«Una nuova economia, ispirata a Francesco d’Assisi, oggi può e deve essere un’economia amica della terra, un’economia di pace. Si tratta di trasformare un’economia che uccide in un’economia della vita, in tutte le sue dimensioni»
Le parole del Pontefice sono state – ancora una volta – profetiche e a dimostrarlo sono gli sconvolgimenti climatici, la crisi energetica, la pandemia (il cui fantasma resta, purtroppo, sullo sfondo); a livello nazionale, aggiungerei anche gli aumenti ingiustificati delle utenze (cresciute già prima dello scoppio del conflitto russo – ucraino n.d.r.), l’inflazione e la recessione economica, al punto tale che noti economisti stimano che l’Italia possa sperare di ritornare ai livelli pre Covid solo nel 2024. Il pensiero del Papa ha generato la nascita d’un movimento informale che ha preso il nome di “The economy of Francesco”.
Lo spirito di fondo è la riformulazione d’un modello di sviluppo nuovo che tenga conto di dimensioni sociali e umane finora sottovalutate o addirittura ignorate dal sistema economico nel quale viviamo. Gettare nuove fondamenta significa anche cambiare i concetti stessi del nostro pensiero adottando nuovi termini a prima vista complessi, ma in realtà portatori di un messaggio forte e profondo. Ovviamente, al manifesto economico di Papa Francesco, si sono uniti economisti, imprenditori e change-makers impegnati in un processo di dialogo inclusivo e di cambiamento globale giovane e vibrante, orientato alla creazione di nuovi modelli di economia globale. Tra gli economisti è d’obbligo citare Mauro Magatti, Leonardo Becchetti e Stefano Zamagni.
Tuttavia, chi scrive reputa che non tutti siano adeguatamente informati sui nuovi modelli economici da adottare, ed ecco la ratio da cui prende spunto la presente riflessione. Al momento, l’economia mondiale è basata sul modello lineare le cui fasi sono: estrazione, produzione, consumo, smaltimento. Il consumismo esponenziale genera, fatalmente, rifiuti tossici e dannosi per l’organismo umano. Detto modello non può più funzionare nel lungo periodo. In natura non ci sono discariche, i materiali vanno e vengono. L’unica fonte di energia è quella solare, la natura vive, cresce e muore restituendo i propri nutrienti alla terra. È un modello che funziona ottimamente da millenni ed è ad esso che dovremmo ispirarci.
Ed è proprio su queste basi che potrebbe svilupparsi il nuovo modello dell’economia circolare, un sistema economico basato sulla rigenerazione di due tipi di materiali: biologici (destinati dunque ad essere reintegrati nella biosfera) e tecnici (destinati ad essere rivalorizzati senza essere integrati nella biosfera). Se si progettassero prodotti al cui superamento i materiali venissero resi ai produttori, costruiti e trasportati con l’utilizzo di energie rinnovabili e pulite, avremmo centrato uno degli obiettivi della cosiddetta green economy, appunto un modello di economia che permette la riduzione dell’impatto ambientale in favore di uno sviluppo sostenibile, come l’uso di energie rinnovabili, riduzione dei consumi, riciclaggio dei rifiuti. Accanto all’economia circolare di cui abbiamo testé scritto, esiste un altro modello economico di cui si parla molto: l’economia generativa. Serve una concezione diversa: sempre di crescita si tratterà, ma d’una crescita capace di trovare un nuovo (difficile e delicato) equilibrio tra le esigenze della produttività e quelle dell’ambiente; tra l’efficienza economica e la giustizia sociale, tra gli investimenti in tecnologia e quelli sulle persone, tra l’eccellenza e la fragilità, tra la quantità e la qualità, tra la competitività e la coesione.
«Generare non solo in senso biologico, ma anche in senso sociale, culturale ed economico – ha sottolineato il prefato professor Magatti – significa che lo scopo finale di ogni nostra azione concreta non può essere altro che la circolazione della vita e della libertà». Una circolazione che deve avere uno sguardo ampio sulla realtà e sul futuro: per questo il pensiero generativo non è una semplice linea retta, ma una spirale simboleggiante uno sviluppo che si rinnova costantemente ad ogni nuova generazione.
Anche la Chiesa può essere protagonista della nuova era dell’economia generativa: un esempio potrebbe essere l’utilizzo di una parte del patrimonio (pensiamo a terreni incolti oppure abbandonati, come anche ai tanti luoghi di culto chiusi al pubblico) per la promozione umana e sociale degli impoveriti e delle persone fragili, per promuovere il lavoro agricolo, la cultura e l’arte e per farne strumento di economia generativa per i giovani.
A corredo di quanto innanzi esposto, per completezza d’informazione, va sottolineato anche come – recentemente – si sia cominciato a parlare di blue economy che nasce per superare i limiti della green economy andando a studiare gli ecosistemi per riprodurne le leggi di funzionamento. La blue economy è un modello economico che mira alla creazione di un ecosistema sostenibile attraverso la rigenerazione delle risorse. Ha come obiettivo una riduzione delle emissioni di anidride carbonica entro un limite accettabile, mirando a conseguire l’ambizioso traguardo delle “emissioni zero”. In comune con la green economy condivide lo sforzo di utilizzare energia ricavata da fonti rinnovabili e di creare prodotti sempre più “sostenibili”. Come suggerisce il nome, la blue economy ha come punto di partenza la “purezza del mare” e l’attuazione di un tipo di pesca sostenibile. In conclusione possiamo certamente affermare che sviluppo umano integrale e salvaguardia del creato costituiscono i paradigmi per un rinnovato impegno dei credenti, nell’ambito sociale ed ambientale, non solo per motivi etici ma essenzialmente perché risponde alla natura stessa del credere.
di Giancamillo Trani