Commento al Vangelo Lc12, 40-57
Cristo brucia, è un fuoco, Cristo è qualcosa che divampa nel cuore. Questo è il messaggio di questo splendido Vangelo nel cuore dell’estate. Gesù non è soltanto l’iniziatore di una visione di Dio. Matteo riporta una frase detta da Gesù che ci lascia basiti: non è venuto a portare la pace dei cimiteri, ma è venuto ad accendere, a scatenare un incendio, incendio d’amore ovviamente, un incendio che è completamente diverso dalla visione della conquista armata che anche noi cristiani storicamente abbiamo purtroppo incarnato. Quando Matteo scrive questa cosa è successo qualcosa di drammatico all’interno della prima comunità cristiana. La comunità di Matteo era composta interamente da ebrei diventati cristiani o meglio che hanno riconosciuto Gesù come messia. Quella comunità vive la distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dell’esercito romano dopo la prima rivolta giudaica. La distruzione del tempio è qualcosa di assolutamente devastante ed è probabilmente la ragione per cui Matteo si mette a scrivere il suo Vangelo; un vangelo c’era già ed era quello di Marco, ma egli sente il bisogno di leggere la storia nuovamente (e questo mi piace tantissimo). La fine del tempio segna la fine del giudaismo così come l’aveva conosciuto Matteo e come l’aveva conosciuto Gesù (non c’è più un tempio, non c’è più Gerusalemme, non c’è più nulla). I sopravvissuti a questa distruzione sono quelli che noi chiamiamo i farisei; essi si radunano nel nord e decidono di ripartire; non hanno più il tempio, non hanno più la sinagoga e ciò che resta è la Torah e intorno alla parola si costruirà il nuovo giudaismo. In quell’occasione vengono maledette molte persone e fra queste ci sono anche i discepoli del Nazareno.
Potete immaginare lo shock che provoca questa cosa: una famiglia in cui fino al giorno prima tutto andava bene, tu eri un buon ebreo israelita e in più seguivi gli insegnamenti di rabbi Yehoshua di Nazareth, l’indomani mattina sei scomunicato. Ecco allora che capiamo questa contrapposizione: padri contro figli, figli contro padri eccetera. Gesù sta dicendo che c’è un momento in cui la scelta cristiana costa addirittura a livello di gestione degli affetti, addirittura a livello di identità. Finché il cristianesimo è o resta come dire una pia anestesia, santa, carina – vogliamoci bene, dobbiamo essere bravi ragazzi – come facciamo a sapere se veramente crediamo? Allora Gesù ci ricorda che la fede è fuoco! Chi ha scoperto veramente Gesù dentro di sé si sente devastato, avverte un’inquietudine, dà fuoco alle polveri ed è qualcosa da cui è difficile poi sottrarsi! È bello che la fede cristiana non sia fare i bravi ragazzi ma incontrare colui che può illuminare, incendiare la tua vita. Gesù è venuto a gettare (bellissima immagine) il fuoco sulla terra; è lui che dà fuoco e, nord se ci guardiamo in questi duemila anni di cristianesimo con alti e bassi, è accaduto veramente. Però questo costa una fatica, vuol dire che ti estranea dal mondo; ne sa qualcosa Geremia nella prima lettura, un profeta tormentato, straordinario; è nato poco distante da Gerusalemme e si ritrova in un momento storico difficilissimo. Siamo intorno al settimo secolo a.C. e il regno del Nord ormai è crollato da tempo; ancora esso cerca di destreggiarsi come un piccolo topolino in mezzo a tanti gatti. Ciò che rimane del regno cerca di mantenere i rapporti con la Siria e l’Egitto. Ed ecco che irrompe sulla scena Babilonia, Nabucodonosor, che prima assedia Gerusalemme e poi alla fine la assalirà nel 587 distruggendola, radendo al suolo il tempio e deportando tutti i capi famiglia. Geremia è l’unico