Commento al Vangelo (Mt 5,13-16)
Dio è felice e ti vuole felice! È questo il succo delle beatitudini che domenica scorsa ci hanno raccontato la felicità, il modo bello per funzionare da uomini e da donne fioriti, come ci vuole Dio. E il sale e la luce sono solo due conseguenze di questa scelta di vita: vivere le beatitudini. Un discepolo che non accoglie e vive le beatitudini, che non sente in sé il desiderio di infinito, se non si meraviglia davanti alla buona notizia di un Dio che ci vuole felice, è come un sale scipito o una lampada tenuta nascosta: assolutamente inutile. Non si tratta di coerenza o di sforzi da compiere per apparire cristiani: se la lampada non è accesa non fa luce per nessuno.
Incontrare il Dio di Gesù è un colpo di luce, è scorgere un modo nuovo di illuminare le nostre ombre e la nostra vita (come a Zabulon e a Neftali). Incontrare il Dio di Gesù è rendere saporita la nostra vita perché ti spiega chi sei, cosa fai, dove vai. Noi siamo il sale e siamo la luce. E questo è solo una conseguenza di vivere le beatitudini. E questa felicità si chiama amare. Vivere in questa direzione è dare sapore alla nostra vita. Se la vita ha un senso, se è saporita, allora diventiamo testimonianza, illuminiamo la vita degli altri. Il sale può perdere il sapore? Certo che no! Significa che non è mai stato salato! È così anche per la vita cristiana: se non facciamo l’esperienza di lasciarci illuminare, di lasciarci raccontare da Dio il senso della nostra vita allora facciamo la fine del sale non salato e della candela nascosta.
Ma cosa significa insaporire e illuminare, essere sale e luce? Purtroppo, corriamo il rischio di parlare solo di gesti che sanno di coerenza. Ma attenzione la testimonianza non è fatta di azioni coerenti da fare (Gesù non è morto in nome della coerenza); essa è semplicemente vivere quello che abbiamo scoperto nella quotidianità. Vivere questo Dio che ci ha incontrato. La candela quando brucia non si sta sforzando di bruciare, fa luce perché brucia; la testimonianza è anzitutto provare a vivere quello che diciamo ed è l’amore che fa vivere questo. Quando uno è innamorato lo vedi o no? Ti accorgi quando tuo figlio adolescente si è preso una sbandata per la sua compagna di classe? Certo! Ovvio! Allora allo stesso modo siamo dei discepoli che facciamo luce. E la luce che facciamo non è la nostra, ma è quella che Gesù ha messo dentro di noi. Se tu cammini nelle beatitudini, guarda che gli altri se ne accorgono e si mettono alla ricerca di quel Dio. Dunque, essere saporiti e illuminare significa che questo amore per il Signore ha una ricaduta se pur piccola nel nostro quotidiano. Quando il Vangelo dona sapore alla nostra vita e alla vita degli altri, quando la fiamma dell’amore per Cristo brucia e consuma, noi non ci sforziamo ma ci sembra normale e naturale fare quello che stiamo facendo. Una mamma non si sforza se deve alzarsi di notte a dare il latte al suo neonato; un fidanzato non si sforza se improvvisamente di notte deve raggiungere l’amata perché ha bisogno di lui. È normale vivere di quello con cui abbiamo farcito la nostra vita. È la visibilità dell’amore.
Inoltre, cosa significa insaporire e illuminare? La caratteristica principale del sale e della luce consiste nella loro invisibilità. Il sale dà sapore alle cose, ma per farlo scompare alla vista. Ci si accorge della sua presenza solo quando si mangia una pietanza. Finché è riconoscibile come sale non è utile. Per esserlo deve scomparire nella sua consistenza propria e per questo cambia le cose nel loro sapore. La fede, e la testimonianza della fede, allo stesso modo sono significative quando silenziosamente cambiano il sapore del mondo, il suo senso più profondo. Così un medico è riconoscibile come cristiano, dalla qualità del suo essere medico. Un giardiniere, dalla cura con cui coltiva le sue piante. Una madre, dalla tenerezza con cui esercita la sua maternità. Un cristiano ovunque si trova non può lasciare le cose uguali, le cambia, le insaporisce, le rende significative. In questo senso il cristianesimo non pianta bandierine di conquista, ma ha la pazienza di trasformare le cose da dentro. Ha ragione Papa Benedetto quando dice che il cristianesimo si propaga non per proselitismo ma per attrazione. Allo stesso modo la luce in sé è invisibile, diventa visibile solo quando si scontra con un oggetto e lo rivela. Noi dovremmo essere quella luce che rivela le cose, i volti soprattutto della gente, la loro unicità, diversità, bellezza nascosta. Desideriamo essere così: che bello incontrare volti luminosi che ci parlano della luce che portiamo dentro; che bello trovare persone che danno sapore e senso alla nostra vita infarcendola di Vangelo! Vivere così mi interessa! Buona domenica!
