Continua la pubblicazione della relazione finale preparata dall’Equipe Diocesana per la prima tappa del cammino sinodale.
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La fase parrocchiale
La parola è passata alle parrocchie e quelle meno informate hanno faticato non poco ad attuare il loro cammino sinodale. Va detto, a onor del vero, che la pandemia ancora in corso, con le limitazioni da essa imposte, e la paura del contagio, non hanno favorito un buon funzionamento dei lavori. Ma alcune parrocchie hanno avuto anche altre difficoltà interne che hanno fermato o reso disagevole il percorso sinodale: disgregazione della comunità parrocchiali, consigli pastorali inesistenti o malfunzionanti, diffidenza, autoreferenzialità, mancanza di un sacerdote, ferite vecchie e nuove, laici eccessivamente clericalizzati nelle loro posizioni o semplicemente laici che di fronte alle proposte del Sinodo non sapevano cosa fare. Tuttavia a ogni parrocchia è stata offerta la collaborazione dell’Equipe Sinodale, che con attenzione è intervenuta presso quelle comunità che hanno richiesto o accettato l’aiuto offerto. Durante gli incontri tra i membri dell’Equipe e i componenti delle parrocchie che hanno accettato l’aiuto – incontri che dovevano essere propedeutici alle attività che poi la comunità doveva svolgere autonomamente – è stato attuato prima un lavoro di divulgazione dei documenti e degli intenti del Sinodo e poi si è avviata la fase laboratoriale, dove concretamente la comunità ha potuto sperimentare lo “stile sinodale”. L’esperienza presso alcune parrocchie è stata positiva e fruttuosa, a tratti commovente, poiché molti non si aspettavano di ricevere tanta attenzione alle loro esigenze, né si aspettavano di potersi esprimere liberamente e con franchezza anche di fronte ai propri parroci. Dopo una iniziale diffidenza, i cuori si sono aperti alla inattesa novità: all’attenzione vera e solidale che si percepiva verso i problemi delle persone e le loro difficoltà.
La risposta delle parrocchie
Alla scadenza fissata quasi tutte le parrocchie hanno mandato la relazione loro richiesta. Ad esse si sono aggiunte due relazioni che testimoniano l’impegno extra parrocchiale di un progetto giovanile diocesano (il Progetto Policoro) e dell’Ufficio Diocesano di pastorale sociale, che in diversa e personale misura, hanno voluto dare il loro contributo. Inoltre hanno dato il proprio apporto anche il presbiterio e la Consulta delle Associazioni Laicali.
Molti i temi emersi e i punti da ricordare.
Un Sinodo diverso Tutti coloro che hanno accolto questo spirito nuovo, hanno osservato la sua singolarità rispetto ai precedenti. Un Sinodo, cioè, che non vuole offrire riflessioni o teorie, ma desidera stimolare ad un cambiamento: di pensiero e di vita. Vuole soprattutto aiutare a sanare fratture: nelle diocesi, tra i presbiteri, tra presbiteri e laici, tra movimenti, associazioni e gruppi di preghiera, tra adulti e giovani. Fratture originate dalla mancanza di ascolto, spesso disturbato dalla fretta, dalla autoreferenzialità, dai preconcetti, dalla superbia spirituale.
Entusiasmo e sorpresa…ma con moderazione. Tutte le parrocchie che hanno accolto il Sinodo, sia attraverso le sollecitazioni che la Diocesi ha trasmesso con le sue iniziative e il contributo dell’Equipe, sia anche lavorando in autonomia e personalizzando il proprio percorso, che hanno presentato la relazione finale, hanno lasciato trasparire un discreto entusiasmo e una positiva accoglienza delle proposte di un “cammino comune”. Per molte comunità il Sinodo ha rappresentato un vento nuovo, soprattutto dopo il lungo periodo di restrizioni causato dalla pandemia e la solitudine dell’isolamento da essa derivate, ma molte hanno riconosciuto che tanta strada c’è ancora da fare.
