Omelia di Mons. Pascarella in occasione del 5° anniversario del terremoto, presso la Basilica di S. Maria Maddalena in Casamicciola
Is 66,18b-21; Eb 12,5-7.11-13; Lc 13,22-30
Cinque anni ormai, tra luci e ombre, senza che nulla sia cambiato da quella terribile sera del mese di agosto, una sera che difficilmente dimenticheremo. Come promemoria, se non bastasse il ricordo dell’esperienza di quella notte, abbiamo le macerie, la ruggine che avanza sulle impalcature, le erbacce che stanno ricoprendo come un velo pietoso le case distrutte.
Nell’omelia per la celebrazione del quinto anniversario, domenica sera 21 agosto, il Vescovo, citando don Bosco, ha invocato la necessità, per ogni buon cristiano, di essere onesti cittadini, per essere buoni cristiani, e ha chiesto al Signore la grazia che ciò si realizzi veramente, poiché ognuno ha il suo compito nella società e nella Chiesa. È evidente il richiamo alle responsabilità di chi, nella società, ad ogni livello, deve e può operare per ricostruire, ripristinare le attività o cercare al più presto una via alternativa alla difficile condizione nella quale ancora tante famiglie, una intera comunità, continua a vivere, ormai, sembra, nell’indifferenza e assuefazione di molti. Come cristiani siamo tutti chiamati a fare la nostra parte: «Nessuno può stare alla finestra, ci deve essere sinergia fra tutti. Ciò che deve ispirare le nostre azioni e i nostri progetti è il bene comune. Coloro che approfittano delle disgrazie altrui sono giustamente chiamati sciacalli: è per il bene di tutti che dobbiamo essere impegnati».
Quale via seguire? Per un cristiano non ci sono dubbi: è la sequela di Cristo, il passaggio attraverso quella porta stretta – che è Cristo stesso – che permette la realizzazione del regno di Dio, la connessione con lui, ma anche il raggiungimento della nostra salvezza. È singolare come la nostra salvezza passi attraverso il salvare e curarsi dell’altro. È un nodo cruciale e imprescindibile, che le letture presentate domenica scorsa puntualizzano perfettamente. Se esiste una strada per la nostra salvezza – e Gesù è venuto a dirci che esiste per tutti – questa prevede che ci occupiamo onestamente e correttamente degli altri, per il bene comune. Il Vescovo ha ben esplicitato questo passaggio: la Prima Lettura, tratta da Isaia, ci dice che tutti i popoli saranno radunati per vedere la gloria del Signore. Tutti i popoli, non solo alcuni. E nel brano del Vangelo di Luca si ribadisce come Cristo si allinei perfettamente su questo solco: la salvezza è estesa a tutti, egli, innalzato sulla croce trasformata in trono, attirerà tutti a lui con il suo esempio e il suo sacrificio. Ma ci sono delle condizioni: il brano di Luca ci presenta infatti un esempio efficace. Un uomo chiede a Gesù se veramente tutti saranno salvati. Gesù risponde con una parabola nella quale i convitati ad una festa, dopo aver partecipato attivamente al banchetto, si vedono chiudere la porta in faccia dal padrone della casa, il quale afferma di non conoscerli. È certamente una situazione paradossale e apparentemente incomprensibile, nella quale chi si identifica con i convitati si sente vittima di una ingiustizia. Ma la prospettiva del Signore non è sovrapponibile al superficiale e indignato sentire umano, con il vittimismo che pervade i nostri pensieri quando pensiamo di essere perfetti agli occhi di Dio, ma non comprendiamo le sue motivazioni.
Il Vescovo Gennaro ha infatti invitato a riflettere sul fatto che se è vero che l’ingresso nel Regno di Dio non è riservato ad un élite, ma aperto a tutti, è anche vero che si entra – dice Gesù nel brano del Vangelo di Luca – attraverso una porta stretta: «L’accesso al Regno di Dio esige una vita a misura di Cristo, fondata e modellata su di lui, che passa per l’amore autentico, nei fatti concreti, verso i fratelli». Di più: non basta partecipare alla festa e banchettare, cioè ascoltare la Parola, partecipare alla Messa, seguire le liturgie, – ha precisato il Vescovo – questo non è segno della bontà della fede, poiché è a quel livello che nella parabola raccontata dia Gesù il padrone chiude la porta e dice ai commensali “Non vi conosco!”. «Non si possono celebrare solo belle liturgie, è necessario celebrare la liturgia della vita». Citando Simone Weil, mistica, filosofa e scrittrice francese, il Vescovo ha così proseguito: «Non è da come uno parla delle cose di Dio che io capisco se ha soggiornato in Dio, ma da come parla e fa uso delle cose della terra». Se la porta è stretta – ha concluso – è però sempre aperta. Mettersi alla sequela di Cristo, seguire il suo esempio, significa farsi piccoli per riuscire a varcarla, Lo possiamo fare restringendo il nostro orgoglio, abbandonando le tentazioni mondane che ci gonfiano, lasciandoci trasportare dall’amore del Signore, operando sulla terra per il bene comune, la realizzazione del Regno di Dio.