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Giovani: una sfida educativa

Giovedì 30 marzo 2023 presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Sezione S. Tommaso di Napoli, si è tenuto il Convegno degli studenti, con ospiti che veramente hanno riscosso interesse e simpatia. E tanti sono stati gli studenti di teologia che hanno presenziato, fin dalla Calabria.

Mons. Armando Matteo, attualmente docente di Teologia Fondamentale alla Pontifica Università Urbaniana, ha subito esordito con entusiasmo. Attualmente c’è un virus dell’immaturità che è terribile e che colpisce gli adulti, di una fascia d’età in particolare. Cosa è successo agli adulti? Oggi non si parla più di invecchiamento, ma di degiovanimento. Negli anni ’50 due genitori avevano più figli, nel 2023 ogni figlio ha più genitori.

Il cambiamento oggi deve interessare soprattutto gli adulti. A Roma non muore più nessuno! A Roma gli anziani “scompaiono”, la gente si spegne, viene a mancare, compie l’ultimo transito, è andato nella casa del Padre, ecc. Ma non muore. C’è un disallineamento incredibile.  

Secondo una recente indagine, si diventa vecchi a 83 anni. Mentre i giovani sono giovani solo nel momento in cui sono adulti. Ma se i giovani, non possono fare i giovani la Chiesa muore perché loro sono novità e forza. Bisogna dunque riportare il cuore dei padri verso il cuore dei figli.

Dopo il 1946 il mondo è cambiato all’improvviso, perché siamo divenuti ricchissimi in poco tempo. Cosa è successo? 1) La longevità è il primo elemento acquisito, cioè trenta anni di vita in più quindi allontanamento della morte. 2) Poi la trasformazione del lavoro e del quotidiano. Le nostre nonne avevano la soddisfazione dei sacrifici e i mariti morivano a 55 anni. Con l’arrivo della tecnologia tutto è cambiato. 3) L’arrivo della ricerca farmaceutica. Abbiamo un rapporto inedito con la sofferenza. Dopo aver letto il bugiardino, il foglietto descrittivo che esce dalla scatola del medicinale, spesso passano i sintomi e anche la malattia. Ci siamo liberati dalla fame (che non sappiamo più cos’è) e bisogna trovare un dietologo per l’estate. 4) L’arrivo di internet. Ognuno può prendere la parola, e a noi può essere utile per raccogliere informazioni sulla persona, ma ognuno espone il santissimo della sua stupidità.

La questione educativa è permettere ai nuovi arrivati di abitare il pianeta in maniera autonoma. Il fatto è che a noi adulti questa vita piace. Ci siamo innamorati di questa vita. Non era mai successo alla nostra specie. Vogliamo stare qui, ci piace stare qui. Allora: estetica, cosmetica, ecc. pur di allungare i tempi. 54 milioni di italiani spendono soldi per contrastare la caduta dei capelli.

Cambia il rapporto educativo e gli adulti hanno difficoltà a cogliere la specificità dei giovani. Il sistema capitalistico poi non ha un’anima: sfrutta il rimbecillimento degli adulti. C’è un’alleanza contro il mondo giovanile e agli occhi degli adulti i giovani sono banalmente giovani. Poi la televisione non aiuta. I programmi della De Filippi ci sono perché “Così la gente non pensa”. Viviamo uccidendo i giovani perché non gli permettiamo di vivere la loro gioventù. L’unico problema dei giovani è che hanno questi genitori che vanno richiamati alla responsabilità educativa. Nulla è a caso nel nostro sistema. “Dovete convertirci!” – ha concluso don Armando – “Dovete cioè farci passare dalla stupidità alla lealtà!”

Il problema per don Armando, infatti, non sono i giovani ma gli adulti perché anche nella Chiesa si è insinuata la “Sindrome di Peter Pan” per cui gli adulti non riescono più a testimoniare come la vita matura, fatta di responsabilità e dono di sé, sia bella e desiderabile.

Don Alberto Ravagnani, giovane sacerdote della Diocesi di Milano, svolge attualmente il suo ministero nell’oratorio San Filippo Neri di Busto Arsizio. “Siamo tutti fratelli – queste le sue prime parole – siamo sulla stessa barca, stiamo guardando lo stesso orizzonte, amiamo il Signore. Allora quando ce ne accorgiamo, il Regno di Dio inizia a venire edificato. Perché non siamo felici? Di fede, amore, gioia, felicità, fraternità non se ne parla proprio più.” Don Alberto ci ha mostrato un video girato da Pietro, un giovane della sua associazione “Laboratorium”, che evangelizza a diciotto anni più di molti preti. Ha fatto sbocciare la santità. I social se usati in un certo modo sono una grazia. Tutto è grazia. Il mondo è grazioso. I santuari sono una grazia.