Ascolto. L’ascolto, caposaldo del Sinodo e metodo per diffondere quanto lo Spirito Santo suggerisce alla Chiesa, declinato come strumento di relazione e di attenzione verso l’altro, unito al tema del “camminare insieme”, ha generato positive reazioni, lasciando emergere il desiderio di stare insieme in armonia. C’è stata la sincera riscoperta dell’ascolto di Dio, che ci parla attraverso il fratello, il vicino, gli umili.
Riscoprire l’altro come compagno di viaggio. Connesso al tema dell’ascolto è il tema della conoscenza dell’altro, premessa necessaria quando si vuole crescere insieme come compagni di viaggio. Non sempre, hanno riferito molti, questa premessa viene considerata, spesso nelle comunità si costruiscono mura che separano la Chiesa dal resto del territorio e siepi al suo interno per separare quelli più vicini al parroco dagli altri, per eccesso di clericalismo e protagonismo.
Camminare insieme. Si è rilevato che spesso nelle comunità il camminare insieme riguarda solo coloro che frequentano le parrocchie e hanno un ruolo al loro interno, ma spesso costoro non sembrano essere veramente provocati dal Signore a costruire qualcosa di significativo insieme agli altri fratelli, soprattutto coloro che sono al di fuori della comunità. E si corre anche il rischio che non sia più la parrocchia il luogo dove incontrare personalmente il Signore.
Parlare chiaro. Si è altresì rilevato (e con sorpresa!) un grande bisogno di essere ascoltati. Il Sinodo ha dato occasione di comprendere che si poteva parlare con franchezza di tanti argomenti. Molti hanno manifestato insofferenza e dolore, ma anche frustrazione, causati dalla sensazione di non aver mai potuto esprimere la propria opinione, o dall’essere in una posizione di minoranza. Il maggiore freno al parlar chiaro è la paura di essere giudicati, questo perché non si percepisce il luogo dove si parla come contesto dove si è accettati per come si è, con i propri limiti. Le riunioni per il Sinodo sono state, per queste persone, occasione preziosa per poter finalmente parlare sentendosi a casa.
Responsabilità della missione. Non può esistere una Chiesa missionaria se non ci sono persone che realmente hanno sperimentato l’incontro con Cristo. Esso genera gioia, entusiasmo che si trasmette come elettricità, per contatto e contagio, spazzando via la pigrizia, spingendo ad uscire dalle proprie zone di comfort. Quando ciò accade si possono raggiungere anche i più lontani, anche i giovani e le persone che vivono ai margini del tessuto sociale.
Discernere, decidere, partecipare. Nelle parrocchie maggiormente organizzate è emerso senza dubbio che il lavorare in gruppo nel rispetto delle esigenze e dei tempi di tutti, consultandosi e rispettandosi, è sempre la carta vincente, è il lievito che consente un processo di crescita corretto e positivo, che sfocia in progetti condivisi e fruttuosi.
Covid e pandemia. Temi ricorrenti utilizzati spesso e a ragione per giustificare la difficoltà di mettere in atto la modalità laboratoriale del Sinodo. La pandemia ha generato paura del contagio e diffidenza verso i contatti in presenza. L’utilizzo dei mezzi tecnologici con gli incontri a distanza, come la DAD per la scuola, non hanno potuto sostituire la bellezza del contatto diretto tra le persone. Probabilmente senza la pandemia le cose potevano andare meglio per lo sviluppo delle attività laboratoriali del Sinodo.
Parrocchie fossilizzate. Alcune parrocchie appaiono cristallizzate, ferme su un assetto organizzativo dove il parroco gestisce, prendendosi tutta la responsabilità, senza attivare percorsi né di consultazione né di cooperazione con i laici, i quali a loro volta appaiono sottomessi e gratificati solo per le attenzioni che il sacerdote rivolge loro nell’affidargli delle mansioni. Sono le parrocchie del “si è fatto sempre così”, espressione che a volte sembra avere come sottotitolo: “…e sempre così si farà”. Questo tipo di parrocchia, dove spesso lo stesso parroco “impera” per decenni, non permette al gruppo dei laici di crescere in autonomia (ma forse essi neppure lo desiderano). La comunità si irrigidisce nei suoi rapporti interni, ma anche verso l’esterno, rimanendo bloccata in una specie di limbo. Quando accade che in queste parrocchie il sacerdote per vari motivi viene improvvisamente a mancare, le comunità, perso il capitano, si disgregano, perdono pezzi, vivono una spirale di negatività nella quale la sinodalità, che potrebbe essere il rimedio, non riesce ad incarnarsi, poiché le persone si sentono ferite in modo inguaribile.
