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Il teologo Massironi in un saggio pone domande radicali: quale futuro per i cristiani in un mondo sempre più lontano dal Vangelo? Perché in molti credenti vince l’apatia?

In un articolo fulminante lanciato sul sito francese Aleteia.org, il teologo Jean-Michel Castaing, autore del libro Pour sortir du nihilisme (Salvator), si chiede come sarebbe il nostro mondo se Gesù Cristo non fosse venuto sulla terra. Il debito dell’umanità verso il cristianesimo, infatti, è diventato oggi un tabù. Si legge nell’articolo: «Nel nostro morente Occidente, un buco nero tormenta le coscienze: l’immensa eredità della fede cristiana sul piano religioso, sociale, politico e culturale. L’occidentale medio sembra un bambino viziato che ha sbattuto la porta della casa dei suoi genitori e che, come il figliol prodigo della parabola evangelica, prende la sua parte di eredità senza una parola di ringraziamento». E ancora: «In che stato sarebbe il nostro mondo se Cristo non fosse venuto a insegnarci la sollecitudine per i piccoli, il perdono delle offese, la promozione della donna, l’amore per i nemici, la dignità dei poveri e degli esclusi, la lotta contro l’ostracismo subito dai malati e dagli handicappati? In quale stato spirituale saremmo se le sanguinarie divinità del paganesimo, riflesso del nostro fascino per la forza e il successo, fossero rimaste oggetto del nostro culto? Non è molto difficile da indovinare, poiché col declino del cristianesimo il denaro, il culto del successo e l’individualismo hanno riacquistato il pelo della bestia».

Un esercizio che si inserisce nella moda dei dibattiti storici, assai presenti nel cinema e nelle serie tv, sul diverso corso che potrebbe aver assunto la storia (se Alessandro Magno avesse conquistato Roma invece di rivolgersi a Oriente, se Hitler avesse vinto la guerra, eccetera), ma che in questo caso non è affatto un divertissement, considerata la crisi enorme che investe da decenni il cristianesimo in Europa, acuitasi negli ultimi anni. Sono temi che affronta senza sconti – e nessun cedimento all’apologetica – il teologo Sergio Massironi nel suo ultimo libro, Cattolico cioè incompleto (Castelvecchi, pagine 186, euro 19). Il titolo riprende una considerazione del filosofo Silvano Petrosino riguardante il concetto di mancanza, la quale è congenita all’essere umano come spazio ineludibile per l’apertura all’altro. Armando Matteo nella prefazione così spiega la dissonanza ossimorica dei due aggettivi, dato che cattolico indica la totalità e incompleto la mancanza: «Non vi è nulla che non possa appartenerci e da cui non possiamo non sentirci toccati, da una parte; non vi è mai una condizione o un tempo dell’esistenza in cui ci si possa sentire finalmente saturi, dall’altra».

Le domande che Massironi si pone hanno una radicalità impressionante: dove sta andando la Chiesa e quale futuro è possibile immaginare per i cristiani in un mondo che sempre meno fa riferimento al Vangelo? Innanzitutto, essendo anche sacerdote, l’autore nota come non sia vero che le chiese siano vuote, nonostante l’abbandono della pratica religiosa sia cresciuto durante la pandemia. Ma è giusto chiedersi anche perché tante persone continuano a partecipare alla messa. Certo, c’è la fede del popolo di Dio, ma non basta questa prima risposta elementare. Come raccontano i Vangeli, anche per Gesù «la pastorale più difficile è stata con chi non ha bisogno del medico, con chi dice di non essere cieco. Con chi a messa ci va. È un patto col diavolo che stringiamo quando non solleviamo il velo su tanta apatia di quei non credenti praticanti che tutti possiamo diventare, persino salendo sull’altare. Un cattolicesimo di popolo non vive di poche chiese piene, non è compatibile con la rimozione delle domande, delle proteste, delle voci di dissenso, non resiste scansando le sfide spirituali del proprio tempo e tentando fino all’ultimo di perpetuare schemi ereditati da generazioni passate».

