I nostri figli che possono beneficiare di una libertà mai conosciuta prima, faticano a desiderare, ad avere una vocazione o una passione determinata
Siamo dunque arrivati all’estate. La stagione tanto invocata è qui, con le sue giornate tutte da inventare e i suoi inconvenienti molesti (il caldo, le zanzare, gli olezzi…).
Una “finestra” temporale di libertà e spensieratezza (o quasi) di circa tre mesi. Quante volte, calendario alla mano, i nostri ragazzi hanno contato gli ultimi giorni di scuola, alcuni di loro certamente mossi dal timore del risultato finale, ma la maggior parte di essi ansiosi di poter vivere senza programmi fissi il proprio tempo.
Ora che ci siamo, e i libri e i quaderni sono chiusi, è tempo di mettere in pratica i buoni e agognati propositi. Ma in cosa consistono “i desideri di libertà” dei nostri adolescenti?
Andare a letto a notte inoltrata, dormire fino a tardi al mattino, trascorrere il tempo con gli amici, organizzare maratone davanti alla tv, al pc, alla playstation, allo smartphone (in quest’ultimo caso non crediamo sia una novità), vestirsi (o svestirsi) a proprio piacimento, andare al mare o in piscina… E poi? Ci sono altri desideri all’orizzonte? Progetti da realizzare o da immaginare durante la stagione estiva?
Proviamo a chiedere loro. Le risposte sono incerte, esitanti, estemporanee. Desideri e progetti o, per meglio dire, “sogni a lungo termine” pare che siano una merce rara. Qualcosa a cui non si pensa, se non dietro sollecitazione.
Così i “propositi” dei nostri giovani, a guardarli bene, si svelano più che altro come piccole o grandi trasgressioni. Perché?
Qualcuno dice che le nuove generazioni non sappiano come si “accenda” davvero il desiderio. Non basta un clic, non è una app il desiderio… Esso dovrebbe nascere spontaneamente, ma anche per prossimità e contagio. Il desiderio è una sorta di fuoco interiore e per accendersi ha bisogno di attingere al fuoco altrui. Ma nella società in cui viviamo il desiderio esiste ancora? Esistono i sogni fra noi adulti?
Pare proprio di no. L’orizzonte arido dello scetticismo si apre sconfinato davanti ai nostri occhi. In questo deserto sono banditi anche i miraggi. E quindi? Non si è più in grado di desiderare?
In realtà, non è neppure così. Esistono due tipi di desideri: uno non convenzionale e scellerato, visionario, senza alcuna garanzia di riuscita e con altissimo rischio di delusione cocente; e poi esiste il desiderio “preconfezionato”, corredato da “istruzioni per l’uso”, la cui riuscita viene garantita o quasi. Naturalmente il desiderio preconfezionato risponde a logiche di mercato ed è sponsorizzato da media e influencer. Può essere un oggetto, uno stile di vita, una posa, un modo di fare. Generalmente è standardizzato e chiede a chi vi si accosta di uniformarsi alle sue peculiarità. Mai il contrario.
Il desiderio autentico e “ardito”, invece, corrisponde a esigenze identitarie dell’essere, nasce in seno alla persona stessa e la rappresenta. Se dovesse fallire, in qualche modo raffigurerebbe la sconfitta non condivisibile dell’individuo e non di un modello a cui l’individuo avesse voluto aderire in una circostanza del tutto occasionale (come nel secondo caso).
Ci vuole coraggio, quindi, a investire energie in un desiderio proprio e soprattutto ci vuole senso di responsabilità. La situazione che si delinea appare quindi paradossale: i nostri figli che possono beneficiare di una libertà mai conosciuta prima, faticano a desiderare, ad avere una vocazione o una passione determinata. I nostri giovani, in autonomia, non sanno quello che vogliono e, di conseguenza, non sanno che senso dare alla mia esistenza.
Gli psicologi chiamano questo fenomeno “eclisse del desiderio”. Il rovescio della medaglia, viene da pensare, è anche una falsa concezione della libertà, che ritiene di essere assoluta e invece continua a muoversi dentro un perimetro ben circoscritto e sorvegliato da un feroce guardiano: la paura di essere se stessi e, di conseguenza, la paura di sbagliare.
Fonte: Silvia Rossetti – Sir