Parrocchie che ci ripensano. Alcune parrocchie tuttavia, pur appartenendo alla categoria precedente, sono state colpite positivamente dal Sinodo e dalla modalità con la quale esso ha bussato alla loro porta. Superata l’iniziale diffidenza, queste comunità hanno percepito il valore di quanto veniva loro proposto e, pur riconoscendo il grande lavoro che hanno da compiere, si sono perlomeno armate di buoni propositi. Alcune di loro hanno compreso che prima di dare risposte alle domande che il Sinodo proponeva, era necessario acquisire uno stile di pensiero e di comportamento che fosse ispirato alla sinodalità. Dunque per queste parrocchie il punto di forza che è emerso è senza dubbio la consapevolezza dei punti di debolezza, il che è un buon inizio.
Parrocchie alla riscossa. Diversa la situazione – nella nostra diocesi abbiamo trovato un paio di ottimi esempi – di comunità che hanno ricevuto un buon allenamento alla cooperazione con il sacerdote, piuttosto che alla sottomissione, che hanno cioè fatto esperienza di responsabilità diffusa e condivisa e hanno visto riconosciuto il valore di ogni singolo ruolo svolto all’interno della comunità. Queste comunità, in grado di camminare da sole, sono state in grado di sopportare scossoni anche forti senza perdere la propria stabilità interna.
Giovani. È il tasto dolente indiscusso di tutte le parrocchie. Tutti li cercano, ma nessuno li trova. Sono distanti, entrano a fatica in Chiesa e lo fanno spesso perché costretti dalle famiglie, per ricevere i sacramenti necessari al loro percorso di vita che ancora, per fortuna, costeggia per alcuni tratti quello della Chiesa. È probabile che manchi qualcosa anche nel loro accudimento spirituale, le famiglie sembrano non riuscire a dare l‘esempio, per impreparazione, e preferiscono delegare la parrocchia. Famiglie e comunità. Anche nelle famiglie, ci sono enormi difficoltà proprio a causa del poco ascolto, che rende difficile “la testimonianza” del Vangelo. Le nuove generazioni, è emerso da alcune realtà, sentono l’odore dell’ipocrisia che spesso aleggia nelle nostre realtà parrocchiali. Per essere credibili testimoni di Cristo è necessario un rinnovamento personale e comunitario, mentre spesso al contrario è presente un forte clericalismo, non solo tra i sacerdoti, ma ancor più tra i laici impegnati, che hanno assorbito modi e linguaggio che non appartengono loro, mentre sarebbe necessaria semplicità, umiltà e accoglienza. Allo stesso modo non si è ancora imparato a parlare con franchezza e gentilezza, a dire cioè la verità con buone e affettuose parole, preferendo il “chiacchiericcio”, di cui parla Papa Francesco, cioè il parlare alle spalle, senza coraggio e sincerità. È vero che, sulla scia dei consigli di Papa Francesco molto è stato già fatto sulla strada della “parresia”, ma molto c’è ancora da fare: è necessario uscire dalle “sclerosi del cuore” e dalle “sclerosi ecclesiali”, chiedendo allo Spirito Santo il dono della conversione verso il “noi” e la capacità di camminare insieme. Questo permetterà alle nostre comunità di non essere un “harem” di individualisti, ma una comunità sposa di Cristo: il pericolo dei battitori liberi è sempre presente, soprattutto nei laici impegnati, affetti dalla cosiddetta “sindrome dell’ippodromo”: la corsa ai primi posti, il primeggiare per entrare nelle grazie del parroco.
L’equipe sinodale diocesana