Iniziamo da questo numero la pubblicazione della relazione finale preparata dall’Equipe Diocesana per la prima tappa del Sinodo sulla Sinodalità
La nostra realtà isolana
Per la redazione della sintesi finale, l’Equipe Diocesana Sinodale ha ritenuto opportuno fornire un quadro preliminare che descrivesse brevemente alcuni aspetti del contesto del nostro territorio e alcune sue peculiarità, nella consapevolezza che essi costituiscono non solo una necessaria chiave di lettura di quanto successivamente si andrà ad enunciare, ma anche perché alcune particolarità dello scenario socio-culturale si intrecciano con le stesse esigenze che il Sinodo attualmente in corso ha fatto emergere.
Situata nel golfo di Napoli, terza isola italiana per popolazione con circa 70.000 abitanti su una superficie di 46,3 kmq., l’isola d’Ischia ormai da tanti decenni ha coltivato una vocazione turistica, sulla quale si basa principalmente l’economia locale, favorita dalle risorse naturali e dalla bellezza del territorio e del clima. Per comprendere il vissuto religioso è utile sapere che la larghissima maggioranza della popolazione è battezzata, mentre una minoranza di tali battezzati risulta non credente, o atea, o cattolica ma non praticante. La visione di una Chiesa sinodale, di una Chiesa “popolo di Dio” non è tuttavia ancora molto diffusa, mentre fatica ancora a realizzarsi la visione ecclesiologica del Concilio Vaticano II.
La pratica religiosa risulta abbastanza diffusa nell’appuntamento della Pasqua settimanale, ma lo è più largamente in forma occasionale. Nel tessuto cattolico, emergono tuttavia tratti peculiari di cui tenere conto. Vivere in un luogo isolato, risiedendovi da molto tempo e da diverse generazioni – questo è il tratto caratteristico della maggioranza della popolazione-, dovrebbe consolidare il sentimento di appartenenza e radicare le buone relazioni interne, ma può anche avere conseguenze diverse, può generare contrasti e malcontento che a volte non si fermano all’ambito di una sola generazione. I rapporti di vicinato possono diventare, alla lunga, difficili, spesso anche a causa delle caratteristiche fisiche del non ampio territorio a disposizione. La relazione che si genera tra vita privata e vita e spazi collettivi è strettamente legata alla qualità della relazione tra bene privato e individuale e bene comune. Può accadere che la mentalità privatistica, invada la vita sociale, minando fortemente il concetto di bene comune e la sua preservazione. Il bene comune dovrebbe essere coltivato non solo in astratto, ma nel concreto del vissuto quotidiano, con il rispetto e l’apprezzamento delle persone e dei beni altrui.
Il contesto politico e amministrativo dell’isola, da parte sua, non sembra favorire la costruzione di un terreno nel quale coltivare tale rispetto. Ischia è infatti suddivisa in sei comuni, una configurazione che apparentemente dovrebbe favorire la semplificazione e l’efficacia dell’amministrazione locale, ma che negli interventi concreti sembra a volte, purtroppo, seguire la logica dell’aiuto ai più vicini. Una suddivisione territoriale che rischia spesso di diventare difesa di interessi particolari e non favorisce la logica della tutela del bene di tutti, sebbene di recente le amministrazioni stiano cercando di collaborare su alcune tematiche comuni.
Anche alle comunità parrocchiali spetta il compito di favorire il concretizzarsi di una coscienza volta alla realizzazione del bene comune, di educare al senso di responsabilità e al rispetto del prossimo. Anche qui troviamo però qualche incongruenza: questo importante compito si apre a venticinque comunità parrocchiali, sparse su tutto il territorio, un numero elevato che, come nel caso dei numerosi comuni dovrebbe favorire, grazie alla diffusione capillare su tutto il territorio, il compito di educare alla buona coscienza e di proporre cammini di buone prassi da attuare in tutti i settori della vita quotidiana: sul lavoro, nelle scuole, ovunque sia necessario sollecitare il processo di relazione positiva, allo scopo di stimolare nuove modalità di partecipazione e di richiedere servizi adeguati ed efficaci, per rendere il territorio isolano sempre più vivibile. Più volte i vescovi italiani hanno sollecitato la necessità che la parrocchia diventi “soggetto sociale nei territori”; la parrocchia dovrebbe pertanto diventare significativamente luogo di incontro per tutti senza distinzione, dove crescere nella consapevolezza sociale e nella capacità di dialogo.
