Commento al Vangelo Gv 6,51-58
Lo Spirito Santo ci ha raccontato chi è Dio e ci ha fatto comprendere che noi siamo ad immagine di questa danza, che siamo una relazione. Oggi celebriamo un’altra verità che lo Spirito Santo ci ha fatto comprendere: l’Eucarestia. Ci è donata una Messa per parlare della Messa. Portiamo con noi in questa domenica tre parole. La prima è: ricordati. L’Eucarestia è un seder di Pesach cioè la cena rituale che si faceva per iniziare la veglia pasquale, giorno in cui secondo gli ebrei si ricordava l’uscita, la fuga, la liberazione della schiavitù d’Egitto. Gesù ripete quel gesto anticipando la cena. La cena pasquale aveva un rituale ben preciso. Gesù pur utilizzando lo stesso rituale, lo cambia, lo modifica perché sa benissimo quello che sta facendo.
A un certo punto dopo aver preso il pane e il vino dicendo questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, dice: “Fate questo in memoria di me”. La lingua parlata di Gesù che è una specie di evoluzione dell’ebraico storico, dell’ebraico classico, è l’aramaico e Gesù usa un termine tecnico “zikkaron” che ha un significato profondo: fate questo in memoria di me non significa fate un brindisi alla buonanima di Gesù, ma dice Gesù, se volete che io sia qui presente fate questo gesto! Per un ebreo celebrare un memoriale, uno zikkaron, significa facciamo quel gesto perché dobbiamo compiere quel percorso. Quando una comunità di praticanti ebrei si ritrova per celebrare quella cena c’è un rituale: un bambino inizia la cena dicendo cosa stiamo facendo.
Essi non stanno ricordando la buonanima di Mosè ma si stanno chiedendo qual è la liberazione che ora si deve compiere, quale è il faraone da cui essere liberati. Gesù sta dicendo che, se vogliamo che lui sia presente, dobbiamo rifare questo gesto e lui sarà presente! Questo i cristiani lo hanno sempre sentito come una realtà: rifare quel gesto rende Gesù presente qui, ora, per salvarci! Ci sono dei gesti che rendono presente le persone. Ci sono dei gesti che ci riportano alla mente cose vere, importanti.
La memoria è importante, perché ci permette di rimanere nell’amore, di ricordare, cioè di portare nel cuore, di non dimenticare chi ci ama e chi siamo chiamati ad amare. Eppure, questa facoltà unica che il Signore ci ha dato è oggi piuttosto indebolita. Nella frenesia in cui siamo immersi, tante persone e tanti fatti sembrano scivolarci addosso. Si gira pagina in fretta, voraci di novità ma poveri di ricordi.
Così, bruciando i ricordi e vivendo all’istante, si rischia di restare in superficie nel flusso delle cose che succedono, senza andare in profondità, senza quello spessore che ci ricorda chi siamo e dove andiamo. L’Eucaristia forma in noi una memoria grata, perché ci ricordiamo di essere figli amati e sfamati dal Padre; ci ricordiamo di essere figli perdonati, figli risanati nelle ferite del passato e pacificati per i torti subiti e inflitti. Il Signore non si scorda di noi!
C’è una seconda parola che ci ruba questa celebrazione: comunione. In una casa si deve sognare insieme, tra una coppia si deve sognare insieme, un gruppo di amici deve sognare insieme. San Paolo con scrupolo scrive nella sua prima lettera, il primo scritto del Nuovo Testamento nel 50 dopo Cristo, scrive ai discepoli di Corinto, una comunità molto divisa, molto vivace: ci sono schiavi, liberi e padroni e si fatica perché non si riesce tanto ad andare d’accordo. Un po’ come noi molto divisi, simpatizzanti per questo e per quello, a favore di uno o di un altro. Se si sogna da soli, i sogni non si realizzano, per cui qui ed ora dobbiamo tutti avere lo stesso sogno: Gesù.
