Commento al Vangelo Mt5,38-48
Se siamo innamorati si vede, se abbiamo nel cuore il desiderio di Dio si vede, se abbiamo incontrato Gesù quella legge ti custodisce e ti fa essere un segno diverso nel mondo. Oggi però il vangelo ci conduce al paradosso, all’assurdo. Siamo alla fine del quinto capitolo di Matteo, il discorso della montagna dove Gesù ci dona le Beatitudini. Gesù fa seguire a questa ricerca della felicità tutta una serie di norme come il Vangelo di domenica scorsa, una tempesta su di noi che ci manda veramente in crisi per farci capire cosa desideriamo in realtà. Quel desiderio, colui che desideriamo, porta in noi un totale cambiamento di vita.
Solo in questa chiave di lettura (cioè ho incontrato, per cui faccio come quando ci si innamora e cambia l’atteggiamento della vita) possiamo leggere le ultime impegnative pagine che Matteo ci propone dalle labbra di Gesù prima del percorso della quaresima. Gesù non vuole abolire la legge, ricordate, è venuto a portarla a compimento. Ancora una volta riascoltiamo quel “ma io vi dico” che tocca la nostra sensibilità e il nostro cuore. Solo lui sa parlare al nostro cuore e sa aprirci alle profondità dello Spirito. Gesù non correggeva la Torah, ma l’interpretazione che si dava ad essa, molto spesso benevola per tornaconti personali. Per questo egli la porta oltre, all’origine.
Questa volta è la famosissima legge del taglione ad essere rivisitata (ancora applicata oggi in mille forme anche diaboliche). Era presente già nel codice di Hammurabi e nella Bibbia al capitolo 21 dell’Esodo. La pena che veniva inflitta a chi aveva commesso qualcosa era uguale e proporzionale: vita per vita, occhio per occhio, livido per livido, ferita per ferita. Rashi, un famoso rabbino medievale, scrive commentando esodo 21 che non necessariamente era una parte del corpo ma si poteva anche pagare un’ammenda in denaro. Era la legge del risarcimento. È l’idea di fondo della nostra giustizia che rappresentiamo con una bilancia a due parti che deve restare in equilibrio. Gesù ha altro da dire. E si lancia in tre casi paradossali. Gesù propone qualcosa di immensamente più forte, entra nella logica del paradosso: dopo lo schiaffo chiede di offrire al manrovescio la guancia.
A volte noi siamo cresciuti opponendo al male ricevuto un atteggiamento uguale, simmetrico. Il male crea un vuoto nella vita delle persone e Gesù sa che quel vuoto non può riempirsi con altro vuoto, ma con il bene. La nostra vita si costruisce con i mattoni delle ferite subite, delle assenze patite, delle ingiustizie ricevute. Finché non si è liberi dal male ricevuto, non si diventa se stessi. Perdonare chi ci ha fatto del male è la strada della propria guarigione. Chi è perdonato spesso non guarisce, mentre chi perdona trova la pace. È la logica dell’amore che riempie la vita e i vuoti che lascia la giustizia e la vendetta. Alla coperta che ti chiede il povero, ti dice di restare in mutande; a chi ti obbliga a fare una cosa (gli “angheri” da cui viene la parola angheria erano i mandanti del re che ti costringevano a fare una cosa per forza) tu fai di più. Pensate, è la prima volta che si usa una parola latina “miglio” e nel Vangelo di Matteo indica le angherie che la comunità di Matteo sta provando per la persecuzione romana. Gesù invita ad entrare nella logica del paradosso.
Gesù dà per scontato che noi cerchiamo lo straordinario. Infatti, Matteo conclude questo capitolo spiegando la ragione di tutto questo, cioè perché io devo usare il paradosso. La ragione è molto semplice: altrimenti cosa fai di straordinario? Fammi capire: se tu vuoi una cosa che fanno tutti gli altri, se tu vuoi bene a chi ti vuole bene, perdoni chi ti perdona, presti a chi ti restituisce, cosa cambia rispetto agli altri? Certamente non fai niente di cattivo, ma tutto questo è mediocre. L’amore autentico compare solo se si va oltre il proprio interesse, se si dona oltre il dovuto, se si fanno atti gratuiti e imprevedibilmente generosi.