Questa necessità è sentita in modo così impellente da farne oggetto del IX Convegno Diocesano che si è tenuto nel novembre del 2019, dal titolo, appunto, “Quali parrocchie per l’Evangeli Gaudium?”. Il sottotitolo del Convegno recitava così: ‘…per l’evangelizzazione, più che per l’autopreservazione’. Proprio l’autopreservazione sembrava già allora l’ostacolo maggiore per le tante parrocchie isolane, ‘isolate’ nelle loro abitudini, tendenti quindi a riprodurre sul piano religioso quel modello relazionale che vi abbiamo sopra descritto, improntato all’individualismo più che alla ricerca del bene comune. In questa situazione, accompagnato dal soffio dello Spirito è entrato il Sinodo, con il suo invito a “camminare insieme”, che significa anche relazione fraterna e cooperazione. Anche esso ha bussato alle porte di tutte le venticinque parrocchie. Non tutti hanno aperto.
Il contributo dell’Equipe Sinodale Diocesana
Il gruppo di lavoro e coordinamento è formato da otto laici e due presbiteri. I componenti sono stati scelti come rappresentanti di diverse realtà del territorio isolano: alcuni di loro sono già impegnati a vario titolo nei diversi uffici pastorali della Diocesi, altri appartengono al mondo del lavoro e dei Movimenti e Associazioni laicali. Il Vescovo Gennaro ha scelto come referenti diocesani una laica e un presbitero: Pina Trani e don Pasquale Trani.
L’Equipe ha lavorato in pieno stile sinodale, coniugando le proprie competenze con l’esercizio della corresponsabilità e del lavoro per obiettivi comuni. Secondo quanto indicato nei documenti pubblicati dalla CEI, l’Equipe ha fatto da ponte tra CEI e Diocesi, e tra Diocesi e parrocchie e Aggregazioni laicali, cercando di unire comunità e gruppi ecclesiali, invitando le parrocchie a prendere parte al processo di consultazione in spirito di fraternità. Nello specifico, dopo la presentazione dell’Equipe in Diocesi, avvenuta il giorno dell’apertura dell’Anno Pastorale (il 18 ottobre), vi è stata una prima fase preparatoria, sempre in sintonia con il Vescovo, durante la quale, utilizzando anche le piattaforme per le videoconferenze, è stato attuato non solo un processo di conoscenza approfondita di tutti i documenti e le indicazioni pubblicate dalla Segreteria per il Sinodo, ma soprattutto di formazione allo stile sinodale, per imparare meglio ad ascoltare e a relazionarsi e far sì che il Sinodo non diventi solo produzione di documenti ma si trasformi in una occasione per avviare processi di trasformazione che aiutino la Chiesa a proseguire nella giusta direzione. Contestualmente, in questa prima fase, si è provveduto anche a pubblicare puntualmente quanto emergeva dai lavori di formazione attraverso l’organo di stampa diocesano (il Kaire), diffuso on line, ma anche in forma cartacea, dove i lettori hanno potuto trovare anche le sintesi dei documenti pubblicati dalla Segreteria generale per il Sinodo.
In questa fase di formazione, la Diocesi si è avvalsa della collaborazione di un gruppo di formatori (Centro Missione Emmaus), che la Diocesi aveva imparato a conoscere in occasione del IX Convegno Diocesano del 2019. Il loro intervento nei lavori del gruppo ha risposto pertinentemente a quanto previsto dalle premesse del Sinodo, espresse in particolare nel Vademecum, là dove si precisa che l’Equipe diocesana oltre a collaborare con le varie realtà territoriali, può avvalersi del contributo di seminari di formazione affidati ad esperti, per fornire alle persone un orientamento sulla sinodalità e per dotarle di competenze di base sui processi sinodali. Nelle parole degli esperti: “avviare processi significativi che mettano in moto cambiamenti”, è risuonato il leitmotiv dei lavori del IX Convegno del 2019, una buona premessa anche per i lavori del Sinodo.