Il pane spezzato ci riporta all’unità; è lui il centro, non ci siamo scelti, Cristo ci ha scelto. Noi siamo i raggi di una ruota: più convergiamo verso il centro che è il Cristo e più ci avviciniamo fra di noi. Infine, un’ultima parola ci regala questa celebrazione: fame. Abbiamo bisogno di nutrirci, abbiamo fame di relazioni, abbiamo fame di affetti, abbiamo fame di abbracci, abbiamo fame di parola, di felicità, abbiamo tanta fame e Gesù si fa cibo, si fa bevanda, ci nutre nel nostro percorso interiore!
Quante persone muoiono oggi per inedia spirituale. Abbiamo bisogno di pane, e questo pane solo Dio lo può dare perché noi non ci possiamo salvare. Egli sa quale è la nostra sete e la nostra fame. Nel Vangelo abbiamo letto un frammento dell’impegnativo discorso sul Pane di vita nella Sinagoga di Cafarnao al capitolo 6 di Giovanni. Gesù dice apertamente che occorre mangiare di lui! Gesù chiede ai suoi anche a costo di scandalizzarsi di mangiare la sua carne, di bere il suo sangue. Per la Bibbia la carne è il segno della debolezza e della fragilità umana.
Quel pane riempie le nostre fragilità, quel pane ci dà la forza di non sentirci perduti ma salvati, quel pane riempie i vuoti della nostra vita. Il verbo si fa carne, si consegna nelle mani di un povero prete per stare in mezzo a noi. Questa è la logica di Dio. Il sangue rappresenta la vita, la vitalità, quel percorso della felicità che molto spesso si arresta, si ferma e poi riparte. Quel sangue ti dà la forza di ricominciare, di ritrovare vita, di continuare ad essere felice! Ecco che cos’è l’Eucaristia! Vogliamo riavvicinarci a questo mistero con semplicità, togliendo gli orpelli, i fronzoli, per andare a cercare quello che è veramente in ciascuno di noi in questa eucaristia.
Questo pane del cammino, questo viatico nel deserto, questa presenza che si trova anche nella fragilità di quelle che sono le nostre comunità o del prete che celebra, è il segno principale che il Signore ci ha donato per camminare incontro a lui.
Buona festa e buona domenica!
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Lo Spirito Santo ci ha raccontato chi è Dio e ci ha fatto comprendere che noi siamo ad immagine di questa danza, che siamo una relazione. Oggi celebriamo un’altra verità che lo Spirito Santo ci ha fatto comprendere: l’Eucarestia. Ci è donata una Messa per parlare della Messa. Portiamo con noi in questa domenica tre parole. La prima è: ricordati. L’Eucarestia è un seder di Pesach cioè la cena rituale che si faceva per iniziare la veglia pasquale, giorno in cui secondo gli ebrei si ricordava l’uscita, la fuga, la liberazione della schiavitù d’Egitto. Gesù ripete quel gesto anticipando la cena. La cena pasquale aveva un rituale ben preciso. Gesù pur utilizzando lo stesso rituale, lo cambia, lo modifica perché sa benissimo quello che sta facendo.
A un certo punto dopo aver preso il pane e il vino dicendo questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, dice: “Fate questo in memoria di me”. La lingua parlata di Gesù che è una specie di evoluzione dell’ebraico storico, dell’ebraico classico, è l’aramaico e Gesù usa un termine tecnico “zikkaron” che ha un significato profondo: fate questo in memoria di me non significa fate un brindisi alla buonanima di Gesù, ma dice Gesù, se volete che io sia qui presente fate questo gesto! Per un ebreo celebrare un memoriale, uno zikkaron, significa facciamo quel gesto perché dobbiamo compiere quel percorso. Quando una comunità di praticanti ebrei si ritrova per celebrare quella cena c’è un rituale: un bambino inizia la cena dicendo cosa stiamo facendo.
