Lo scorso anno l’attore William Shatner, allora novantenne ha volato nello spazio grazie a Blue Origin di Jeff Bezos. Ma l’esperienza è stata totalmente diversa da come immaginava.
L’attore canadese William Shatner, noto per il ruolo del capitano Kirk in Star Trek ma anche per le serie T.J. Hooker e Boston Legal, esattamente dodici mesi fa – alla veneranda età di 90 anni – ha potuto coronare il suo sogno di andare davvero nello spazio. La compagnia aerospaziale privata di Jeff Bezos, la Blue Origin, gli concesse infatti uno dei quattro posti da astronauta per il secondo volo con equipaggio della navetta New Shepard, rendendolo così l’uomo più anziano a essere stato “tra le stelle”. Ma quell’esperienza totalizzante e commovente, come la descrisse al rientro sulla Terra, ha avuto un impatto decisamente peggiore di quello che si immaginava, tanto da averla paragonata a un funerale. Basti vedere il video girato non appena ha rimesso piede sulla Terra, nel quale – evidentemente turbato – prova a spiegare le sue emozioni a Jeff Bezos in persona (non molto interessato, in verità), mentre tutti gli altri festeggiano e si esaltano per l’esperienza.
Ora Variety.com ha pubblicato alcuni passaggi del libro “Boldly Go: Reflections on a Life of Awe and Wonder” che Shatner ha scritto a quattro mani col coautore Joshua Brandon, nel quale ha riportato nel dettaglio le emozioni vissute durante l’esperienza. A partire dal decollo. Anche il lift-off è stato complicato, tra la paura del volo, i continui pensieri sull’incidente del dirigibile tedesco Hindenburg (che costò la vita a 35 persone), l’annuncio di “un’anomalia al motore del razzo” e l’accelerazione che lo ha letteralmente schiacciato sul sedile, ma solo una volta lassù ha radicalmente cambiato la sua prospettiva sullo spazio. Raggiunta la microgravità e slacciate le cinture, i suoi tre compagni di viaggio iniziarono a far capriole e a librarsi in aria, lui invece non volle perdere nemmeno un secondo e si affacciò dal finestrino, per vedere la Terra. “Ho guardato in basso e ho potuto vedere il buco che la nostra navicella spaziale aveva praticato nel sottile strato di ossigeno sfumato di blu attorno alla Terra”, ha dichiarato con emozione. Poi ha voltato la testa dal lato opposto, verso lo spazio profondo. E lì gli è “crollato il mondo addosso”.
“Amo il mistero dell’universo. Amo tutte le domande che ci sono venute in migliaia di anni di esplorazioni e ipotesi. Stelle che sono esplose anni fa, la loro luce viaggia verso di noi anni dopo; buchi neri che assorbono energia; satelliti che ci mostrano intere galassie in aree ritenute completamente prive di materia…tutto ciò mi ha elettrizzato per anni…ma quando ho guardato nella direzione opposta, nello spazio, non c’era mistero, né maestoso timore reverenziale da contemplare…tutto ciò che ho visto è stata la morte”, ha dichiarato Shatner. “Ho visto un vuoto freddo, scuro, nero. Era diverso da qualsiasi oscurità che puoi vedere o sentire sulla Terra. Era profondo, avvolgente, totalizzante. Mi voltai verso la luce di casa. Riuscivo a vedere la curvatura della Terra, il beige del deserto, il bianco delle nuvole e l’azzurro del cielo. Era la vita. Che nutriva, che sosteneva, vita. Madre Terra. Gaia. E la stavo lasciando. Tutto quello che avevo pensato era sbagliato. Tutto ciò che mi aspettavo di vedere era sbagliato”, ha aggiunto l’attore.
Shatner pensava che andare nello lo spazio avrebbe rappresentato la catarsi della connessione con gli altri esseri viventi, la chiave per comprendere l’armonia dell’Universo, ma ha invece scoperto che la bellezza “non è là fuori, ma quaggiù, con tutti noi”. “È stata una delle sensazioni di dolore più forti che abbia mai provato. Il contrasto tra la pericolosa freddezza dello spazio e il caldo nutrimento della Terra sottostante mi ha riempito di una tristezza travolgente”, ha sottolineato l’attore. Pensando alla distruzione che la nostra specie sta perpetrando sul pianeta, ad esempio attraverso i cambiamenti climatici che stanno spazzando via specie animali e vegetali, ha concluso il suo ragionamento: “Mi ha riempito di terrore. Il mio viaggio nello spazio doveva essere una celebrazione; invece, sembrava un funerale”.
Shatner ha colto tutta la delicatezza e la fragilità del nostro pianeta che fluttua nell’oscurità, l’unico a ospitare vita, a nostra conoscenza. Questa sensazione di smarrimento e desolazione non è affatto nuova e ha un nome preciso: “Overview Effect”, ovvero “effetto della veduta d’insieme” nel nostro idioma. Ne sono stati colti diversi astronauti e cosmonauti, tra i quali Edgar Mitchell, Yuri Gagarin, Michael Collins, Thomas Jones, Chris Hadfield, Paolo Nespoli e molti altri ancora. È uno stato d’animo di profonda consapevolezza, il cui nome è stato coniato dal filoso Frank White nel 1987 dopo aver intervistato diversi astronauti. Scaturisce dal privilegio di poter vedere la Terra da lassù, senza confini e divisioni, dove si percepisce meglio la meraviglia che ci circonda (sul pianeta) e l’insignificanza dell’uomo innanzi alla gelida immensità dell’Universo. Non a caso diversi astronauti suggeriscono un viaggio nello spazio a politici e potenti della Terra, proprio per cogliere quella consapevolezza di cui avrebbero tanto bisogno nel prendere le decisioni.
Fonte: Andrea Centini – fanpage.it