Mancata pochi giorni prima di compere 105 anni, “la Prof” ha saputo comunicare la sua gioia di vivere fino alla fine dei suoi giorni. Un suo ritratto scritto in occasione dei suoi cent’anni.
Ho conosciuto Anna Colucci nel 1980. In fondo, non è tanto tempo fa. Mi piace credere che sia così, perché anche se sono passati quasi quarant’anni, la Prof. conserva ancora i tratti, l’entusiasmo, il sorriso e la voce di allora. Io avevo sei anni e Anna Colucci era collega di mia mamma alla Scuola Media Scotti di ISCHIA, dove mia madre era arrivata per insegnare Lettere.
Alle Scuola Media Scotti Anna Colucci era stata amica, prima ancora che collega, collaboratrice, dei tanti insegnanti di quella scuola, in quello spirito fecondo che connotava quasi tutti coloro che avevano scelto di essere educatori per vocazione e non per un mestiere.
Proveniente da una storica famiglia di artisti – il padre scenografo del Regio Teatro San Carlo di Napoli, i fratelli Vincenzo (1898-1970) proclamato da Venezia pittore ufficiale della Repubblica del Carnaro, ed Eduardo (1900-1975) erano pittori assai quotati – la piccola Anna fu educata, fin da giovanissima, all’armonia e al culto del bello. La musica fu il campo delle arti a cui dedicò le sue inclinazioni e l’insegnamento della musica, il suo sbocco naturale.
Ma gli stimoli e le suggestioni che le provenivano dall’ambiente familiare a contatto con pittori, attori, scultori musicisti, provenienti da ogni dove, in un’Ischia d’altri tempi, la resero – da subito – vivacissima e curiosa del mondo.
Quando io la conobbi aveva più di sessant’anni e aveva già visto mezzo mondo. Credo che l’altra metà l’abbia vista viaggiando ancora, ben oltre gli ottant’anni perché la Prof. – come continuo a chiamarla essendo poi stato suo alunno nel famoso corso A fra l’85 e l’88 – la voglia di viaggiare ancora non l’ha persa, nonostante i suoi cent’anni suonati. Elegante, sobria, mai sopra le righe, amante dei colori, dei gioielli e dei foulard, da quelli di pochi soldi a quelli più costosi, portati con la stessa disinvoltura di chi ha sempre avuto stile e non tiene a nessuna firma di stilista, la Prof. era amata dagli studenti di quelle sezioni un po’ seriose della Scotti, ansiosi di respirare un po’ di leggerezza quando lei entrava in classe, sorridente. Si cantava, finalmente.
Ah ah Petruscà, Caramba, Show boat, Viva la gente, Nel bosco c’è un ometto gentil e bel, Non si va in cielo in pattini a rotelle, insieme alle più gettonate canzoni presentate al Festival di Sanremo di ciascun anno, erano le piacevoli evasioni che ci concedeva la Prof. Anna Colucci, che non trascurava, comunque, pentagramma, solfeggio e storia della musica. Un’insegnante a tutto tondo. Che sapeva sorridere, ma che era sempre rispettata per serietà e rigore. Mai severa, ma che sapeva stare in cattedra.
Così anche nelle gite scolastiche. Quelle in cui io, bambino, seguivo mia mamma che insieme ad Anna Colucci, a Giosì Romolo, a Don Antonio Angiolini, e alle terribili sorelle Anna e Ilde Buono, spesso accompagnavano gli alunni, molti dei quali – in quegli indimenticabili anni ’80 – non erano mai stati fuori Napoli e alcuni mai fuori da Ischia. Si andava nelle Marche e in Umbria, nel Lazio, a Rimini per l’Italia in miniatura, a Orvieto per il Duomo, al Pozzo di San Patrizio, all’Abbazia di Casamari e alla Certosa di Padula, ma anche nelle Puglie per i trulli e poi alle Grotte di Castellana e allo Zoo safari di Fasano.
Alla prof. non sfuggiva quasi nulla. Nemmeno piante e fiori degli alberghi che ci ospitavano. La Colucci guardava i monumenti e il verde intorno con gli occhi vivissimi e curiosi, quegli stessi occhi con i quali mi ha mostrato con orgoglio, qualche giorno fa, la vista del Castello Aragonese che si gode da ognuna delle finestre della sua casa all’ingresso di Ischia Ponte.
Una casa dove ogni pittura racconta una storia, narrata da lei stessa senza rimpianti e nostalgia, ma con un senso di pienezza. Gli amatissimi fratelli pittori che riconosci dal tratto assai diverso, le sculture scelte personalmente da Vincenzo quando era in giro per il mondo, il pianoforte amico, i ricordi di una vita vissuta con entusiasmo e gratitudine. Mai davvero sola, sempre circondata dall’affetto discreto di amici e familiari, quelli lontani e quelli più vicini. E dei colleghi, degli alunni, di studenti, almeno due generazioni di ischitani, delle socie di tutte quelle associazioni di cui Anna è stata per decenni – ed è ancora – socia attiva. Donna di fede, profondamente radicata e mai ostentata, insofferente solo nei confronti di chi minaccia – per affetto – di voler attentare alla sua autonomia. Quella che ha fatto di lei una delle prime donne ischitane a portare i pantaloni, indossati con la stessa classe con cui si porta un abito da cocktail.
Con orgoglio mi ha mostrato le foto della visita in udienza privatissima a Giovanni Paolo II. Un caso, ha confessato. Aveva accompagnato un’amica ma lei era senza pass e stava andando via, quando una Guardia svizzera l’ha fermata e le ha chiesto se volesse anche lei vedere il Papa, introducendola, con suo grande stupore, nella cappella privata del Santo Padre che poi si è fermato con lei e l’ha salutata. Un momento che l’ha resa assai felice.
“Dì alla mamma che mi venga a trovare adesso’ mi ha detto sulla porta. Ho capito subito. Intendeva adesso che sono vivissima e pimpante. Non dopo. Chè a quelle altre visite davvero non ci tiene. Una bella lezione impartita dall’alto dei suoi cento anni ben portati”.
Che ora riposi in pace
di Lello Montuori