Altrimenti è falso amore. Ecco che arriviamo al cuore della scoperta di Dio: se Dio la pensasse come noi staremmo rovinati. Pesate se Dio mandasse la pioggia sui giusti e il sole sui giusti: noi non ci saremmo in mezzo. Dio manda la pioggia sperando che questa bontà del padre riesca a far breccia nel tuo cuore che resta libero e resta un mistero. In questo modo, in questo mondo che sembra ormai rassegnato alla brutalità, rassegnato al fatto che non è possibile fare in maniera diversa, dobbiamo essere come una specie di fontana del villaggio che una volta che è riempita d’acqua trabocca e poi defluisce, così il nostro cuore si lascia riempire, colmare dell’amore, della tenerezza di Dio che poi arriva ai fratelli. Buona domenica.
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Solo in questa chiave di lettura (cioè ho incontrato, per cui faccio come quando ci si innamora e cambia l’atteggiamento della vita) possiamo leggere le ultime impegnative pagine che Matteo ci propone dalle labbra di Gesù prima del percorso della quaresima. Gesù non vuole abolire la legge, ricordate, è venuto a portarla a compimento. Ancora una volta riascoltiamo quel “ma io vi dico” che tocca la nostra sensibilità e il nostro cuore. Solo lui sa parlare al nostro cuore e sa aprirci alle profondità dello Spirito. Gesù non correggeva la Torah, ma l’interpretazione che si dava ad essa, molto spesso benevola per tornaconti personali. Per questo egli la porta oltre, all’origine.
Questa volta è la famosissima legge del taglione ad essere rivisitata (ancora applicata oggi in mille forme anche diaboliche). Era presente già nel codice di Hammurabi e nella Bibbia al capitolo 21 dell’Esodo. La pena che veniva inflitta a chi aveva commesso qualcosa era uguale e proporzionale: vita per vita, occhio per occhio, livido per livido, ferita per ferita. Rashi, un famoso rabbino medievale, scrive commentando esodo 21 che non necessariamente era una parte del corpo ma si poteva anche pagare un’ammenda in denaro. Era la legge del risarcimento. È l’idea di fondo della nostra giustizia che rappresentiamo con una bilancia a due parti che deve restare in equilibrio. Gesù ha altro da dire. E si lancia in tre casi paradossali. Gesù propone qualcosa di immensamente più forte, entra nella logica del paradosso: dopo lo schiaffo chiede di offrire al manrovescio la guancia.
A volte noi siamo cresciuti opponendo al male ricevuto un atteggiamento uguale, simmetrico. Il male crea un vuoto nella vita delle persone e Gesù sa che quel vuoto non può riempirsi con altro vuoto, ma con il bene. La nostra vita si costruisce con i mattoni delle ferite subite, delle assenze patite, delle ingiustizie ricevute. Finché non si è liberi dal male ricevuto, non si diventa se stessi. Perdonare chi ci ha fatto del male è la strada della propria guarigione. Chi è perdonato spesso non guarisce, mentre chi perdona trova la pace. È la logica dell’amore che riempie la vita e i vuoti che lascia la giustizia e la vendetta. Alla coperta che ti chiede il povero, ti dice di restare in mutande; a chi ti obbliga a fare una cosa (gli “angheri” da cui viene la parola angheria erano i mandanti del re che ti costringevano a fare una cosa per forza) tu fai di più. Pensate, è la prima volta che si usa una parola latina “miglio” e nel Vangelo di Matteo indica le angherie che la comunità di Matteo sta provando per la persecuzione romana. Gesù invita ad entrare nella logica del paradosso.
Gesù dà per scontato che noi cerchiamo lo straordinario. Infatti, Matteo conclude questo capitolo spiegando la ragione di tutto questo, cioè perché io devo usare il paradosso. La ragione è molto semplice: altrimenti cosa fai di straordinario? Fammi capire: se tu vuoi una cosa che fanno tutti gli altri, se tu vuoi bene a chi ti vuole bene, perdoni chi ti perdona, presti a chi ti restituisce, cosa cambia rispetto agli altri? Certamente non fai niente di cattivo, ma tutto questo è mediocre. L’amore autentico compare solo se si va oltre il proprio interesse, se si dona oltre il dovuto, se si fanno atti gratuiti e imprevedibilmente generosi.
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