Commento al Vangelo Lc 18,1-8
“Figlio tu rimani saldo nelle cose che hai imparato e che credi fermamente”: questo è l’invito che Paolo rivolge a Timoteo, suo discepolo, che ha lasciato come episcopo di una delle comunità che ha fondato. Timoteo si trova come tutti in una specie di terremoto, di una tempesta, che colpisce la sua comunità: hanno visto fiorire la fede ma nel contempo si trovano a confrontarsi con le tante attrazioni che ci sono nel mondo. Allora come oggi. Ci troviamo nell’arco di pochi decenni a vivere sulla nostra pelle quello che significa comunità che vengono accorpate, parroci che non sono più sufficienti, che fanno una certa fatica nel portare avanti quello che si pensava essere destinato a durare per sempre; difficoltà nelle catechesi, nella pastorale ecc.
Allora Paolo si rivolge a Timoteo e a noi dicendo la stessa cosa: “Restate saldi nelle cose che avete imparato e in cui credete fermamente!”. Il Signore dice, attraverso le parole di Paolo, di rimanere saldi. Ed è proprio questo il tema di questa domenica: è quello della saldezza, del tenere duro, ma soprattutto del confidare nel Signore che non abbandona mai il suo popolo soprattutto nei momenti di difficoltà. Nella prima lettura il popolo d’Israele che si è appena insediato, che sta cercando di uscire fuori dalla schiavitù, subito si scontra con i nemici là nel deserto che vogliono spartirsi quel pezzo di terra che Israele con fatica sta cercando di occupare contro gli amaleciti. Ci dice il testo che Mosè è sulla montagna e prega, che alza le mani anche con fatica.
Anche oggi è così: quanti uomini e donne di preghiera ancora oggi a volte sentono quella fatica di tenere alzate le mani, e lo scoraggiamento finisce con il prevalere? Lo scoraggiamento rischia di essere una dominante delle nostre comunità, e sono molti i modi per scoraggiarsi e non avere più nessuna voglia di continuare, di lottare, di andare avanti. Ma stiamo bene attenti perché il Vangelo di oggi è per noi. Luca sta sperimentando con le sue comunità la prima grande persecuzione e si rivolge soprattutto alle chiese dell’Asia Minore (per capirci la Turchia, la Siria e Libano); l’Impero Romano aveva iniziato a prendersela con gli ebrei e a non distinguere gli ebrei e i cristiani facendo di tutta l’erba un fascio. Quindi da Nerone in avanti si inizia un lungo periodo di persecuzioni. Luca si ricorda di questa parabola di Gesù e ne parla. Il giudice iniquo non è Dio (non scherziamo), ma il mondo che non ascolta la preghiera dei suoi figli, anzi li maltratta, li perseguita.
Noi come la vedova dobbiamo tenere duro, dobbiamo chiedere e praticare giustizia: non mollate! In questo caso non mollate significa resistere come Mosè, come il popolo che combatte, come Timoteo, cioè perseverare. Ormai il Signore è venuto, il Signore regna ma spesso dobbiamo fare i conti con quella che è la quotidianità. Io credo che il momento che stiamo vivendo non è una disgrazia, tutt’altro, è momento di grazia straordinaria; il Signore fa nuove tutte le cose e invita le nostre comunità a scuotersi profondamente, a non rimpiangere il latte versato, a non dire che una volta andava tutto meglio perché questo non è del tutto vero.
Dobbiamo dire che grande opportunità che abbiamo! Dobbiamo ridisegnare, ripensare, discutere, lasciarci illuminare dallo Spirito perché sicuramente certi modelli che vanno avanti da 5/6 secoli oggi provano fatica. In questo “mentre” siamo chiamati ad avere la costanza e l’insistenza della vedova. Il mondo dovrà in qualche modo accorgersi e dare ai figli del cristianesimo, ai figli di Dio, almeno la stessa attenzione che destina agli altri. Nel corso della storia era ambiguo questo rapporto fra noi e il mondo, fra Cesare e Dio, ma adesso le cose, grazie al cielo, si stanno un po’ chiarendo obbligatoriamente da un certo punto di vista. Ed ecco che certamente come secondo tema di questa domenica c’è il modo di perseverare che secondo il consiglio che la liturgia di oggi ci dà, è quello della preghiera. Pregare non è usare molte parole, non è usare delle formule; purtroppo abbiamo l’idea un po’ brutta della preghiera; devo essere sincero forse siamo un po’ complici noi cristiani cioè facciamo credere sostanzialmente che la preghiera sia qualcosa di terribile da portare avanti faticosamente, una cosa che dobbiamo fare a tutti i costi, tutti i giorni. ma non è assolutamente niente del genere! La preghiera è questo percorso straordinario che il Signore ci propone di fare, è una finestra che lasciamo aperta nella nostra vita sull’infinito.
