Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale Sezione s. Tommaso
Nell’ultima parte del convegno, mons. Patrick Valdrini ha detto che il tema della Sinodalità è stato sempre presente nella Canonistica ma non sapevamo che il tema era così importante. C’è anche una Liturgia dei Sinodi sui quali c’è una vera concezione teologica e storica. La sinodalità è una parola che riguarda una cultura della partecipazione. Per un canonista non è solo una cultura ma è anche un modo per esercitare il governo. In questo caso si tratta di istruzioni: come si fa sinodalità? Papa Francesco ha parlato di tre livelli di sinodalità parlando dell’organizzazione della Chiesa iniziando col livello delle chiese particolari, poi dei raggruppamenti e, infine, non della chiesa universale ma dell’esercizio dell’autorità suprema sulla Chiesa.
Se iniziamo dalla chiesa particolare c’è una bella sinodalità e il fedele ne può fare esperienza. La nobile istituzione del Sinodo diocesano (papa Francesco) concentra tutto ciò che diciamo sulla sinodalità. È un’assemblea dei fedeli della diocesi che si raduna convocata dal vescovo per creare, emanare leggi e pubblicare dichiarazioni con delle persone che hanno tutti gli statuti che esistono nella Chiesa. Un canone molto importante è il n. 466: “Il vescovo è il solo che ha il potere legislativo nel Sinodo”. Gli altri membri del Sinodo hanno un potere solo consultivo. Il vescovo è membro del sinodo, è il solo ad avere il potere legislativo, è lui che emanerà, promulgherà le leggi e pubblicherà le dichiarazioni nel sinodo le quali, mentre sono promulgate dal vescovo, sono sinodali. Si intrecciano tanti elementi per dimostrare che nel sinodo c’è quasi un’istituzione – faro al quale ci possiamo rivolgere per capire ciò che è la sinodalità: un atto che è comunitario e che non ha messo da parte il potere che è dato a uno (il vescovo).
Questo va spiegato a un popolo che ha una tradizione democratica e che vive in un paese nel quale quando un gruppo ha votato un testo a maggioranza, il testo si impone. E dunque si deve capire perché il vescovo ha questo ruolo centrale: 1) riceve nel sinodo, non fuori del sinodo, ciò che è stato discusso dalle persone; 2) valuta – come garante dell’unità – ciò che è stato deciso dagli altri membri e ciò che è stato preparato per essere dichiarazione, affinché non feriscano l’unità della Chiesa. Ha la responsabilità di far sì che la diocesi, emanando una legge o facendo una dichiarazione, non si distacca dalla Chiesa universale. Perché sarebbe una contraddizione: lui è il pastore della diocesi e membro del collegio episcopale.
Il Sinodo diocesano non è un numero di persone, è un’assemblea che cerca di configurare, rappresentare un po’ la diversità della diocesi per emanare una legge.
L’arcivescovo don Mimmo Battaglia ha ringraziato di cuore i relatori che hanno offerto non solo un gesto di fraternità ma hanno dato anche esempio di stile sinodale. Ha ringraziato per la disponibilità e la profondità e la passione con cui hanno parlato, per i chiarimenti essenziali e importanti dati nel Convegno. Ha poi voluto sottolineare una parola necessaria, perché si possa parlare di stile sinodale: CONVERSIONE. Non vi è alcun passo da poter fare insieme se non vi è prima di tutto una conversione del cuore, della mente e perciò anche dello sguardo. Il camminare insieme è un pensare insieme, è un agire insieme salvaguardando l’originalità dei carismi di ciascuno per edificare il Corpo mistico che la Chiesa. La conversione evangelica è un vero passaggio dall’io al noi, dall’interesse personale all’interesse comunitario. La dignità battesimale è propria dello stile sinodale. È evidente che se vogliamo pensare insieme e agire insieme abbiamo da svolgere questa seconda conversione, cioè il considerare il valore di ogni battezzato, di ogni donna e di ogni uomo, dei piccoli come degli anziani. E la dignità battesimale ci apre a considerare, la Chiesa, comunione. E a pensare la centralità delle relazioni che Dio ha rinnovato nel sacrificio del Figlio Gesù per il dono dello Spirito.
