Tocca all’uomo difendere Dio da chi lo nega perché non ferma l’avanzare del male, così come lo negava perché non scendeva dalla croce.
“Improvvisamente, pensate a Dio, nella Sua solitudine celeste e luminosa, e vi mettete a piangere. Piangete per lui e su di Lui. Piangete tanto che anche Lui, dice la tradizione talmudica, si mette a piangere, così che le vostre lacrime e le Sue si incontrano e si uniscono come possono unirsi due solitudini malinconiche e assetate di presenza”.
Con questa immagine lo scrittore ebreo Elie Wiesel (1928-2016) conclude uno dei suoi libri, tra i quali “La notte”, dedicati alla immane tragedia dei campi di concentramento nazisti.
L’immagine di Wiesel è ritornata l’8 dicembre di fronte alle lacrime di Papa Francesco in preghiera davanti alla statua dell’Immacolata in piazza di Spagna a Roma. La guerra si abbatte atroce sul popolo ucraino, gli sguardi smarriti di bambini, anziani, padri e madri scorrono ogni giorno davanti agli occhi. Si aggiungono i volti delle vittime di conflitti armati, perlopiù dimenticati, e di quanti rischiano la vita attraversando mari, deserti e foreste in cerca di futuro, di speranza.
Perché le lacrime mentre si avvicina Natale, giorno che parla di gioia, di pace, di fraternità?
La domanda irrompe mentre si preparano feste che non si vorrebbe fossero disturbate da notizie di bombardamenti, repressioni, violenze.
Un bambino, povero tra i poveri, inerme tra gli inermi, fragile tra i fragili, escluso tra gli esclusi, prende la parola con il pianto e il sorriso, risponde con il linguaggio del mistero.
Ancor oggi lui, “l’infinitamente piccolo”, ascolta queste domande: “Dov’è Dio? Perché non aiuta l’uomo? Perché non ferma il male?”.
La risposta diventa una domanda: “Chi dite che io sia?”, diventa un invito a guardare dentro sé stessi, a cercare la verità, ad avere altri pensieri.
Come quelli di Etty Hillesum, giovane ebrea vittima della furia nazista, nel suo Diario: “Quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu, o Dio, non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, tocca a noi difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”.
Tocca all’uomo difendere Dio da chi lo nega perché non ferma l’avanzare del male, così come lo negava perché non scendeva dalla croce.
Difendere Dio, è un atto di presunzione e di superbia? Non è piuttosto prendere coscienza che Dio, ha bisogno di un uomo libero e pensante per vincere la menzogna, il male, la morte?
L’immagine di Elie Wiesel ritorna e si completa: le lacrime di Dio si uniscono a quelle dell’uomo non come “due solitudini malinconiche e assetate di presenza”, sono due Presenze che si tengono per mano sulla strada della storia. Il ritmo dei loro passi viene scandito dalla gioia e dalla sofferenza dei pellegrini dell’assoluto. Come nelle lacrime di papa Francesco.
Fonte: Paolo Bustaffa – Sir
Fotografia: AgenSIR