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Santa Luisa de Marillac

Vedova e religiosa – 15 marzo (e 9 maggio)

Si racconta che Napoleone si trovò un giorno ad ascoltare un gruppo di persone qualificate culturalmente che cominciarono a esaltare con entusiasmo l’Illuminismo che aveva prodotto nella società un sentimento filantropico. L’imperatore li ascoltava ma si mostrava sempre più impaziente e anche infastidito da tutte quelle parole. Ad un certo punto li interruppe dicendo: “Tutto questo è bello e buono, ma non farà mai una Suora Grigia!”. Si chiamavano così le Figlie della Carità, fondate, nel 1633, da Vincenzo de’ Paoli e da Luisa de Marrillac, da più di un secolo già famosissime e stimatissime in Francia per la loro opera di carità verso i più bisognosi.

Louise de Marillac nacque a Ferrieres nel 1591. Il padre apparteneva ad una delle più importanti famiglie della Francia. Della madre non si sa niente: Louise era quindi una figlia naturale, riconosciuta premurosamente dal padre e anche aiutata da lui con una rendita che le assicurasse una certa sicurezza. Era una bambina intelligente e saggia. I suoi primi studi furono fatti nel convento delle domenicane di Poissy: l’atmosfera raccolta, devota e culturalmente stimolante le piacque da subito. Ma, forse, la spesa era eccessiva per lei. Venne infatti ritirata e affidata ad una maestra abile anche nell’insegnarle i lavori tipici femminili.

Perso il padre all’età di 11 anni, la ragazza crebbe molto devota e fece voto di consacrarsi al Signore: all’età di 18 anni Luisa si preparava quindi ad entrare in un convento, ma fu sconsigliata e respinta a causa della sua salute non robusta. Se non poteva diventare suora allora bisognava maritarla. E così fu.
Era il 1613 e Luisa aveva 22 anni, il marito Antoine Le Gras, era segretario agli ordini della regina madre, Maria de Medici. Nacque presto anche un figlio. Luisa conduceva una vita di devota nel bel mondo che la portava a frequentare prelati e signori mentre si prendeva cura del figlio, debole di salute. Sembrava tutto facile, ma Luisa cresceva negli scrupoli, nei rimorsi per non essere potuta entrare in convento, sempre oppressa da quelli che lei credeva peccati. Aveva una buona formazione intellettuale e spirituale, e una vita cristiana buona, e cercava la salvezza nell’ascesi, nell’umiltà, nell’abnegazione, spesso anche in maniera esagerata. E in più aveva sviluppato un attaccamento verso suo figlio che qualche autore chiama addirittura di natura nevrotica. Ebbe anche la possibilità di incontrare due grandi santi: il vescovo di Ginevra, Francesco di Sales, e specialmente Vincenzo de’ Paoli. Avrà con quest’ultimo l’incontro decisivo e provvidenziale per la sua vita.

Il 1623 fu un anno importante per Luisa, quello dell’illuminazione. Scrisse lei stessa: “Compresi che… sarebbe venuto un tempo in cui sarei stata nella condizione di fare i tre voti di povertà, castità e obbedienza, e questo assieme ad altre persone… Compresi che doveva essere in un luogo per soccorrere il prossimo, ma non riuscivo a capire come ciò si potesse fare, per il fatto che doveva esserci un andare e venire…”. Un segno dall’alto di avere un po’ di pazienza per coronare il suo sogno di diventare religiosa.
Luisa capì il messaggio e infatti cominciò ad aderire, con umiltà e serenità e nella pace interiore, alle circostanze della vita, che in quel momento significava stare a fianco del marito: Luisa lo assistette con molta più dedizione e tenerezza di prima, per altri due anni, rimanendogli accanto fino alla morte santa (1626), della quale lei parlava come di una grande grazia del Signore.

L’incontro con Vincenzo de’ Paoli avvenne nel 1624, durante gli ultimi due anni della malattia del marito. Lei 33 anni, lui 43, famoso in tutta la Francia, che trattava con re, regine, ministri e grandi personaggi. Una coppia che avrebbe funzionato molto bene per il Regno di Dio e che sarebbe rimasta unita indissolubilmente e animata visibilmente dall’unico e indistruttibile e comune amore per il Signore Gesù. Lui le fu vicino con molta discrezione, con molta saggezza e anche tenerezza spirituale, rasserenando il suo spirito col richiamo continuo all’amore di Dio per ciascuno di noi e quindi anche per lei (per farle vincere il suo moralismo, gli scrupoli e il ricordo dei propri errori).

La invitava sempre ad esser lieta, semplice ed umile, le ricordava continuamente l’importanza della “santa indifferenza” davanti a quello che Dio avrebbe voluto per lei. Lei stessa avrebbe trovata la strada e la missione che Dio voleva: un po’ di pazienza, anche Dio ha i suoi tempi per agire e per far capire il suo progetto. Il Cristo non era vissuto trent’anni nell’oscurità di Nazaret prima della missione? Anche Luisa poteva e doveva aspettare.

Intanto lei conosceva sempre di più l’opera e la metodologia di Vincenzo con i poveri, finchè le venne l’intuizione: lei, Luisa de Marillac, di madre sconosciuta, orfana a 11 anni del padre, suora mancata, giovane donna maritata per interesse, madre di un figlio che dava e aveva problemi… sarebbe diventata la “Madre dei poveri”. Comunicò l’idea a Vincenzo che le rispose: “Sì che acconsento, mia cara damigella, acconsento sicuramente. Perché non dovrei volerlo io pure, se Nostro Signore vi ha dato questo santo sentimento?… Possiate essere sempre un bell’albero di vita che produce frutti d’amore!”. L’opera maggiore (che continua ancora oggi) che questa santa “coppia di Dio” ha fatto insieme è stata la fondazione delle Figlie della Carità, nel 1633, un Istituto religioso, diretto da loro due insieme per 27 anni fino al 1660, quando morirono entrambi a pochi mesi di distanza.

Fu una vera rivoluzione per la Chiesa (uscire fuori dai conventi e per di più donne), perché andava al di là dai soliti schemi mentali e gabbie organizzative ecclesiali vigenti fino a quel tempo. Vincenzo e Luisa a tutti chiedevano quello che potevano dare: ai re e regine, ai borghesi e alle dame dell’alta società francese, ai nobili ricchi e ai ricchi non nobili. Alle “figlie dei campi” Luisa diceva “In nome di Dio, sorelle… siate molto affabili e dolci con i vostri poveri. Sappiate che sono i nostri padroni…”. E questi poveri erano i derelitti, gli abbandonati, i senza dimora, i malati, i pazzi, i galeotti, bambini trovatelli, feriti di guerra e altre categorie a forte disagio sociale.

Era un’assistenza piena di amore e di carità, che nessuna ideologia o anche filosofia illuminista poteva inventare o giustificare, ma solo l’amore di Dio. Ed era un lavoro che le Figlie della Carità, quelle suore grigie che Napoleone “sognava”, facevano, e sempre faranno, “in nome di Dio”.

Fonte: Mario Scudu sdb – Santi e Beati

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