Da Ischia al teatro di guerra ucraino
Sono tutte uguali le macerie. Parlano di drammi e tragedie ma, da sole, non sempre dicono quali: terremoti, disastri stradali, frane, alluvioni: come ad Ischia dove il segno distintivo era sullo sfondo, il mare, e dove la massa dei detriti è arrivata come sfregio a una bellezza fuori posto. Le macerie hanno anche lo stesso colore, il grigio delle pietre e dei massi sgretolati, e il velo scuro del fango, disteso dappertutto come un sudario sporco sul corpo di uomini e cose.
E intorno a sé le macerie attirano anche sempre le stesse cose, le braccia e i cuori generosi di chi porta soccorso e sa di dover cominciare proprio da quegli ammassi che ingombrano e sbarrano vie di salvezza. Sarebbe proprio accanto a quel grumo informe anche il posto delle lacrime, ma anche al dolore tocca talvolta mettersi in fila. Proprio questi sono i giorni in cui si ricorda il terribile terremoto dell’Ottanta, uno dei più rovinosi di ogni tempo in Italia.
E la stessa Casamicciola è un nome ricorrente, diventato anzi sinonimo, in lingua napoletana, di disgrazie e sciagure. Ed è qui, nella stessa regione, la “Terra dei fuochi”, tragico emblema del criminale asservimento delle risorse dell’ambiente alle razzie della malavita organizzata. Sono tutte uguali le macerie perché non danno tregua, sono ferite da rimarginare in fretta per fare in modo che nel groviglio non finisca anche la speranza, e resti anch’essa deformata per sempre. Sono tutte uguali le macerie. E questo è il tempo in cui possiamo non solo vedere, ma scrutare da vicino i tratti di somiglianza.
Quest’anno, dal 24 febbraio in avanti, sciagurato giorno dell’invasione russa in Ucraina, non s’è visto niente di più tristemente ripetitivo. Panorami di devastazione e di rovine si sono insediati nella vita di tutti i giorni; ne sono entrati a far parte come un orribile ripasso di ciò che la follia può rendere reale. Se dalle macerie di Ischia il pensiero corre ai palazzi, ai villaggi, alle città sventrate dell’Ucraina è certo l’assonanza –e la contemporaneità –delle immagini a creare il parallelo, ma quelle rovine sono uguali e distanti allo stesso tempo.
Osservando Ischia ancora una volta in ginocchio, piegata a piangere le sue vittime, diventa ancora più fosco il quadro delle macerie sparse nelle città ucraine. Nell’isola è stata la natura, chiamando a complice l’uomo, a colpire e a liberare la sua collera. Ha squarciato un lato di montagna e ha trascinato fino al mare, ingrossando via via la sua furia, tutto ciò che trovava sulla strada. Non solo case e alberi, o fabbricati, ma uomini, donne, bambini, uno di essi quasi senza età per i suoi ventidue giorni di vita.
Una scia di macerie addensate infine al tragico approdo del porto. Anche senza il mare sullo sfondo, macerie uguali a quelle dei villaggi e delle città ucraine, luoghi devastati e l’osceno assembramento dei segni di una violenza cieca e impietosa. Sono tutte uguali le macerie. Ma in Ucraina parlano di guerra.
E rapportate ad Ischia quelle rovine, aggiungono anche altro. Che la guerra cerca, anzi fabbrica macerie. Esiste per quello, e non fa altro che il suo sporco mestiere. Non c’entra nessuna collera della natura. Se le macerie di Ischia fanno pensare, come prima cosa, a come rimuoverle, come ritrovare subito il filo della speranza, quelle di Kherson, o di Bucha, o di Mykolajiv e Zaporizhzhia, sono lì per assolvere proprio a quel terribile mandato: essere ammassate, come preludio del dato estremo e più amaro, quello di ammassare vittime umane, prim’ancora delle cose. È la morte di uomini e donne a essere così profanata come maceria sparsa nei campi di un’insensata battaglia.
È questa la guerra. È questa la realtà, che a guardarla in faccia anche dalle macerie di Ischia, appare ancora più intollerabile e assurda. A suo modo Ischia diventa così un grido forte e implacabile contro una realtà che, alla luce del suo dramma, diventa solo odiosa e ributtante. Vengono in mente le parole del Papa: «Come possono degli uomini trattare così altri uomini?». Perché alla fine di questo si tratta: le macerie sono tutte uguali, ma le responsabilità no. Per questo bisogna decidersi a negoziare secondo giustizia e umanità. Fermando il massacro. Perché la guerra le macerie le ammassa anche nell’anima. E lì si annidano, e lì inducono, sempre parole di Francesco, a «mettere mano alle armi anziché ai sogni».
di Angelo Scelzo