Commento al Vangelo Gv 14,15-21
I cap. 13-16 del Vangelo di Giovanni sono una sorta di riassunto della predicazione di Gesù. La scorsa settimana il Vangelo ci ha indicato il percorso che dobbiamo fare dentro di noi. Gesù ci ha detto di essere la via, ci ha indicato la strada di una relazione stretta con lui, che fa verità su noi stessi e produce la vita. Tutto questo produce un volto, si rende visibile, dà volto all’amore che abbiamo dentro. La fede cristiana ha sempre a che fare con l’amore; essa è la nostra dimensione più vera, più autentica. Gesù nell’ultima cena fa una sorta di riassunto sull’amore.
L’amore è il più grande dei doni ma la più perfida delle catene, è il più grande dei sogni ma anche la più imbarazzante delle sconfitte. Quante volte abbiamo creduto che amare fosse un dare ed un avere, quante volte abbiamo pensato che le mancanze d’amore fossero delle ripetute crocifissioni di nostro Signore (quante volte al catechismo, nell’educazione: se non ami, se non fai questo, se fai peccato, infliggi un chiodo a Gesù). L’amore non ha niente di tutto questo, nessuna valenza ricattatoria ma ha una sua consequenzialità (non conseguenza). Gesù dice: se mi amate osserverete i miei comandamenti, non come conseguenza ma perché è normale.
I comandamenti sono la forma dell’amore perché l’amore ha bisogno di assumere una forma. Noi abbiamo stravolto le parole di Gesù con la parola comandamento, ma i comandamenti sono soltanto l’esplicitazione di quell’amore. Se io ti dicessi ti sono tantissimo amico, sei la persona più preziosa per me e poi ci sentissimo una volta ogni tre anni, avrai di che dubitare; se dicessi che i miei figli sono davvero la cosa più preziosa che mi è stata donata e poi per mesi di fila mi dimentico di far loro da padre c’è qualcosa che non va. Ecco allora che il comandamento è la forma dell’amore, è la concretizzazione dell’amore.
Gesù dice che l’amore non può essere solo sentimenti, cuoricini, like, ma l’amore è scelta concreta. L’amore per Gesù nasce sempre da una fascinazione, perché abbiamo sentito parlare in maniera nuova e innovativa, perché siamo passati, come dire, da sentirsi dire sempre le stesse cose allo stupirsi per quello che viene detto. Purtroppo, noi viviamo tutto come comandamento, come legge perché ci manca il prima, quello che Gesù nell’ultima cena ha affermato in quella espressione “come siete stati amati da me”.
C’è un prima dell’amore da attuare nel comandamento che ci ha dato Gesù: sentirsi amati da lui. Il Signore ci dice di amarci “dell’amore con cui vi ho amato”. Nessuno mi può ordinare di amare qualcuno. Anche per la fede è così. L’amare Dio nasce dal fatto che sono stato amato da qualcuno. È come una grande conca che viene riempita fino all’orlo e solo quando è arrivata all’orlo può cominciare a buttare fuori l’acqua per tutti. Questo manca a noi tutti.
Andiamo a ripensare ai nostri percorsi infantili, alle nostre prime sfiducie, delusioni, al nostro cammino di fede e agli obblighi imposti: quella conca non si è mai riempita del tutto per poter cominciare a far trasbordare acqua! Andare d’accordo col mio nemico, perdonare, camminare, pazientare non è uno sforzo della mia volontà, non è un andamento del mio carattere, ma è il trasbordare di un amore che ho ricevuto in quantità esagerata. La nostra fede l’abbiamo ridotta ad una serie di appuntamenti rituali e di obblighi di presenza: dove possiamo arrivare così? Potreste rispondermi: è difficile! Ecco allora che il Signore ci manda, comincia a parlare del Paraclito.
Cosa significa Paraclito? È un termine preso dal diritto giudaico. Al tempo di Gesù nel diritto giudaico non c’era la figura dell’avvocato difensore; una persona accusata portava dei testimoni a suo vantaggio, ma se non c’erano testimoni a sufficienza e qualcuno nell’assemblea che doveva giudicare sentiva, si rendeva conto, che l’accusato, l’imputato era innocente, si alzava e si metteva accanto. Questo gesto significa: io mi fido di lui. Così è il dono che il Signore ci ha fatto. Spesso la nostra coscienza, i nostri sensi di colpa che sono veramente demoniaci, i nostri giri di testa ci dicono che non valiamo niente, che non siamo in grado, che non riusciremo ad amare; il Paraclito ti dice di no, che ce la puoi fare, sei prezioso e puoi riuscirci! Il Paraclito ci aiuta laddove non siamo capaci.
Il Signore ci ama per quello che siamo e ci rende capaci di amare! Buona domenica!
