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Commento al Vangelo Lc 12,13-21

Gesù in questa domenica mette il dito in una grossa piaga, scoperchia quei desideri nascosti che noi, solo nella nostra interiorità o spero almeno al confessore, abbiamo detto. Sto parlando dei soldi, delle ricchezze, amici miei, sì, di ciò che è detto lo sterco del diavolo, di quello di cui Papa Francesco continuamente ci indica come uno dei mali peggiori. Purtroppo chi è il vincitore? Chi fa più soldi (nei giochi di società da piccolini è così); chi fa una vita felice? Chi si può permettere un gruzzoletto per potersi anche curare (come se sconfiggere una malattia dipendesse dai soldi).

È la logica di questo mondo purtroppo, chi fa più soldi vince, chi fa più soldi è contento ed è esattamente quello che è lo spirito di ogni competizione. È un po’ davvero una logica americana quantizzare tutto ciò che fai, quantizzare i tuoi talenti, quantizzare la riuscita della tua vita, quantizzare … le notizie che fanno più scalpore sono le pensioni, il taglio delle tasse, il reddito di cittadinanza ecc. Tutto questo mi ha fatto molto riflettere, perché questa economia, questo modo di impostare il mondo ha dato origine a tantissimi problemi.

Mi piace molto l’approccio evangelico biblico riguardo a questa cosa; le leggi dell’economia non sono state dettate a Mosè dal monte Sinai, le abbiamo fatte noi. Io non so quale sia la soluzione, non sono un esperto e non entro dentro questa cosa, so solo che vedo che l’un per cento della popolazione mondiale ha più soldi del restante 99% e qualcosa non mi torna. La Bibbia dice spesso che la ricchezza è sempre dono di Dio; la Bibbia non è pauperista ne classista. La ricchezza è sempre dono di Dio, è una benedizione che bisogna accogliere quando viene, sapendo però che è un rischio perché la ricchezza promettere ciò che non riesce a mantenere! Poi c’è un secondo corollario interessante che dice che la ricchezza è sempre dono di Dio, ma la povertà è sempre colpa del ricco e questo perché, non si vive nella logica in cui tutto ci è donato, tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio dice San Paolo.

Il tema di oggi, il tema di questa nostra estate è proprio il nostro rapporto con le cose del mondo, con la ricchezza; voi mi direte ma io non ho tanti soldi, ma la ricchezza secondo me non è una questione di spessore di portafoglio ma di atteggiamento dell’anima; la mia paura è che con la scusa che non ho niente, non solo hai, ma avviene una fuga dell’anima dalla vera e profonda umanità. Ecco allora due temi presenti oggi. Prima di tutto Gesù sta parlando e un uomo lo interrompe con una domanda stupida quella di risolvere il caso dell’eredità; lui dice a Gesù di cosa deve parlare. Gesù ci deve parlare di queste cose qui, questo ci interessa. Alzi la mano chi non ha mai avuto problemi per questione di soldi: col datore di lavoro quando hai chiesto l’aumento, con tuo fratello quando si è trattato di dividere l’eredità dello zio eccetera. Siamo tutti francescani casti, puri e poveri fino a quando qualcuno non ci viene a toccare i soldi e poi ne facciamo una questione di principio.

Ma Gesù farà un’altra catechesi. Gesù chiede chi lo ha fatto giudice tra loro due? Ma Gesù è un giudice? Certo è il giudice, tra i vivi e i morti, è giudice mediatore tra Dio e il Padre, è giudice di ciò che conta sul serio. Gesù risponde: no grazie! Gesù non è giudice delle sciocchezze, delle stupidaggini, delle nostre beghe; egli è giudice di ciò che conta. Per cui Gesù fa vedere veramente quello che conta e che tutti questi problemi di fratelli che si rubano l’eredità fra di loro, di distruzioni familiari, di lotte fra le nazioni, di povertà, di ricchezza e tutte queste tristezze umane sono collegate alla cupidigia, alla nostra avidità. Che cos’è l’avidità? È interessante che la prima lettura del libro del Qoelet recita “vanità delle vanità tutto è vanità”, in ebraico significa “è vapore”, tutto è vapore, tutto è niente. Bisogna rendersi conto di una cosa, che tutto ciò per cui lavoriamo (così continuerà la citazione della prima lettura) svanisce. Noi diventiamo avidi se perdiamo di vista ciò che veramente resta, ciò che veramente conta. Noi finiamo per interrompere Gesù mentre parla, per farlo parlare di stupidaggini, di cose piccole; noi sappiamo di essere presi da cose piccole e finiamo per non ascoltare nemmeno Gesù che parla perché abbiamo in testa la nostra musica che è possedere, avere. Ecco che Gesù, dicendo a questi due fratelli di arrangiarsi, racconta una parabola, una parabola molto strana.

