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“L’Aquila sia capitale di perdono, pace e riconciliazione”

Domenica 28 agosto scorso il Papa ha presieduto al rito dell’apertura della Porta Santa all’Aquila. L’indulgenza è valida fino al 2023

“Che L’Aquila sia davvero capitale di perdono, di pace e di riconciliazione”. Dalla basilica di Santa Maria in Collemaggio, simbolo della ricostruzione dopo il terremoto del 6 aprile 2009, Papa Francesco ha concluso con questo auspicio l’omelia, prima di aprire – primo Pontefice a compiere questo gesto nella storia – la Porta Santa a fianco della basilica e dare inizio così alla 758ª edizione della Perdonanza Celestiniana. Il viaggio del Papa a L’Aquila è cominciato in piazza Duomo, con l’incontro privato con le famiglie vittime del sisma e il saluto alla città. Due le parole chiave dell’intera giornata: resilienza e misericordia. L’ispirazione: Celestino V, da Dante erroneamente dipinto come “colui che fece il gran rifiuto”. Durante l’Angelus, ancora una volta Francesco ha pregato per il popolo ucraino e per tutti i popoli in guerra.

“Troppe volte si pensa di valere in base al posto che si occupa in questo mondo”, denuncia Francesco a Collemaggio: “L’uomo non è il posto che detiene, ma è la libertà di cui è capace e che manifesta pienamente quando occupa l’ultimo posto, o quando gli è riservato un posto sulla Croce”, il monito: “Il cristiano sa che la sua vita non è una carriera alla maniera di questo mondo, ma una carriera alla maniera di Cristo, che dirà di sé stesso di essere venuto per servire e non per essere servito”. Finché non comprenderemo che la rivoluzione del Vangelo sta tutta in questo tipo di libertà, continueremo ad assistere a guerre, violenze e ingiustizie, che altro non sono che il sintomo esterno di una mancanza di libertà interiore”, la tesi del Papa: “Lì dove non c’è libertà interiore, si fanno strada l’egoismo, l’individualismo, l’interesse, la sopraffazione, e tutte queste miserie”.

“Voi avete sofferto molto a causa del terremoto, e come popolo state provando a rialzarvi e a rimettervi in piedi”, l’omaggio alla resilienza degli aquilani, che fa eco a quello pronunciato in piazza Duomo, insieme all’invito a portare avanti la ricostruzione con la collaborazione di tutti. “Ma chi ha sofferto deve poter fare tesoro della propria sofferenza, deve comprendere che nel buio sperimentato gli è stato fatto anche il dono di capire il dolore degli altri”, la raccomandazione di Francesco: “Voi potete custodire il dono della misericordia perché conoscete cosa significa perdere tutto, veder crollare ciò che si è costruito, lasciare ciò che vi era più caro, sentire lo strappo dell’assenza di chi si è amato. Voi potete custodire la misericordia perché avete fatto l’esperienza della miseria”.

“Ognuno nella vita, senza per forza vivere un terremoto, può, per così dire, fare esperienza di un terremoto dell’anima, che lo mette in contatto con la propria fragilità, i propri limiti, la propria miseria”, attualizza il Papa: “In questa esperienza si può perdere tutto, ma si può anche imparare la vera umiltà. Ci si può lasciar incattivire dalla vita, oppure si può imparare la mitezza”.

Nella città che da secoli mantiene vivo il dono che Celestino V le ha lasciato, Francesco ricorda a tutti che “con la misericordia, e solo con essa, la vita di ogni uomo e di ogni donna può essere vissuta con gioia. Misericordia è l’esperienza di sentirci accolti, rimessi in piedi, rafforzati, guariti, incoraggiati. Essere perdonati è sperimentare qui e ora ciò che più si avvicina alla risurrezione. Il perdono è passare dalla morte alla vita, dall’esperienza dell’angoscia e della colpa a quella della libertà e della gioia”.

“Partire dalla propria miseria per arrivare al perdono”, la strada indicata a braccio dal Papa. Poi il ricordo, sempre a braccio, del volo in elicottero da Roma a L’Aquila, e dei giri fatti dal pilota per poter atterrare a causa della scarsa visibilità: “Il pilota girava, girava, alla fine ha visto un piccolo buco ed è entrato lì, è riuscito. Con la miseria succede lo stesso”. Nell’omelia, il Papa rovescia l’interpretazione tradizionale della figura di Celestino V, definendolo “uomo del sì”, la cui cifra è l’umiltà, che “non consiste nella svalutazione di sé stessi, bensì in quel sano realismo che ci fa riconoscere le nostre potenzialità e anche le nostre miserie”. “La forza degli umili è il Signore, non le strategie, i mezzi umani, le logiche di questo mondo, i calcoli”, spiega Francesco. In questo senso, “Celestino V è stato un testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire. In lui noi ammiriamo una Chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è misericordia. Questa è il cuore stesso del Vangelo, perché la misericordia è saperci amati nella nostra miseria”.

“Che questo tempio sia sempre luogo in cui ci si possa riconciliare, e sperimentare quella Grazia che ci rimette in piedi e ci dà un’altra possibilità”, l’invito finale: “Sia un tempio del perdono, non solo una volta all’anno, ma sempre, tutti i giorni. È così, infatti, che si costruisce la pace, attraverso il perdono ricevuto e donato”.

Fonte: M.Michela Nicolais -Sir

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