Essi non stanno ricordando la buonanima di Mosè ma si stanno chiedendo qual è la liberazione che ora si deve compiere, quale è il faraone da cui essere liberati. Gesù sta dicendo che, se vogliamo che lui sia presente, dobbiamo rifare questo gesto e lui sarà presente! Questo i cristiani lo hanno sempre sentito come una realtà: rifare quel gesto rende Gesù presente qui, ora, per salvarci! Ci sono dei gesti che rendono presente le persone. Ci sono dei gesti che ci riportano alla mente cose vere, importanti.
La memoria è importante, perché ci permette di rimanere nell’amore, di ricordare, cioè di portare nel cuore, di non dimenticare chi ci ama e chi siamo chiamati ad amare. Eppure, questa facoltà unica che il Signore ci ha dato è oggi piuttosto indebolita. Nella frenesia in cui siamo immersi, tante persone e tanti fatti sembrano scivolarci addosso. Si gira pagina in fretta, voraci di novità ma poveri di ricordi.
Così, bruciando i ricordi e vivendo all’istante, si rischia di restare in superficie nel flusso delle cose che succedono, senza andare in profondità, senza quello spessore che ci ricorda chi siamo e dove andiamo. L’Eucaristia forma in noi una memoria grata, perché ci ricordiamo di essere figli amati e sfamati dal Padre; ci ricordiamo di essere figli perdonati, figli risanati nelle ferite del passato e pacificati per i torti subiti e inflitti. Il Signore non si scorda di noi!
C’è una seconda parola che ci ruba questa celebrazione: comunione. In una casa si deve sognare insieme, tra una coppia si deve sognare insieme, un gruppo di amici deve sognare insieme. San Paolo con scrupolo scrive nella sua prima lettera, il primo scritto del Nuovo Testamento nel 50 dopo Cristo, scrive ai discepoli di Corinto, una comunità molto divisa, molto vivace: ci sono schiavi, liberi e padroni e si fatica perché non si riesce tanto ad andare d’accordo. Un po’ come noi molto divisi, simpatizzanti per questo e per quello, a favore di uno o di un altro. Se si sogna da soli, i sogni non si realizzano, per cui qui ed ora dobbiamo tutti avere lo stesso sogno: Gesù.
Il pane spezzato ci riporta all’unità; è lui il centro, non ci siamo scelti, Cristo ci ha scelto. Noi siamo i raggi di una ruota: più convergiamo verso il centro che è il Cristo e più ci avviciniamo fra di noi. Infine, un’ultima parola ci regala questa celebrazione: fame. Abbiamo bisogno di nutrirci, abbiamo fame di relazioni, abbiamo fame di affetti, abbiamo fame di abbracci, abbiamo fame di parola, di felicità, abbiamo tanta fame e Gesù si fa cibo, si fa bevanda, ci nutre nel nostro percorso interiore!
Quante persone muoiono oggi per inedia spirituale. Abbiamo bisogno di pane, e questo pane solo Dio lo può dare perché noi non ci possiamo salvare. Egli sa quale è la nostra sete e la nostra fame. Nel Vangelo abbiamo letto un frammento dell’impegnativo discorso sul Pane di vita nella Sinagoga di Cafarnao al capitolo 6 di Giovanni. Gesù dice apertamente che occorre mangiare di lui! Gesù chiede ai suoi anche a costo di scandalizzarsi di mangiare la sua carne, di bere il suo sangue. Per la Bibbia la carne è il segno della debolezza e della fragilità umana.
Quel pane riempie le nostre fragilità, quel pane ci dà la forza di non sentirci perduti ma salvati, quel pane riempie i vuoti della nostra vita. Il verbo si fa carne, si consegna nelle mani di un povero prete per stare in mezzo a noi. Questa è la logica di Dio. Il sangue rappresenta la vita, la vitalità, quel percorso della felicità che molto spesso si arresta, si ferma e poi riparte. Quel sangue ti dà la forza di ricominciare, di ritrovare vita, di continuare ad essere felice! Ecco che cos’è l’Eucaristia! Vogliamo riavvicinarci a questo mistero con semplicità, togliendo gli orpelli, i fronzoli, per andare a cercare quello che è veramente in ciascuno di noi in questa eucaristia.
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Don Cristian Solmonese
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