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Dare volto all’amore
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I cap. 13-16 del Vangelo di Giovanni sono una sorta di riassunto della predicazione di Gesù. La scorsa settimana il Vangelo ci ha indicato il percorso che dobbiamo fare dentro di noi. Gesù ci ha detto di essere la via, ci ha indicato la strada di una relazione stretta con lui, che fa verità su noi stessi e produce la vita. Tutto questo produce un volto, si rende visibile, dà volto all’amore che abbiamo dentro. La fede cristiana ha sempre a che fare con l’amore; essa è la nostra dimensione più vera, più autentica. Gesù nell’ultima cena fa una sorta di riassunto sull’amore.
L’amore è il più grande dei doni ma la più perfida delle catene, è il più grande dei sogni ma anche la più imbarazzante delle sconfitte. Quante volte abbiamo creduto che amare fosse un dare ed un avere, quante volte abbiamo pensato che le mancanze d’amore fossero delle ripetute crocifissioni di nostro Signore (quante volte al catechismo, nell’educazione: se non ami, se non fai questo, se fai peccato, infliggi un chiodo a Gesù). L’amore non ha niente di tutto questo, nessuna valenza ricattatoria ma ha una sua consequenzialità (non conseguenza). Gesù dice: se mi amate osserverete i miei comandamenti, non come conseguenza ma perché è normale.
I comandamenti sono la forma dell’amore perché l’amore ha bisogno di assumere una forma. Noi abbiamo stravolto le parole di Gesù con la parola comandamento, ma i comandamenti sono soltanto l’esplicitazione di quell’amore. Se io ti dicessi ti sono tantissimo amico, sei la persona più preziosa per me e poi ci sentissimo una volta ogni tre anni, avrai di che dubitare; se dicessi che i miei figli sono davvero la cosa più preziosa che mi è stata donata e poi per mesi di fila mi dimentico di far loro da padre c’è qualcosa che non va. Ecco allora che il comandamento è la forma dell’amore, è la concretizzazione dell’amore.
Gesù dice che l’amore non può essere solo sentimenti, cuoricini, like, ma l’amore è scelta concreta. L’amore per Gesù nasce sempre da una fascinazione, perché abbiamo sentito parlare in maniera nuova e innovativa, perché siamo passati, come dire, da sentirsi dire sempre le stesse cose allo stupirsi per quello che viene detto. Purtroppo, noi viviamo tutto come comandamento, come legge perché ci manca il prima, quello che Gesù nell’ultima cena ha affermato in quella espressione “come siete stati amati da me”.
C’è un prima dell’amore da attuare nel comandamento che ci ha dato Gesù: sentirsi amati da lui. Il Signore ci dice di amarci “dell’amore con cui vi ho amato”. Nessuno mi può ordinare di amare qualcuno. Anche per la fede è così. L’amare Dio nasce dal fatto che sono stato amato da qualcuno. È come una grande conca che viene riempita fino all’orlo e solo quando è arrivata all’orlo può cominciare a buttare fuori l’acqua per tutti. Questo manca a noi tutti.
Andiamo a ripensare ai nostri percorsi infantili, alle nostre prime sfiducie, delusioni, al nostro cammino di fede e agli obblighi imposti: quella conca non si è mai riempita del tutto per poter cominciare a far trasbordare acqua! Andare d’accordo col mio nemico, perdonare, camminare, pazientare non è uno sforzo della mia volontà, non è un andamento del mio carattere, ma è il trasbordare di un amore che ho ricevuto in quantità esagerata. La nostra fede l’abbiamo ridotta ad una serie di appuntamenti rituali e di obblighi di presenza: dove possiamo arrivare così? Potreste rispondermi: è difficile! Ecco allora che il Signore ci manda, comincia a parlare del Paraclito.
Cosa significa Paraclito? È un termine preso dal diritto giudaico. Al tempo di Gesù nel diritto giudaico non c’era la figura dell’avvocato difensore; una persona accusata portava dei testimoni a suo vantaggio, ma se non c’erano testimoni a sufficienza e qualcuno nell’assemblea che doveva giudicare sentiva, si rendeva conto, che l’accusato, l’imputato era innocente, si alzava e si metteva accanto. Questo gesto significa: io mi fido di lui. Così è il dono che il Signore ci ha fatto. Spesso la nostra coscienza, i nostri sensi di colpa che sono veramente demoniaci, i nostri giri di testa ci dicono che non valiamo niente, che non siamo in grado, che non riusciremo ad amare; il Paraclito ti dice di no, che ce la puoi fare, sei prezioso e puoi riuscirci! Il Paraclito ci aiuta laddove non siamo capaci.
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Don Cristian Solmonese
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