profeta che dice al re: «Guardate che non va bene quello che state facendo”. Per questa ragione viene perseguitato. Tutti i profeti di corte dicono al re quello che il re vuole sentirsi dire, mentre Geremia è l’unico che dice veramente le cose come stanno. Ecco la rabbia, l’odio verso chi predica la verità, ma che lo fa con mitezza, arrendevolezza, non con cattiveria e minacciando ritorsioni. Geremia viene buttato nella cisterna, è buttato via. Guardate che se veramente prendiamo sul serio il Vangelo, può succedere che ogni tanto qualcuno ci butta in una cisterna, può succedere che qualcuno ci dica: secondo me è meglio che tu stia zitto. Allora il Vangelo di oggi spalanca gli orizzonti, aiuta a capire di più e meglio chi siamo, chi è Cristo, cosa facciamo e dove andiamo; ci aiuta a capire di più e meglio quello che è il grande progetto di Dio sull’umanità. Siamo noi i nuovi Geremia sulla terra, siamo noi coloro che non devono buttare il fuoco sulla terra, ma vivere da incendiati, vivere da accesi, vivere da illuminati che non vuol dire migliori né vuol dire diversi, vuol dire semplicemente consapevoli di quella che è la parola che Dio dona all’umanità. E prepariamoci anche ad avere un po’ di contraddizione. Se nell’ufficio non vengo preso in giro perché sono cristiano, se nella famiglia non hanno approfittato di me perché sono quello buono, un po’ tontolone, credulone, se nel paese in cui vivo non ho fatto una bella litigata perché porto avanti determinate idee di visione dell’uomo, della storia, di lettura della realtà, beh allora vuol dire che o proprio non si vede che siamo cristiani o viviamo in un monastero. Insomma concludo usando un’espressione del grande Sant’Ignazio di Loyola, che, mandando i suoi compagni ad evangelizzare fino agli estremi confini, fino alla Cina, diceva loro: «Andate e incendiate il mondo!». Buona domenica!
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Cristo brucia, è un fuoco, Cristo è qualcosa che divampa nel cuore. Questo è il messaggio di questo splendido Vangelo nel cuore dell’estate. Gesù non è soltanto l’iniziatore di una visione di Dio. Matteo riporta una frase detta da Gesù che ci lascia basiti: non è venuto a portare la pace dei cimiteri, ma è venuto ad accendere, a scatenare un incendio, incendio d’amore ovviamente, un incendio che è completamente diverso dalla visione della conquista armata che anche noi cristiani storicamente abbiamo purtroppo incarnato. Quando Matteo scrive questa cosa è successo qualcosa di drammatico all’interno della prima comunità cristiana. La comunità di Matteo era composta interamente da ebrei diventati cristiani o meglio che hanno riconosciuto Gesù come messia. Quella comunità vive la distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dell’esercito romano dopo la prima rivolta giudaica. La distruzione del tempio è qualcosa di assolutamente devastante ed è probabilmente la ragione per cui Matteo si mette a scrivere il suo Vangelo; un vangelo c’era già ed era quello di Marco, ma egli sente il bisogno di leggere la storia nuovamente (e questo mi piace tantissimo). La fine del tempio segna la fine del giudaismo così come l’aveva conosciuto Matteo e come l’aveva conosciuto Gesù (non c’è più un tempio, non c’è più Gerusalemme, non c’è più nulla). I sopravvissuti a questa distruzione sono quelli che noi chiamiamo i farisei; essi si radunano nel nord e decidono di ripartire; non hanno più il tempio, non hanno più la sinagoga e ciò che resta è la Torah e intorno alla parola si costruirà il nuovo giudaismo. In quell’occasione vengono maledette molte persone e fra queste ci sono anche i discepoli del Nazareno.
Potete immaginare lo shock che provoca questa cosa: una famiglia in cui fino al giorno prima tutto andava bene, tu eri un buon ebreo israelita e in più seguivi gli insegnamenti di rabbi Yehoshua di Nazareth, l’indomani mattina sei scomunicato. Ecco allora che capiamo questa contrapposizione: padri contro figli, figli contro padri eccetera. Gesù sta dicendo che c’è un momento in cui la scelta cristiana costa addirittura a livello di gestione degli affetti, addirittura a livello di identità. Finché il cristianesimo è o resta come dire una pia anestesia, santa, carina – vogliamoci bene, dobbiamo essere bravi ragazzi – come facciamo a sapere se veramente crediamo? Allora Gesù ci ricorda che la fede è fuoco! Chi ha scoperto veramente Gesù dentro di sé si sente devastato, avverte un’inquietudine, dà fuoco alle polveri ed è qualcosa da cui è difficile poi sottrarsi! È bello che la fede cristiana non sia fare i bravi ragazzi ma incontrare colui che può illuminare, incendiare la tua vita. Gesù è venuto a gettare (bellissima immagine) il fuoco sulla terra; è lui che dà fuoco e, nord se ci guardiamo in questi duemila anni di cristianesimo con alti e bassi, è accaduto veramente. Però questo costa una fatica, vuol dire che ti estranea dal mondo; ne sa qualcosa Geremia nella prima lettura, un profeta tormentato, straordinario; è nato poco distante da Gerusalemme e si ritrova in un momento storico difficilissimo. Siamo intorno al settimo secolo a.C. e il regno del Nord ormai è crollato da tempo; ancora esso cerca di destreggiarsi come un piccolo topolino in mezzo a tanti gatti. Ciò che rimane del regno cerca di mantenere i rapporti con la Siria e l’Egitto. Ed ecco che irrompe sulla scena Babilonia, Nabucodonosor, che prima assedia Gerusalemme e poi alla fine la assalirà nel 587 distruggendola, radendo al suolo il tempio e deportando tutti i capi famiglia. Geremia è l’unico profeta che dice al re: «Guardate che non va bene quello che state facendo”. Per questa ragione viene perseguitato. Tutti i profeti di corte dicono al re quello che il re vuole sentirsi dire, mentre Geremia è l’unico che dice veramente le cose come stanno. Ecco la rabbia, l’odio verso chi predica la verità, ma che lo fa con mitezza, arrendevolezza, non con cattiveria e minacciando ritorsioni. Geremia viene buttato nella cisterna, è buttato via. Guardate che se veramente prendiamo sul serio il Vangelo, può succedere che ogni tanto qualcuno ci butta in una cisterna, può succedere che qualcuno ci dica: secondo me è meglio che tu stia zitto. Allora il Vangelo di oggi spalanca gli orizzonti, aiuta a capire di più e meglio chi siamo, chi è Cristo, cosa facciamo e dove andiamo; ci aiuta a capire di più e meglio quello che è il grande progetto di Dio sull’umanità. Siamo noi i nuovi Geremia sulla terra, siamo noi coloro che non devono buttare il fuoco sulla terra, ma vivere da incendiati, vivere da accesi, vivere da illuminati che non vuol dire migliori né vuol dire diversi, vuol dire semplicemente consapevoli di quella che è la parola che Dio dona all’umanità. E prepariamoci anche ad avere un po’ di contraddizione. Se nell’ufficio non vengo preso in giro perché sono cristiano, se nella famiglia non hanno approfittato di me perché sono quello buono, un po’ tontolone, credulone, se nel paese in cui vivo non ho fatto una bella litigata perché porto avanti determinate idee di visione dell’uomo, della storia, di lettura della realtà, beh allora vuol dire che o proprio non si vede che siamo cristiani o viviamo in un monastero. Insomma concludo usando un’espressione del grande Sant’Ignazio di Loyola, che, mandando i suoi compagni ad evangelizzare fino agli estremi confini, fino alla Cina, diceva loro: «Andate e incendiate il mondo!». Buona domenica!
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