Gesù è stato fissato alla croce con i chiodi sui polsi, questo era l’uso dei romani in maniera da reggere il peso del corpo. Perché allora i santi che hanno avuto le stimmate, da san Francesco a padre Pio, le hanno avute sulle mani?
La domanda nasce da un’osservazione precisa e corretta. Un primo approccio può essere offerto attraverso l’iconografia della crocifissione. Fin dalle più antiche rappresentazioni il Crocifisso è mostrato con i chiodi conficcati nelle palme delle mani. Così è nella miniatura del Codice di Rabbula, tradizionalmente collocato in ambiente siriaco verso la fine del VI secolo e conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. La medesima posizione si ritrova nel Volto santo di Lucca, crocifisso ligneo, recentemente datato verso la fine del secolo VIII.
Da queste prime opere, la quasi totale tradizione iconografica presenta crocifisse le palme delle mani di Gesù: dal «Christus Triumphans» di Guglielmo (1138) al «Crocifisso di san Damiano», davanti al quale stette in preghiera Francesco d’Assisi. E tutto questo nonostante il contrasto con la realtà storica, che dobbiamo ritenere ben conosciuta dai vari autori. Alcune delle poche immagini con i chiodi confitti ai polsi di Cristo sono i dipinti di Anton van Dyck, eseguiti come variazioni del medesimo soggetto, dalla «Crocifissione» conservata a san Zaccaria a Venezia a quelle presso il Palazzo reale di Genova e il museo nazionale di Capodimonte a Napoli. In tutte queste raffigurazioni i chiodi sono conficcati nei polsi di Gesù.
La spiegazione più immediata, per comporre la dissonanza tra storia e arte, la troviamo nella citazione del salmo 22 (21) secondo la Vulgata latina di Girolamo, concorde con le versioni siriaca e greca della Settanta. L’inizio di questo salmo è gridato da Gesù prima di morire: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46; Mc 15,34). Al v. 17 del salmo, secondo queste versioni, troviamo: «hanno forato le mie mani e i miei piedi». Dobbiamo ricordare anche come l’incredulità di Tommaso verso la risurrezione del Signore venga espressa con il desiderio di vedere «nelle mani il segno dei chiodi», mettendovi il dito. E Gesù stesso gli ripeterà le medesime parole, invitandolo a vedere e toccare (Gv 21,24-28). Su queste letture si è formata la fede cristiana, compresa quella di Francesco d’Assisi e di altri stigmatizzati, fino a p. Pio e contemporanei.
Infatti, noi incontriamo Gesù, il Cristo, il Crocifisso risorto, essenzialmente attraverso la narrazione evangelica. La testimonianza apostolica giunge a noi attraverso una Parola annunciata, scritta e interpretata. Ora, come ricorda il Concilio, la stessa sacra Scrittura trasmette la verità e la santità di Dio adattandosi al linguaggio degli uomini, manifestando così «l’ammirabile condiscendenza dell’eterna Sapienza» (Dei Verbum 13). La condiscendenza di Dio è ancora più accentuata nelle rivelazioni private o fatti prodigiosi, che restano fortemente segnati dal contesto culturale e storico di coloro ai quali Dio mostra qualcosa del suo mistero. Pensiamo, per esempio, alla differenza tra due apparizioni mariane, entrambe riconosciute dalla Chiesa. A Lourdes, Bernadetta si sente rivolgere da una giovane «Signora» bellissima, vestita di bianco, parole nel suo dialetto. A Guadalupe la Vergine che appare a Juan Diego è incinta e di carnagione scura, tipica degli indios. Contesti diversi, figure dell’apparizione diverse. Così, l’immagine del Crocifisso impressa negli stigmatizzati non è la copia storica di quello che ha subito Gesù sulla croce, ma la rappresentazione di quanto la loro fede ha vissuto nell’amore verso il Signore: dono straordinario di Dio, ma incorporato nella concretezza della loro fede vissuta. E le loro ferite, riconosciute autentiche dalla Chiesa, corrispondono all’amore che hanno vissuto verso le piaghe del Crocifisso, piaghe venerate e contemplate attraverso le immagini della tradizione iconografica.
Piuttosto, è interessante ricordare come le stimmate di Francesco d’Assisi siano state di forma unica. L’unica ferita era quella del costato, mentre i segni dei chiodi «erano rotondi dalla parte interna della mano e allungati all’esterna, e formavano quasi un’escrescenza carnosa, come fosse la punta di chiodi ripiegata e ribattuta» (Tommaso da Celano, Vita Prima, n. 95). Similmente era per i segni dei chiodi ai piedi, tanto che queste escrescenze gli impedivano di poggiare la pianta per terra. Anche qui, contrariamente alla testimonianza del biografo, le rappresentazioni di Francesco stimmatizzato lo mostrano con delle ferite nelle palme delle mani e nei piedi, secondo il modello consueto per Cristo e per tutti gli altri stimmatizzati.
Non siamo davanti alla cronaca dai particolari storicamente precisi, ma a manifestazioni di fede che colgono il cuore del messaggio: un ardente amore per Cristo, sigillato da un dono singolare. Così, quando Paolo afferma di portare le stigmate di Gesù nel suo corpo (Gal 6,17) non parla di ferite fisiche, ma di quanto la passione per il Vangelo e l’amore per Cristo siano stati decisivi per la sua vita, tanto da essere stato crocifisso per il mondo (Gal 6,14). Ogni credente è chiamato a questa progressiva conformazione con il Crocifisso risorto, attraverso la partecipazione ai sacramenti e nella conversione al Vangelo e all’amore di Dio. E se il prodigio delle stimmate può manifestare in chi lo riceve il suo profondo cammino spirituale, siamo tenuti a ricordare come la santità vera non consista nell’operare cose straordinarie, ma nel modo straordinario di compiere le cose ordinarie. Così è accaduto per tutti i santi stimmatizzati, da Francesco d’Assisi a p. Pio.
Fonte: padre Valerio Mauro – docente di Teologia sacramentaria – Toscanaoggi.it