Ed è proprio a partire dalla spiritualità battesimale che cade ogni forma di clericalismo serpeggiante nella Chiesa. Ma soprattutto è quell’avverbio “insieme” il punto di forza della spiritualità battesimale, il rinnovo della Chiesa nelle sue strutture. Terza espressione della conversione sta l’etica del dialogo che fonda ogni relazione rinnovata nell’umanità. Il dialogare comporta un mettere insieme idee, un proporre progetti, un aiutarsi fraternamente per il bene di tutti. Cioè bisogna formarsi a quello che è l’ascolto degli altri, alle ragioni degli altri anche di quelli che sono lontani dalle realtà ecclesiali. Mettere al centro dell’azione pastorale il principio della relazione, come criterio operativo e regolativo, vuol dire credere e impegnarsi in una cura più vera e più fondata della formazione come promozione dell’umano, dell’accoglienza reciproca, del rispetto reciproco.
La pastorale ha bisogno di partire da noi, dal noi. Ha bisogno di ripartire da questo spazio della relazione: tra me e te c’è un noi che già ci ha accolti, che è già storia, che ha già segnato in tanti modi la nostra storia personale. Abitare lo spazio della relazione vuol dire abbandonare ciò che pretende di etichettare se stessi e gli altri, gli ambienti in cui viviamo. Vuol dire accogliere la sfida di lasciarsi smascherare, lasciarsi voler bene, lasciarsi accompagnare. In una reciprocità non scontata e mai imposta, solo attesa, desiderata. Abitare lo spazio della relazione vuol dire andare incontro, vuol dire uscire, vuol dire attendere, non possedere l’altro, ma desiderare l’altro, attenderlo. Allora sinodo significa fare Chiesa con tutti, farsi Casa accogliente per tutti. Se il sinodo allora non interpella i poveri, gli ultimi, i drop out, gli scartati delle nostre società, non è completo. Manca dalla parte nobile rappresenta dalla presenza di Gesù nella storia. Perché è in essi che abita la persona di Gesù. Sono loro l’ottavo sacramento che ci apre le porte alla comunione dei santi. Il sinodo, dunque, ha come fondo proprio la fraternità, quella relazione di fede che ci fa prossimi.
Auguro a tutti e a ciascuno – ha concluso l’arcivescovo – quel grande dono che è quello di sognare ancora. Di sognare una Chiesa libera e liberante, capace di essere sempre più fedele al mandato del suo Signore, cioè quello di annunciare ai poveri un lieto annuncio, di proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista e di rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore.
La nostra Tenda deve essere davvero abitata da uomini diversi, figli dell’unico Padre, fratelli tutti. Una Chiesa che è anticipazione del Regno, oltre le mura del tempio, che afferra le storie, tutte le storie e la trasforma in storia. Salvezza che nutre di speranza i giorni, riempie di significato le ore, provoca bellezza perfino nelle piaghe degli esclusi, dei vinti, degli scartati. Nessuno è fatto fuori dalla storia. Tutti chiamati allora ad abitare la tenda che si allarga a dismisura per ospitare zoppi, ciechi, muti, debolezza di carne, fragilità di spirito, perché quella chiamata è universale. E’ la voce del Buon Pastore che trasforma in danza ogni lutto, spezza le catene ai prigionieri, svuota le tombe. La bellezza della vita che rifiorisce come nuova, come eterna, come miracolo esaudito di resurrezione. È la bellezza senza fine. E quando la prova colora di incertezza il presente quella tenda fa riecheggiare la Parola: “Non abbiate paura, io sono con voi”. E poi: “Venite benedetti del Padre mio, per voi ci sono molti posti. Li ho preparati io.”
Bellezza della Chiesa, bellezza della Tenda. Da raggiungere in pienezza. Dire Sinodo è dire Tenda, è dire Chiesa. Ma non c’è Chiesa senza fraternità, non c’è fraternità senza ascolto, non c’è ascolto senza accoglienza, non c’è accoglienza senza compassione, non c’è compassione senza generosità, non c’è generosità senza accettazione della diversità, non c’è accettazione della diversità senza la verità che libera e non c’è libertà senza amore. Una Chiesa sinodale si fa bella, si prepara all’incontro con lo Sposo, si veste di memoria e di profezia, si nutre di ogni parola che esce dalla bocca di Dio, ascolta ogni parola che sgorga dal cuore dell’umanità, curiosa del mondo per imparare dal Maestro la via e come attraversarla insieme.
di Angela Di Scala
Leggi gli articoli precedenti: