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Lettere delle scrittrici italiane a chi lotta per la vita e la libertà

Le lettere di dieci scrittrici italiane per «incontrare e parlare con le donne che nel mondo si battono per il cambiamento e che oggi sono le protagoniste della lotta per la vita e la libertà. Afgane, yazide, iraniane, curde, africane, sudamericane, indiane, donne migranti… Diverse e lontane da noi eppure così vicine nel loro desiderio di cambiare, di trasformare la sofferenza in protagonismo, l’emarginazione in spinta vitale. Ruota intorno a questo il numero di marzo di “Donne Chiesa Mondo”, mensile femminile de L’Osservatore Romano.

Lettere che, si legge nell’editoriale, «in qualche modo arriveranno anche nelle parti più lontane del globo. Il linguaggio della letteratura, come quello della libertà, è universale. La voce delle donne, malgrado l’oppressione nel mondo sia ancora tanta, oggi è forte, capace di attraversare frontiere di ogni tipo. Pretende di essere ascoltata». Così Viola Ardone ha scritto alla donna afghana cui è stato tolto tutto, anche il volto, ma che non si rassegna ad essere come gli uomini la vorrebbero: un fantasma senza pensiero, una vita che non vive. Sotto l’hijab ci sono le donne iraniane che hanno il coraggio di esigere nelle piazze il loro futuro e alle quali scrive Silvia Avallone. Alle donne curde, le prime a gridare “Jin, Jiyan, Azadi”, “Donne, vita, libertà”, è indirizzata la lettera di Carola Susani.

Sono di Mariapia Veladiano le parole alle donne yazide che hanno fatto crollare “il muro di distrazione” dell’Occidente quando lo Stato islamico ha tentato di distruggere il loro popolo. E di Dacia Maraini quelle rivolte alle africane strette tra una arretratezza che continua a punirle e una modernità che tuttavia nega loro i diritti. Nadia Terranova scrive alle bambine nate in tempo di guerra; Igiaba Scego a una bambina Yanomani le cui terre sono invase e derubate per la corsa all’oro in Amazzonia. Elena Janezeck alle migranti invisibili ed escluse. Maria Grazia Calandrone invece fa parlare una bambina indiana che ha rifiutato un matrimonio imposto dalla famiglia. E sono presenti anche gli uomini con una lettera loro indirizzata da Edith Bruck: «È la debolezza degli uomini – scrive – che scatena la violenza, lo stupro, l’omicidio di chi vi lascia. Non l’amore».

di Franco Maresca

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