervadendo un senso di comunione e condivisione spontanea. L’Ospite Speciale, imbarcato con loro dopo la prima preghiera del mattino, Quello che li aspettava al porto con i pulmini per caricarli tutti, non uno di meno, Quello che pranzava seduto a tavola, poiché aveva fame, e Quello che serviva perché servire è amare. Quello che timonava il battello che ha costeggiato l’intera isola e Quello che ha porto il cono gelato al “gusto che vuoi tu”, “ma posso prenderlo anche con la panna?”, “oggi puoi fare tutto quello che vuoi”.
sedie e sediole, oggi si vola e attenti a non sudare
Claudio Baglioni
Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me
Mt 25, 31-46
E non abbiamo fatto in tempo a salutarci tutti, “tornate presto a trovarci” e “vi aspettiamo anche noi a Napoli, non abbiamo il vostro mare, ma il cuore è lo stesso” che già le strade che dalla Chiesa del Buon Pastore vanno verso Ischia Ponte, si coloravano di lumini che di lì a poco sarebbero stati accesi per illuminare la processione del Corpus Domini. Qualcuno stendeva il drappo più bello, che troppo tempo è rimasto piegato nel cassettone e qualcun altro preparava petali di rose, freschi di campo, da offrire al passaggio dell’Ostensorio.
Ed ecco i bambini che vestiti di bianco, illuminano le vie al crepuscolo, eccoli in fila indiana, qualcuno con la mano nella mano della catechista capofila, uno sguardo a metà tra il contento ed il cauto, l’emozione inframmezzata dal timore di sbagliare, quasi a voler dire con gli occhi “ok senza mascherina, ma posso anche respirare?”
E poi la gente riversata su strada a seguire l’Ostensorio, ammantato dal velo omerale, a copertura delle mani del sacerdote, come si fa con un bambino appena nato (o rinato), per toccare il quale si usano indumenti di cotone o di lino pregiato, a protezione della delicatezza, a custodia dalle intemperie del percorso, ed anche dalla polvere che è inevitabile incontrare in una sera afosa d’estate, col vento che si alza e che non è gagliardo, non più o non ancora.
O forse anche sì.
La serata del Corpus Domini si è conclusa al piazzale della Alghe, con una moltitudine di persone cha da tempo non si vedeva, nemmeno tra loro. Composta, silente, in attesa dell’agognata celebrazione, sino ad ora sottratta e che ha ripercorso dalla Chiesa del Buon Pastore ad Ischia Ponte, per tornare nella Chiesa dello Spirito Santo, ciò che non è più stato negli ultimi anni, ciò che non fu mai e quel che forse sarà.
Qualcosa è cambiato, forse incredulità, forse novità della riappropriazione di un culto tra i più sentiti e vivifici, riflessione e silenzio, contemplazione e meditazione, ciascuna parrocchia con il suo stendardo e ciascuna associazione con il suo emblema, tutti accomunati da un unico perché: la ricerca del Nutrimento, in Corpo e in Spirito, un nutrimento che si autoalimenta nel solo fatto di nutrire la folla, che non guarda l’aritmetica e non conta i pani e i pesci per dividerli con la moltitudine degli astanti, ma dice “date voi stessi loro da mangiare”, ciascuno come può, con quel che ha, nel posto in cui sta: QUI.
Ed ecco lo spirito della condivisione che dilata spazio e tempo ed avvolge tutti in una nube di possibilità. Quando il pane ed il pesce vennero benedetti questi saziarono tutti i gruppi di cinquanta fatti sdraiare a terra. Condividere è saziarsi, saziarsi è condividere, il Nutrimento passa per l’Ospite e si moltiplica tra chi dà e chi riceve, fa il giro dell’isola anche in sedia a rotelle e porta in spalla Sant’Antonio a due passi dal molo, torna e percorre le strade del borgo tra disegni di petali colorati, realizzati da mani ispirate e si ferma in quella folla che non viene congedata, non viene allontanata ma anzi diventa consegnataria di un Nutrimento da condividere, ancora, ancora, e ancora.
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