E’ proprio così. Le storie belle, legate al bene che viene fatto sempre, comunque e dovunque, vengono facilmente e troppo spesso dimenticate. Mentre noi stessi ci chiediamo spesso come fare, come essere d’aiuto a persone travolte da calamità naturali e da altri disastri provocati dall’uomo, che sembrano non avere fine. E ne sappiamo qualcosa da almeno due o tre anni a questa parte: non ci siamo fatti mancare niente, e di fronte a scenari semiapocalittici, non ultimo la guerra, ci siamo sentiti per lo più impotenti. E ci siamo chiesti allibiti come fare per dare una mano a tanti innocenti sopravvissuti a scenari di guerra o post terremoto, tanto per citarne due. I più giovani e coraggiosi si sono prestati e sono partiti come volontari per i luoghi delle sciagure; molti hanno contribuito con raccolte fondi; medici e infermieri si sono mossi; le caritas diocesane si sono organizzate per inviare aiuti concreti di alimenti e medicinali indispensabili. Ma c’è anche chi, pur volendo dare una mano, si è trovato in uno stato di indigenza così marcato che proprio non ha potuto contribuire in alcun modo. Ebbene c’è una storia meravigliosa, che ho scoperto per caso e voglio raccontarvela, giusto per capire che aiutare si può sempre, con i talenti di cui ciascuno dispone.
Era il lontano 1954, il 25 ottobre per la precisione, quando una pioggerella sottile cominciò a cadere sulla città e sulla provincia di Salerno. Un evento normale, le piogge sono tipiche dell’autunno. Solo che quella si trasformò col passare delle ore in un vero e proprio nubifragio, un’alluvione che tra il 25 e il 26 ottobre, costò la vita a 318 persone. In sole quattro ore caddero 500 mm di pioggia e le precipitazioni ininterrotte di due giorni causarono l’impensabile. La zona più colpita fu, oltre alla città di Salerno, la costiera amalfitana (Vietri sul mare, Cava dei Tirreni, Maiori, Minori, Tramonti.). La furia delle acque causò devastazioni inimmaginabili: ponti crollati, frane, palazzi spazzati via, esondazioni di fiumi e colate di fango. L’intera costiera amalfitana cambiò il suo aspetto avanzando nel mare con spiagge prima inesistenti formate dall’apporto di detriti conseguenti all’alluvione. Ebbene, allora la TV l’avevano in pochi e le notizie viaggiavano con lentezza, via radio. Gli Italiani risposero con grande generosità e per aiutare queste popolazioni prive di tutto (1700 famiglie persero case e beni) furono raccolti diversi milioni di lire in beneficenza attraverso la “catena della fraternità” organizzata dall’annunciatore televisivo Vittorio Veltroni, padre del più noto Walter. Una bambina romana, appena dodicenne, Raffaella La Crociera, ascoltò anche lei le notizie del disastro e nella sua innocenza scrisse alla RAI una lettera che diceva più o meno così: “Cara RAI, sono molto malata da oltre un anno. I miei genitori hanno speso tutto quello che avevano per guarirmi. Ed io non ho nulla da offrire per i bambini di Salerno. Offro solo questa mia poesia”.
Er Zinale (Il grembiule)
Giranno distratta pe casa, tra tanta robba sfusa, ha trovato: ah! come er tempo vola, er zinale de scola. Nero, sguarcito, Un pò vecchio e rattoppato, è rimasto l’amico der tempo passato. Lo guarda e come se gnente fusse a quell’occhioni spunteno li lucciconi, e se rivede studente allegra e sbarazzina tanto grande, ma bambina. Lo guarda e come un’eco risente quelle voci sommesse: Presente! Li singhiozzi, li pianti, li mormorii fra li banchi, e senti…senti… pure li suggerimenti. Tutto rivede e fra quer che resta, c’è la cara sora maestra. Sospira l’ècchese studente, perché sa che a scola sua non ce potrà riannà. Lei cià artri Professori, poverina. Lei cià li Professori de medicina.
Bellissima questa poesia in dialetto romanesco che rivela una sensibilità artistica, una dolcezza e un’intelligenza fuori dal comune, ma anche il rimpianto della piccola per aver dovuto abbandonare troppo presto il suo grembiule di scuola a causa della grave malattia. Piacque tantissimo la sua composizione e venne letta durante la trasmissione Campo dei fiori, tanto che la RAI decise di metterla all’asta. Partì una vera e propria gara di solidarietà e moltissimi radioascoltatori fecero la loro offerta, fino a quando la contessa Cenci Bolognetti dalla Svizzera offrì, per la poesia di Raffaella, ben mezzo milione di lire, una cifra davvero enorme per quei tempi. La ragazzina ebbe la gioia di apprendere di essere stata capace, con un’azione di solidarietà tutta sua, di aiutare tanti ragazzini, vittime infelici di quella catastrofe, così diversa dalla sua. Ma il bene provoca sempre altro bene e fu così che un negoziante romano di giocattoli, Fausto Arnesano, il I novembre le promise in dono la sua bambola più bella perché le tenesse compagnia.
Pensate che gioia per la piccola, che pure sapeva della sua malattia terribile, tanto che quella sera aveva detto al papà: “Papà, ti dirò, avevo chiesto una grazia: diventare poetessa e poi morire. Ora lo sono e sento già spuntare le ali”. Infatti morì il 2 novembre, qualche giorno dopo la tragedia salernitana e appena due giorni dopo la trasmissione che aveva messo all’asta la sua poesia. La bambola le arrivò quella mattina e su un cuscino di fiori bianchi l’accompagnò precedendo la piccola bara, tra due ali di folla commossa. A un anno dalla sua morte, fu assegnato a Raffaella La Crociera il “premio bontà” di Livio Tempesta consegnato alla famiglia, mentre due scuole elementari, una a Roma e una a Salerno, sono intitolate alla piccola poetessa. Ma il suo ricordo rivive soprattutto nel monumento funebre a lei dedicato e collocato a Roma nel Campo degli eroi del cimitero del Verano, un’area dove riposano i resti mortali di eroi, artisti e poeti. Qui, nella statua di uno scultore genovese Silvio Miraglia, Raffaella rivive in marmo bianco, e sembra venirci incontro stringendo un libro in una mano e appoggiando l’altra sul suo grande cuore.
(Riduzione da Roma Sparita – Storia e cultura- da archivio lacrocieraraffaella)