La preghiera è qualcosa del genere, è raggiungere la nostra anima, accorgersi di avere la nostra anima, imparare attraverso il pensiero, la meditazione, il silenzio, la parola di Dio che va pregata, raccolta, va approfondita; ecco questa è la preghiera che Dio vuole, una preghiera che contagi la nostra anima. La preghiera non è un tributo che noi diamo a Dio, ma è uno spazio e un tempo che dedichiamo alla nostra parte più autentica che ci permette di restare fedeli. Ritorniamo alla preghiera a livello personale, a livello comunitario, celebrativo e che questa preghiera ci ricordi, ci faccia sperimentare, raccontare che il cristianesimo è anzitutto un percorso di conoscenza di Dio. Insomma, siamo un po’ come Mosè sul monte ma anche un po’ come il popolo che combatte contro gli amaleciti. Non so se sia così chiaro! Allora la domanda finale, così dura, così impegnativa che dice Gesù. la possiamo ripetere anche noi: Quando il figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede su questa terra? Gesù non dice troverà ancora le parrocchie o i dicasteri vaticani, non dice troverà ancora delle organizzazioni quando tornerà, ma se troverà ancora la fede. Allora spero che oggi potremmo dire durante le nostre celebrazioni, durante la nostra preghiera comunitaria: “Signore quando tornerai ci sarà ancora un po’ di fede sulla terra? La mia, se la desideri!”. Buona domenica!
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“Figlio tu rimani saldo nelle cose che hai imparato e che credi fermamente”: questo è l’invito che Paolo rivolge a Timoteo, suo discepolo, che ha lasciato come episcopo di una delle comunità che ha fondato. Timoteo si trova come tutti in una specie di terremoto, di una tempesta, che colpisce la sua comunità: hanno visto fiorire la fede ma nel contempo si trovano a confrontarsi con le tante attrazioni che ci sono nel mondo. Allora come oggi. Ci troviamo nell’arco di pochi decenni a vivere sulla nostra pelle quello che significa comunità che vengono accorpate, parroci che non sono più sufficienti, che fanno una certa fatica nel portare avanti quello che si pensava essere destinato a durare per sempre; difficoltà nelle catechesi, nella pastorale ecc.
Allora Paolo si rivolge a Timoteo e a noi dicendo la stessa cosa: “Restate saldi nelle cose che avete imparato e in cui credete fermamente!”. Il Signore dice, attraverso le parole di Paolo, di rimanere saldi. Ed è proprio questo il tema di questa domenica: è quello della saldezza, del tenere duro, ma soprattutto del confidare nel Signore che non abbandona mai il suo popolo soprattutto nei momenti di difficoltà. Nella prima lettura il popolo d’Israele che si è appena insediato, che sta cercando di uscire fuori dalla schiavitù, subito si scontra con i nemici là nel deserto che vogliono spartirsi quel pezzo di terra che Israele con fatica sta cercando di occupare contro gli amaleciti. Ci dice il testo che Mosè è sulla montagna e prega, che alza le mani anche con fatica.
