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La menzogna del linguaggio inclusivo

Adesso ci dovremmo vergognare anche di parlare, cioè di chiamare le cose col loro nome o usare determinati aggettivi. È l’ultima follia del linguaggio inclusivo che ha spinto l’editore Puffin Book a riscrivere alcune parti dei romanzi di Roal Dahl ritenute offensive. Ed è in corso dal 2020 questo lavoro di revisione delle parti incriminate, dalle quali pare siano spariti aggettivi e sostantivi come grasso, flaccido, minuscolo, femmina. E l’elenco è infinito. E parliamo di romanzi per ragazzi trasposti anche in pellicole famose quali: “La fabbrica del cioccolato”, “Matilda” e altri.

Non mi sembra che la motivazione addotta sia molto convincente: “affinchè i libri possano continuare ad essere apprezzati da tutti anche oggi” A me sembra, invece, soltanto una grande ipocrisia, una sorta di censura che ammantandosi col pretesto del linguaggio inclusivo, permetterebbe di inglobare quella parte di pubblico che si ritiene ipoteticamente offeso. Un rifacimento del look linguistico per fini puramente commerciali. Pare che anche la parola Otello sia severamente proibita. Forse perché incoraggerebbe i maschi traditi o presunti tali ad uccidere? Siamo all’assurdo.

Di questo passo negheremo tutto il passato, la storia, la letteratura, la nostra identità culturale. Immaginate una censura in tal senso della “Divina Commedia” di Dante? Ma voglio soffermarmi a fare qualche riflessione solo sulle parole, i termini e le espressioni che sono indispensabili per la comunicazione e per poterci comprendere. Io mi chiedo come definire ad esempio una persona grassa se questo aggettivo è inutilizzabile. Un po’ fuori misura? O leggermente in sovrappeso? E per definire qualcosa di flaccido? Un budino o le braccia di donne di una certa età, come me? È vero potremmo scegliere l’aggettivo cascante. No, magari se anche questo fosse offensivo, potremmo servirci di supermorbido o gelatinoso? Guardate che il concetto non cambia, le braccia “a tendina”, restano comunque flaccide. Ma pare che il termine in questione sia proibito, come se eliminandolo si potesse simultaneamente cancellare il difetto.

E sapete spiegarmi perché non dovremmo più usare il sostantivo “femmina”? Chi si dovrebbe offendere? Noi donne! E perché? Non parlatemi di linguaggio inclusivo e di diritti uguali per tutti, è una grande menzogna se non follia collettiva. Per ritornare al discorso delle parole, Cesare Marchi, un grande linguista del secolo scorso, già aveva intuito il problema e, con lungimiranza profetica ci metteva in guardia dalla “lingua della vaselina” che stava diventando l’Italiano. E si assisteva alla sostituzione di parole come cameriera, bidello, infermieri, spazzino con i più ricercati termini collaboratrice domestica, collaboratore scolastico, personale paramedico, operatore ecologico. E oggi che cosa direbbe?

Lo scrittore sosteneva che il dizionario, insieme all’elenco telefonico è il libro più democratico del mondo. “Nessun culto della personalità. Tutte le parole, poetiche e tecnologiche, umili e dotte, arcaiche e ultramoderne vi figurano in rigoroso ordine alfabetico, accettando come in autobus il posto assegnato dal caso, in pittoresca promiscuità, […] anguria e angustia, bar e bara, coma e comare, bovarismo e bovaro, milite ignoto e militesente. (parte I, Le buone regole, cap. I, Un libro democratico, pp. 9-10) Grande linguista! Dobbiamo chiamare le cose con il loro nome, pena una comunicazione fasulla, edulcorata, ingannevole! In realtà si sta facendo un uso improprio e demenziale anche del termine “politically correct” che in realtà dovrebbe essere semplicemente un insieme di regole etiche di comunicazione e di comportamento.

Solo che il concetto è stato politicizzato e strumentalizzato in difesa del “dolce dir niente” e nel tentativo di cancellare quello che è stato il nostro passato nel bene e nel male. C’è da dire che assistiamo anche al fenomeno opposto perché sui social la comunicazione messa in atto è un’accozzaglia di slogan, invettive e ingiurie. Perchè nessuno muove un dito per arginare questo scempio? Le parole hanno un impatto importantissimo sulle persone che ci leggono o ci ascoltano, e vanno ponderate sempre. Tuttavia, i vocaboli vanno utilizzati sempre in relazione al contesto e a quello che vogliono esprimere esattamente “senza borghesi distinzioni; scorrette sono solo le parole inutili e false” (Don Lorenzo Milani).

È inutile rifugiarsi in accorgimenti linguistici e grafici per raccontare una rivoluzione di costume che non c’è. Io vedo invece un appiattimento della creatività, un’omologazione e un impoverimento linguistico impressionanti e il tentativo di sostituire “con ipocrisia linguistica il livore pratico”. (Margherita Oggero). Stiamo attenti, lasciamoci guidare dal poeta: “Vola alta, parola, cresci in profondità, tocca nadir e zenith della tua significazione […]sii luce, non disabitata trasparenza (Mario Luzi).

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