“Prego, poi, colui che sarà eletto di non sottrarsi all’ufficio, cui è chiamato, per il timore del suo peso, ma di sottomettersi umilmente al disegno della volontà divina. Dio infatti, nell’imporgli l’onere, lo sostiene con la sua mano, affinché egli non sia ìmpari a portarlo; nel conferirgli il gravoso incarico, gli dà anche l’aiuto per compierlo e, nel donargli la dignità, gli concede la forza affinché non venga meno sotto il peso dell’ufficio.”
(Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis art. 86 di san Giovanni Paolo II)
Come è stato possibile che un uomo che è stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede per un quarto di secolo abbia ignorato un testo così importante e disobbedito a un documento che è stato promulgato proprio sotto la sua giurisdizione?
Per comprendere il vero significato che si cela dietro al gesto delle dimissioni di Benedetto XVI è necessario fare un passo indietro di alcuni millenni.
In uno dei più importanti riti del culto ebraico, lo Yom Kippur, il capro espiatorio veniva “caricato” di tutti i peccati della comunità (che li confessava ad alta voce durante il rito, per liberarsene, mentre il sacerdote teneva una mano sul capo del capro come per rovesciare su di lui ogni colpa del popolo) e veniva poi condotto fuori della città e lasciato lì a morire.
Gesù Cristo fa suo questo rito, identificandosi con il Capro Espiatorio che “toglie” (che sarebbe più corretto tradurre con “prende su di sé”) il peccato del mondo, e viene condotto fuori dalle mura di Gerusalemme per essere messo a morte.
Le dimissioni sono state scelte da Ratzinger perché unico modo per permettere alla Chiesa di sopravvivere ad una delle più grandi persecuzioni della storia. Persecuzione non nel sangue, ma nell’anima, nello spirito dei fedeli.
Dal giorno della sua elezione, infatti, i media hanno fatto pagare alla Chiesa tutta l’attenzione mediatica e la “gloria” concessale durante i funerali di san Giovanni Paolo II (e in fondo anche durante il suo pontificato).
Benedetto è stato caricato dai media di enormi colpe di qualsiasi genere, dallo scandalo della pedofilia a quelli finanziari, come se ogni colpa della Chiesa, anche precedente al suo pontificato, fosse sua diretta responsabilità. Ogni sua parola è stata vergognosamente travisata, fino a farlo apparire l’opposto di quello che era. Sono stati anni pesantissimi per la Chiesa e per ogni cristiano, e la situazione sembrava destinata solo a peggiorare.
Se si osserva con attenzione l’art 86 si nota che, a differenza degli altri articoli della costituzione, non siamo di fronte ad una legge, ma ad un amorevole preghiera.
Benedetto non ha disubbidito ad una legge (mai avrebbe potuto!), ma ha compreso che nel suo caso era da interpretare in modo differente.
Si è sobbarcato di tutte le colpe attribuitegli, e le ha letteralmente portate via con sé.
Una sequela Christi degna dei più grandi santi.
Con l’elezione di Francesco i media non sono più riusciti ad incolpare il Papa di ogni cosa (senza dubbio ha giocato molto a suo favore il suo atteggiamento benevolo e il desiderio dei media di farlo apparire come anti-clericale) e la bufera che per otto anni aveva imperversato nei giornali contro la Chiesa si è molto placata.
Le polemiche ci sono e ci saranno sempre, ma il clima allucinante di quegli anni è stato bruscamente interrotto dalle sue dimissioni.
E da allora, Dio lo ha “sostenuto con la sua mano“, gli ha dato la forza di sopportare l’immenso dolore che questo “passo indietro” gli ha causato.
Solo un teologo eccelso come lui poteva comprendere l’insegnamento che proprio in quelle parole Karol gli aveva lasciato: “sottomettersi umilmente al disegno della volontà divina“.
Benedetto, con quel gesto, si è sacrificato per salvare la Chiesa.
A lui può andare solo la nostra gratitudine per questo gesto d’amore verso il suo gregge e per l’insegnamento di umiltà che ci ha saputo donare.
di Alessandro Privitera