Anche oggi è così: quanti uomini e donne di preghiera ancora oggi a volte sentono quella fatica di tenere alzate le mani, e lo scoraggiamento finisce con il prevalere? Lo scoraggiamento rischia di essere una dominante delle nostre comunità, e sono molti i modi per scoraggiarsi e non avere più nessuna voglia di continuare, di lottare, di andare avanti. Ma stiamo bene attenti perché il Vangelo di oggi è per noi. Luca sta sperimentando con le sue comunità la prima grande persecuzione e si rivolge soprattutto alle chiese dell’Asia Minore (per capirci la Turchia, la Siria e Libano); l’Impero Romano aveva iniziato a prendersela con gli ebrei e a non distinguere gli ebrei e i cristiani facendo di tutta l’erba un fascio. Quindi da Nerone in avanti si inizia un lungo periodo di persecuzioni. Luca si ricorda di questa parabola di Gesù e ne parla. Il giudice iniquo non è Dio (non scherziamo), ma il mondo che non ascolta la preghiera dei suoi figli, anzi li maltratta, li perseguita.
Noi come la vedova dobbiamo tenere duro, dobbiamo chiedere e praticare giustizia: non mollate! In questo caso non mollate significa resistere come Mosè, come il popolo che combatte, come Timoteo, cioè perseverare. Ormai il Signore è venuto, il Signore regna ma spesso dobbiamo fare i conti con quella che è la quotidianità. Io credo che il momento che stiamo vivendo non è una disgrazia, tutt’altro, è momento di grazia straordinaria; il Signore fa nuove tutte le cose e invita le nostre comunità a scuotersi profondamente, a non rimpiangere il latte versato, a non dire che una volta andava tutto meglio perché questo non è del tutto vero.
Dobbiamo dire che grande opportunità che abbiamo! Dobbiamo ridisegnare, ripensare, discutere, lasciarci illuminare dallo Spirito perché sicuramente certi modelli che vanno avanti da 5/6 secoli oggi provano fatica. In questo “mentre” siamo chiamati ad avere la costanza e l’insistenza della vedova. Il mondo dovrà in qualche modo accorgersi e dare ai figli del cristianesimo, ai figli di Dio, almeno la stessa attenzione che destina agli altri. Nel corso della storia era ambiguo questo rapporto fra noi e il mondo, fra Cesare e Dio, ma adesso le cose, grazie al cielo, si stanno un po’ chiarendo obbligatoriamente da un certo punto di vista. Ed ecco che certamente come secondo tema di questa domenica c’è il modo di perseverare che secondo il consiglio che la liturgia di oggi ci dà, è quello della preghiera. Pregare non è usare molte parole, non è usare delle formule; purtroppo abbiamo l’idea un po’ brutta della preghiera; devo essere sincero forse siamo un po’ complici noi cristiani cioè facciamo credere sostanzialmente che la preghiera sia qualcosa di terribile da portare avanti faticosamente, una cosa che dobbiamo fare a tutti i costi, tutti i giorni. ma non è assolutamente niente del genere! La preghiera è questo percorso straordinario che il Signore ci propone di fare, è una finestra che lasciamo aperta nella nostra vita sull’infinito.
La preghiera è qualcosa del genere, è raggiungere la nostra anima, accorgersi di avere la nostra anima, imparare attraverso il pensiero, la meditazione, il silenzio, la parola di Dio che va pregata, raccolta, va approfondita; ecco questa è la preghiera che Dio vuole, una preghiera che contagi la nostra anima. La preghiera non è un tributo che noi diamo a Dio, ma è uno spazio e un tempo che dedichiamo alla nostra parte più autentica che ci permette di restare fedeli. Ritorniamo alla preghiera a livello personale, a livello comunitario, celebrativo e che questa preghiera ci ricordi, ci faccia sperimentare, raccontare che il cristianesimo è anzitutto un percorso di conoscenza di Dio. Insomma, siamo un po’ come Mosè sul monte ma anche un po’ come il popolo che combatte contro gli amaleciti. Non so se sia così chiaro! Allora la domanda finale, così dura, così impegnativa che dice Gesù. la possiamo ripetere anche noi: Quando il figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede su questa terra? Gesù non dice troverà ancora le parrocchie o i dicasteri vaticani, non dice troverà ancora delle organizzazioni quando tornerà, ma se troverà ancora la fede. Allora spero che oggi potremmo dire durante le nostre celebrazioni, durante la nostra preghiera comunitaria: “Signore quando tornerai ci sarà ancora un po’ di fede sulla terra? La mia, se la desideri!”. Buona domenica!
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Don Cristian Solmonese
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