Guardando a chi abita le nostre città, la sensazione è quella di un fallimento. Lo ha ben detto l’arcivescovo di Milano Mario Delpini: «La Chiesa, esperta di umanità, sembra non possa dire più niente sull’uomo, sulla donna, sulla loro relazione, sulla convivenza nella società e sulla sua organizzazione, niente che sia di qualche utilità». Per questo secondo l’autore occorre ritrovare l’aspetto sovversivo del cristianesimo, «indicare alle Chiese lo scenario contemporaneo come un’occasione per tornare alla propria forma originale». E saper esprimere una via intermedia fra l’adeguamento al pensiero dominante e l’esercizio di una controcultura: «Incarnazione significa che non contro il mondo, ma assumendone l’opacità, Dio si rivela. La provocazione cristiana non può dunque che mantenere il duplice profilo di critica e di benedizione del proprio tempo». Parole precise che invitano a non abbandonare il mondo illudendosi di potersi rinchiudere in oasi di perfezione, ma sapendo anche che la sfida oltre che pastorale è culturale.

C’è un enorme deficit di cultura religiosa fra gli uomini del nostro tempo, soprattutto fra i giovani e anche fra i cristiani. Lo intuisce bene Massironi, che annota in un altro passaggio: «Se il cristianesimo ha un problema, in Occidente, è la comune, pervasiva sensazione di averlo conosciuto a sufficienza, senza in realtà averne fatto l’esperienza e averne indagato le profondità. L’onnipresenza dei segni cristiani, nell’arte e nei costumi, pare stemperare il ritorno a Cristo come a un Nuovo contrappasso di quasi due millenni di cristianità». Freschezza e originalità paiono le risorse necessarie a una rivitalizzazione degli ambienti cattolici, a partire da una teologia troppo astratta e asfittica, spesso illeggibile e chiusa dentro le università pontificie. Ma non basta e le domande si fanno ancora più incalzanti: «Non ancora radicalmente investita dalla crisi degli abusi sessuali, la Chiesa italiana può chiedersi: come può una società cresciuta nei cortili dell’oratorio e all’ombra del campanile essere tanto invecchiata e corrotta?». Giunge il tempo della proposta e della speranza. Prima di tutto, come già accennato, attraverso un’opera di rialfabetizzazione religiosa dinanzi al «vuoto creatosi con la rimozione dell’immaginario biblico dal discorso pubblico». Poi, con l’offerta di percorsi di perdono e riconciliazione dinanzi ai conflitti e alle lacerazioni delle donne e degli uomini del nostro tempo: «Fare pace con le ferite proprie e altrui; chiamare il male per nome; vederlo in sé, oltre che fuori; imparare a convivere con ciò che non si gradisce; lasciare a Dio il giudizio ultimo su ciò che non si può accettare o che al presente è irrisolvibile; dare a chi ha sbagliato nuove possibilità e gli strumenti per cambiare; riscattare quelli che da tutti sono emarginati e riprovati a causa di un difficile passato: c’è tutto questo in una cultura biblica della giustizia».

Infine, un terzo suggerimento ha un carattere più pastorale: dimagrire. Troppe strutture dentro la Chiesa, spesso superflue e inutili: «Ne occorrono di meno, di nuove e più leggere». Un’opera di spending review che deve toccare le curie e gli istituti religiosi ma che non può rispondere solo a una logica economicistica o aziendalistica, bensì deve servire a ritrovare l’essenzialità del Vangelo. Come si vede, tanti spunti autocritici ma anche idee per uscire dalla crisi che avvolge il cattolicesimo in Italia ed Europa, è possibile rintracciare in questo volume di Massironi, al fine di costruire, come reca il sottotitolo, «un’identità estroversa» e «un’appartenenza antitotalitaria».

Fonte: Roberto Righetto – Avvenire

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