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La visibilità dell’amore
Commento al Vangelo (Mt 5,13-16)
Dio è felice e ti vuole felice! È questo il succo delle beatitudini che domenica scorsa ci hanno raccontato la felicità, il modo bello per funzionare da uomini e da donne fioriti, come ci vuole Dio. E il sale e la luce sono solo due conseguenze di questa scelta di vita: vivere le beatitudini. Un discepolo che non accoglie e vive le beatitudini, che non sente in sé il desiderio di infinito, se non si meraviglia davanti alla buona notizia di un Dio che ci vuole felice, è come un sale scipito o una lampada tenuta nascosta: assolutamente inutile. Non si tratta di coerenza o di sforzi da compiere per apparire cristiani: se la lampada non è accesa non fa luce per nessuno.
Incontrare il Dio di Gesù è un colpo di luce, è scorgere un modo nuovo di illuminare le nostre ombre e la nostra vita (come a Zabulon e a Neftali). Incontrare il Dio di Gesù è rendere saporita la nostra vita perché ti spiega chi sei, cosa fai, dove vai. Noi siamo il sale e siamo la luce. E questo è solo una conseguenza di vivere le beatitudini. E questa felicità si chiama amare. Vivere in questa direzione è dare sapore alla nostra vita. Se la vita ha un senso, se è saporita, allora diventiamo testimonianza, illuminiamo la vita degli altri. Il sale può perdere il sapore? Certo che no! Significa che non è mai stato salato! È così anche per la vita cristiana: se non facciamo l’esperienza di lasciarci illuminare, di lasciarci raccontare da Dio il senso della nostra vita allora facciamo la fine del sale non salato e della candela nascosta.
Ma cosa significa insaporire e illuminare, essere sale e luce? Purtroppo, corriamo il rischio di parlare solo di gesti che sanno di coerenza. Ma attenzione la testimonianza non è fatta di azioni coerenti da fare (Gesù non è morto in nome della coerenza); essa è semplicemente vivere quello che abbiamo scoperto nella quotidianità. Vivere questo Dio che ci ha incontrato. La candela quando brucia non si sta sforzando di bruciare, fa luce perché brucia; la testimonianza è anzitutto provare a vivere quello che diciamo ed è l’amore che fa vivere questo. Quando uno è innamorato lo vedi o no? Ti accorgi quando tuo figlio adolescente si è preso una sbandata per la sua compagna di classe? Certo! Ovvio! Allora allo stesso modo siamo dei discepoli che facciamo luce. E la luce che facciamo non è la nostra, ma è quella che Gesù ha messo dentro di noi. Se tu cammini nelle beatitudini, guarda che gli altri se ne accorgono e si mettono alla ricerca di quel Dio. Dunque, essere saporiti e illuminare significa che questo amore per il Signore ha una ricaduta se pur piccola nel nostro quotidiano. Quando il Vangelo dona sapore alla nostra vita e alla vita degli altri, quando la fiamma dell’amore per Cristo brucia e consuma, noi non ci sforziamo ma ci sembra normale e naturale fare quello che stiamo facendo. Una mamma non si sforza se deve alzarsi di notte a dare il latte al suo neonato; un fidanzato non si sforza se improvvisamente di notte deve raggiungere l’amata perché ha bisogno di lui. È normale vivere di quello con cui abbiamo farcito la nostra vita. È la visibilità dell’amore.
Inoltre, cosa significa insaporire e illuminare? La caratteristica principale del sale e della luce consiste nella loro invisibilità. Il sale dà sapore alle cose, ma per farlo scompare alla vista. Ci si accorge della sua presenza solo quando si mangia una pietanza. Finché è riconoscibile come sale non è utile. Per esserlo deve scomparire nella sua consistenza propria e per questo cambia le cose nel loro sapore. La fede, e la testimonianza della fede, allo stesso modo sono significative quando silenziosamente cambiano il sapore del mondo, il suo senso più profondo. Così un medico è riconoscibile come cristiano, dalla qualità del suo essere medico. Un giardiniere, dalla cura con cui coltiva le sue piante. Una madre, dalla tenerezza con cui esercita la sua maternità. Un cristiano ovunque si trova non può lasciare le cose uguali, le cambia, le insaporisce, le rende significative. In questo senso il cristianesimo non pianta bandierine di conquista, ma ha la pazienza di trasformare le cose da dentro. Ha ragione Papa Benedetto quando dice che il cristianesimo si propaga non per proselitismo ma per attrazione. Allo stesso modo la luce in sé è invisibile, diventa visibile solo quando si scontra con un oggetto e lo rivela. Noi dovremmo essere quella luce che rivela le cose, i volti soprattutto della gente, la loro unicità, diversità, bellezza nascosta. Desideriamo essere così: che bello incontrare volti luminosi che ci parlano della luce che portiamo dentro; che bello trovare persone che danno sapore e senso alla nostra vita infarcendola di Vangelo! Vivere così mi interessa! Buona domenica!
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