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“Non solo salvare, ma integrare”

Francesco riceve in udienza i rifugiati giunti in Europa attraverso l’iniziativa comune di Sant’Egidio, Chiese evangeliche, Tavola valdese e Chiesa italiana: “Mi piace tanto che i cristiani si uniscano per lavorare insieme come fratelli”.

Scuote la testa e chiude gli occhi, Francesco, quando ricorda le testimonianze dei rifugiati passati attraverso i campi di detenzione in Libia. “I lager libici, terribile… Il traffico di esseri umani… Dobbiamo andare avanti!”, dice con un filo di voce ai profughi giunti in Europa attraverso i corridoi umanitari, ricevuti oggi in Aula Paolo VI. Sono cinquemila e vengono da Africa, Medio Oriente e anche dall’Ucraina, seduti con striscioni e bandiere dei propri Paesi. Accanto a loro ci sono i rappresentanti delle comunità che li hanno accolti in Italia, Francia, Belgio e Andorra e che li hanno accompagnati non solo nella fase di accoglienza, ma anche di integrazione.

Un lavoro di “fratelli”

La Comunità di Sant’Egidio, in prima linea: “Sono bravi questi di Sant’Egidio, sono bravi, bravi, bravi”, osserva il Papa. Cita pure la Federazione delle Chiese Evangeliche e della Tavola Valdese che hanno collaborato all’iniziativa: “A me piace tanto che i cristiani si uniscano per lavorare questo, insieme, come fratelli che siamo tutti e non sottolineare le differenze”, aggiunge Francesco, esprimendo gratitudine anche alla “rete accogliente della Chiesa italiana che è stata generosa”, in particolare la Caritas. Il grazie del Pontefice è pure per “l’impegno del Governo italiano e dei Governi che vi hanno ricevuto. Tanti, eh!”

Tutti hanno saputo dimostrare una “creatività generosa”, dice il Papa nel suo discorso consegnato integralmente, che sceglie di abbreviare in modo da poter trascorrere più a tempo con i rifugiati, con i quali si ferma infatti dopo l’udienza per dei colloqui personali.

Storie e racconti

Un segno concreto delle parole di Francesco: “Ognuno di voi merita attenzione per la storia dura che ha vissuto. In particolare, vorrei ricordare quanti sono passati attraverso i campi di detenzione in Libia…”. Tra loro c’è Meskerem con la sua famiglia: “Vengo dall’inferno della Libia”, dice al Pontefice, al quale consegna la sua testimonianza scritta. Dopo di lei c’è Anna da Aleppo, cristiana, che ripercorre la fuga con la sua famiglia dopo che le sirene, le bombe, i morti e i feriti erano divenute scene insopportabili. “Pamela era appena nata, aveva un mese, per salvarla abbiamo lasciato tutto e siamo partiti per il Libano”, racconta. Poi l’esplosione del porto di Beirut ha rubato di nuovo loro la casa e i sogni; i corridoi umanitari sono stati quindi “un sogno”, il sogno di “vivere in pace”.

Proprio per far fronte a questo dramma, nel 2016 sono stati avviati i corridoi umanitari. “I corridoi umanitari nascono dal pianto e dalla preghiera… Siamo andati nell’inferno dei campi profughi a cercare persone che non conoscevamo ma che sentivamo come fratelli e sorelle”, racconta Daniela Pompei, di Sant’Egidio in una toccante testimonianza. Un modo per non essere “sordi al grido che sale da tanti luoghi di dolore”.

Il Mediterraneo divenuto un cimitero

Papa Francesco loda questa iniziativa che è stata e continua ad essere una “risposta alla situazione sempre più drammatica nella rotta Mediterranea”.

“Il Mediterraneo si è convertito in un cimitero, è duro questo no? I corridoi umanitari servono ad assicurare vita, salvezza, poi dignità, inserimento…”

Integrare è parte della salvezza

Il Papa ringrazia chi si adopera per tutto questo, ormai da anni: “Il lavoro che voi fate, individuando e accogliendo persone vulnerabili, cerca di rispondere nella maniera più adeguata a un segno dei tempi”, dice “I corridoi umanitari non solo mirano a far giungere in Italia e in altri Paesi europei persone profughe, strappandole da situazioni di incertezza, pericolo e attese infinite; anche essi operano anche per l’integrazione, e questo è importante per finire: integrare e non solo salvare, ma integrare. E integrare è parte della salvezza.”

Il grazie a chi accoglie

Si tratta di un “processo virtuoso”, realizzato grazie a persone, famiglie, comunità, che si sono messe a disposizione “generosamente”: “Avete aperto i vostri cuori e le vostre case. Grazie tante…”, rimarca il Papa. “Grazie – aggiunge – per portare avanti questa storia di accoglienza che è un impegno concreto per la pace. L’accoglienza è il primo passo per la pace. Grazie di questo”.

Da qui, un saluto a quanti tra i presenti che “sono passati attraverso i corridoi umanitari e che ora vivono una nuova vita. Avete mostrato una ferma volontà di vivere liberi dalla paura e dall’insicurezza.”

Una preghiera insieme

L’udienza si conclude con la recita del Padre Nostro: “Io vorrei finire con voi con una preghiera, tutti siamo figli dello stesso Padre. Il Signore ci benedica tutti, è il nostro Padre. Finiamo insieme pregando il nostro Padre, ognuno nella propria lingua”, dice Francesco.

Non si ripeta più un naufragio come a Cutro

Nel discorso preparato e consegnato, il Papa cita il recente naufragio di Cutro: “Quel naufragio non doveva avvenire, e bisogna fare tutto il possibile perché non si ripeta”. Quindi rimarca il sostegno ai corridoi che “gettano dei ponti che tanti bambini, donne, uomini, anziani, provenienti da situazioni molto precarie e da gravi pericoli, hanno infine percorso in sicurezza, legalità e dignità fino ai Paesi di accoglienza”.

“Essi attraversano i confini e, ancor più, i muri di indifferenza su cui spesso si infrange la speranza di tantissime persone, che attendono per anni in situazioni dolorose e insostenibili.”

“Il Papa non rinuncia a cercare la pace”

“I corridoi umanitari sono una via praticabile per evitare le tragedie e i pericoli legati al traffico di essere umani”, afferma inoltre Francesco. E tutta la “storia di accoglienza” è “un impegno concreto per la pace”. Ai tanti profughi ucraini, Jorge Mario Bergoglio assicura infatti “che il Papa non rinuncia a cercare la pace, a sperare nella pace e a pregare per essa”.

“Lo faccio per il vostro Paese martoriato e per gli altri che sono colpiti dalla guerra; qui, infatti, ci sono tante persone che sono fuggite da altre guerre. E questo servizio ai poveri, ai profughi e ai rifugiati è anche un’esperienza forte di unità tra i cristiani”.

In effetti, “questa iniziativa dei corridoi umanitari è ecumenica. È un bel segno che unisce fratelli e sorelle che condividono la fede in Cristo”. L’appello del vescovo di Roma va all’Europa, perché “non resti bloccata, spaventata, senza visione del futuro”, ma ricordi la sua storia “sviluppata nei secoli attraverso l’integrazione di popolazioni e culture differenti”

di Salvatore Cernuzio – Vatican news

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