Cosa c’entra la rete nel piano di salvezza? Don Alberto ci ha raccontato della sua esperienza. Lui – ci ha raccontato – pensava che tutto dovesse girare intorno alle cose che doveva fare lui che era sacerdote. Poi è venuto il covid e la parrocchia si è svuotata. Lo Spirito Santo ha fatto un gran lavoro perché lui non sapeva girare i video ma ha imparato e i ragazzi sono tornati. “Sono diventato un padre per loro, un fratello. Sui social – ha continuato – è facile farsi conoscere e nel momento in cui una persona ti apre il cuore devi prenderlo sul serio. Abbiamo l’occasione di ascoltare nei social. I social vanno abitati per scrostare le precomprensioni che il mondo ha e per evangelizzare. Dobbiamo intercettare le domande. È un luogo di opportunità. Siamo però prima noi che dobbiamo evangelizzarci. Bisogna avere il coraggio di uscire dalla comfort-zone per metterci la faccia. E il Risorto lo dobbiamo incontrare mentre lo annunciamo. La rete può raggiungere le periferie esistenziali. Nella Chiesa siamo famiglia gli uni per gli altri e nella Chiesa ci sono carismi diversi. Dobbiamo far funzionare la correlazione tra i carismi. Mettere a disposizione ciò che uno sa fare. Ma il contenuto non va banalizzato perché altrimenti banalizzo il Vangelo. Dobbiamo crederci per poter coinvolgere. La bellezza è il canale per evangelizzare”.

Don Pasquale Incoronato, è un sacerdote molto attivo a Ercolano dove ha creato la “Locanda di Emmaus”. Lì, i figli dell’agio e i figli del disagio crescono insieme. Lo studio teologico serve a prepararsi alla maturità, a essere l’adulto di domani. E l’uomo è pienamente sé stesso solo con l’altro da sé. Spiritualità e fondamento teologico fanno la pastorale. Senza, è architettura. La carità teologica fonda il nostro stare insieme. Don Bosco diceva “Salvati salvando”, don Pasquale dice “Evangelizzare educando, curati curando”. Le sue coordinate per il cammino sono: Matteo 25 e le beatitudini. Perché condividere vuol dire fare spazio alla relazione. Il problema della comunità educanda invece è la scomparsa degli adulti. Oggi i bambini fanno gli adulti.

Ci vogliono adulti credibili, punti di riferimento stabili. Fiducia è sentirsi amato, riconosciuti: questo cerchiamo. Siamo umani. È necessario creare comunione, accoglierci per quelli che siamo. Il rigorismo stanca e deprime. Chi educa deve farsi prossimo. Dobbiamo imparare a farci cambiare dai giovani: gratuità, libertà, nessun compromesso coi potenti. Questo deve stare al centro della comunità! Dare spazio, ascoltare, stare a fianco senza chiedere “perché”. Oggi la priorità sono i giovani e c’è bisogno di dare loro tempo, disponibilità.

L’Arcivescovo don Mimmo Battaglia, che è stato con noi tutto il tempo per l’importanza dell’argomento “giovani”, ci ha parlato della “Storia infinita” nella quale è il sognatore a sconfiggere il nulla. Ciò che fa avanzare il nulla, cioè la disperazione che ci circonda, è da combattere, ci ha detto don Mimmo. L’educare viene prima del prevenire. State attenti a ciò che c’è di buono, vuol dire costruire. La solitudine spaventa perché “tanto non cambierà nulla”. Riappropriamoci della passione educativa. Da adulto sento di dovermi mettere in discussione, ricominciare da un ascolto reale.

Ripartire dal reale. Vivere il nostro tempo per diventare compagni credibili. Cambiare noi per non fuggire nel virtuale nero dei pessimismi e dei vuoti di senso = nichilismo. Che fine hanno fatto i nostri valori?

La nostra vita può diventare domanda e risposta. E la sfida educativa è sfida perché opportunità.

Ci vogliono avamposti educativi, seri e attenti, dovunque. Ci vuole un esercito di educatori per presidiare gli adulti. Educare è l’arte più difficile. L’albero senza foglie è vivo perché non contano le foglie, ma le radici. Non ciò che si vede, dunque, ma ciò che non si vede. Questo dà vita.

Ci dobbiamo sentire tutti corresponsabili. Ci vuole l’audacia del “noi”. È possibile ascoltare e seguire l’intero convegno sulla pagina facebook della facoltà. È stato veramente molto bello! Ed è pieno di spunti e consigli di lettura.

di Angela Di Scala

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