In questa parabola si parla di un tale di cui non si sa nulla, nessuna caratteristica qualitativa, etica, morale; si dice di uno che alla fine ha avuto uno splendido raccolto e avendo uno splendido raccolto non dorme la notte perché dice che deve trovare una soluzione, ingrandire i magazzini, deve stoccare di più. Non si dice neppure che sia uno cattivo, uno arrogante, uno divorato dalla bramosia, uno che ruba il pane ai poveri; una volta che è diventato ricco invece di mettersi a godere davanti a Dio di quello che ha avuto, continua a lavorare di più. Non si rende conto che ha il parametro sbagliato; il suo parametro è il possesso, voler dare una casa ai figli, conservare i soldi per i posteri, sistemare le cose di casa mentre c’è un altro parametro: Gesù gli dice scemo, sei sciocco, stanotte morirai, ma non come punizione ma perché può succedere; magari fuma troppo, magari lavora 18 ore al giorno eccetera.

Gesù sta dicendo: quando valutate la vostra vita, quando valutate le vostre cose, provate a guardarle in un ambito più grande, non in quello che succederà domani, perché molto spesso, ha ragione Gesù, là dove è il nostro tesoro è anche il nostro cuore e per quel tesoro noi siamo divorati dalle preoccupazioni. Chiunque voglia veramente iniziare a ragionare sulla propria vita, deve fare i conti con l’escatologia, con il fine ultimo delle cose, con il dover rispondere a Dio, colui che è il giudice e il mediatore della propria vita. Noi facciamo dell’oggi lo scopo unico della nostra esistenza, ma la nostra vita sarà interrogata (molto interessante): “Ma questo che sto facendo mi farà presentare davanti a Dio come persona fiera, come persona che può essere serena o mi dovrò vergognare non potendo stare in piedi davanti al Signore quando verrà? Allora che mi importa se mio fratello mi ha rubato l’eredità, che mi importa se il mio vicino mi rompe le scatole per dieci centimetri, quello che veramente conta qui è il mio cuore, dove egli sta, di cosa sta vivendo; vive di vanità, di tutta la gloria di questo mondo? Il distacco dalle cose non è altro che povertà in questo mondo ed è grande ricchezza nel cielo; di fatto questo Vangelo termina con un versetto enigmatico, dicendo: “così è di chi accumula tesori per se e non si arricchisce presso Dio”.

Noi non siamo poveri per essere poveri, siamo poveri per essere ricchi davanti a Dio, poveri in questo mondo, distaccati, pronti a perdere tutto, pronti a lasciare tutto per stare alla presenza di Dio, perché le cose ci rubano, ci scippano con la loro ansia, con il loro affanno. Perderemo tutto ciò che accumuliamo, tutto quello che gli uomini pensano di noi. Il giorno dopo quando sei andato in pensione non ti rispetta più nessuno, si sono dimenticati tutti di te, e per fortuna che è così, perché altrimenti uno diventerebbe schiavo del proprio personaggio, non sarebbe mai una persona. Siamo pronti a che Dio venga e ci chieda conto della vita? Può non essere la morte il momento in cui ci viene richiesta la vita, può essere un fatto strano che ci accade, magari anche molto bello o molto brutto, è il momento in cui viene misurata la nostra pasta; dobbiamo dimostrare che stiamo di fronte a ciò che veramente conta. Ecco una splendida liturgia della parola per diventare liberi, per rientrare asciutti, per stare nella vita con la giusta prospettiva. L’augurio che vi faccio è proprio quello di provare a chiedervi, a chiederci, chi e cosa è veramente il Signore della mia vita, chi e cosa davvero occupa il mio spazio mentale, il mio spazio vitale, chi e cosa a volte rischia di spegnere la mia vita.

Buona domenica!

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