Gli incontri formativi sono dunque serviti per insegnare a percorrere le vie del Sinodo. Ma quali vie? I formatori hanno fatto riflettere su quanto questo Sinodo sia un Sinodo molto particolare, che già nel titolo rivela la sua originalità: un “Sinodo sulla sinodalità”, una espressione tautologica che però rivela la sintesi e il significato stesso del Sinodo: la Chiesa in cammino riflette sul proprio cammino. Ma la domanda non è stata posta sulla meta del viaggio, quella sembra chiara, la domanda è stata piuttosto sul “come” continuare a camminare. In realtà anche per questa domanda c’era già la risposta, solo che era necessario recuperarla. La risposta ci è stata data duemila e passa anni fa, dal Maestro, (via, verità e vita). E questa risposta, nei laboratori decanali, ci è stata riconsegnata in modo chiarissimo.
Il Sinodo intende dunque riportare nella Chiesa uno stile e un atteggiamento che le sono sempre stati, e devono tornare a essere, propri: lo stile del Vangelo, lo stile dell’ascolto, che non è solo la caritatevole attenzione di chi ha un poco di tempo da dedicare “ai bisognosi”, agli “ammalati”, ai “poveri”, ma una forma mentis che entrando nelle nostre vite, deve permearle sempre, lasciando che su di essa si modellino le relazioni umane. Siamo abituati a essere sempre in connessione, a fare tante cose insieme, ad essere ‘multitasking’, sempre operativi ed iperattivi, a progettare e realizzare tante opere, anche nelle parrocchie. «Le nostre comunità non camminano più insieme, sono diventate sterili; non sono gli altri che non vengono più a Messa, siamo noi che non siamo più in grado di generare», hanno detto i formatori. Successivamente, l’Equipe ha lavorato insieme ai referenti parrocchiali e delle Aggregazioni laicali per il Sinodo.
Si sono svolti alcuni incontri per i quattro Decanati nei quali è diviso il territorio diocesano, durante i quali, in presenza dei membri dell’Equipe e degli esperti formatori, si è cercato di trasmettere lo spirito sinodale alle parrocchie attraverso i loro referenti. Lo scopo di questo passaggio è stato quello di offrire un sostegno e una guida per il proseguimento del Sinodo nella sua fase parrocchiale, tenuto conto che ogni parrocchia ha le sue peculiarità uniche ed insostituibili. Gli incontri hanno avuto una articolazione laboratoriale, con lo scopo di mostrare concretamente cosa significhi camminare insieme come figli di Dio. Gli incontri sono stati vere palestre di allenamento per imparare a lavorare insieme, per conoscere se stessi e imparare a conoscere gli altri, superando limiti e barriere, mettendosi in ascolto dello Spirito Santo, con sincerità e franchezza.
Dunque una esperienza di Chiesa sincera e veritiera. L’esperienza laboratoriale ha dunque mirato a sviluppare capacità e competenze da utilizzare poi nella fase successiva del percorso sinodale nelle parrocchie. Va notato, e non è una nota a margine, che in questa fase non tutti i referenti parrocchiali erano presenti. Si è iniziato a delineare un quadro generale della partecipazione che non si è smentito nelle fasi successive: come si è detto, non tutte le parrocchie hanno aperto la porta allo spirito del Sinodo che bussava. A fronte di un processo iniziale di formazione efficace e ben articolato, recepito da un uditorio attento e interessato, nel passaggio successivo, dove le esperienze maturate dovevano essere travasate ai contenitori vicini, cioè alle parrocchie, si sono formati i cosiddetti “tappi sinodali” (di cui parla don Dario Vitali in un suo recente intervento sul Sinodo). L’assenza di alcuni referenti parrocchiali durante i lavori della fase formativa ha fatto sì che non tutti andassero poi nella stessa direzione, o che prendessero direzioni proprie, anche improvvisando. Continua.
L’equipe sinodale diocesana