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Ripartire dallo stile della croce

commento al vangelo

Commento al Vangelo Mt 10,37-42

Ancora una volta, dopo l’invito a non avere paura da parte di Gesù, in questa domenica ci raggiunge un’altra parola profetica da parte sua. Essa viene scritta durante un periodo storico particolare della comunità di Matteo a cui è destinato il Vangelo. Siamo intorno agli anni 70 d.C. e il famoso tempio di Gerusalemme, iniziato da Erode il grande nel 19 d.C. ristrutturando quello salomonico distrutto più volte, ricostruito e un po’ poi profanato, è stato terminato nel 60 d.C. ed è una meravigliosa struttura e un grande orgoglio per il Giudaismo.

Infatti, dopo tale data, Gerusalemme rinasce. Alcuni nazionalisti, infervorati da questa ricostruzione, volevano liberarsi dell’occupazione romana che durava in Giudea dal 70 a.C. Per questo a partire dagli anni Sessanta inizia una sorta di piccola sommossa, di insofferenze, di intolleranza e violenza nei confronti di Roma. Roma irritata, alla fine degli anni 60 d.C., parte dalla Sicilia con la decima legio fretensis arriva come le cavallette e distrugge tutto quello che incontra: prima la Galilea, poi la Samaria, e infine assedia Gerusalemme che cade per la fame. Quando la legione entra in Gerusalemme brucia e rade al suolo tutto, soprattutto il tempio.

Questo è qualcosa di devastante e per questa ragione Matteo scrive un nuovo Vangelo potremmo dire per la sua parrocchia, la sua comunità. Essa è una comunità di giudeo-cristiani che vive in Galilea. Matteo in questo vangelo riporta una parola di Gesù straordinaria, profetica, in cui Gesù diceva senza dover vaticinare nulla, che lui è venuto a cambiare le cose, a portare il fuoco sulla terra e che ci sarà padre contro figlio, madre contro figlia eccetera. Perché questo? Perché, dopo la distruzione del tempio ci sarà un concilio a Jamnia di quelli che restano del Giudaismo, in maggioranza farisei, che di fatto decidono di rifondare l’ebraismo.

Pensate, il tempio non c’è più, non ci sono più sacrifici, hanno portato con sé i rotoli della torah e tra le tante scomuniche che fanno (chi ha assecondato la ribellione, i romani, ecc.) troviamo anche la scomunica di chi si è tirato fuori dal giudaismo quindi anche dei discepoli di Gesù. Capite allora che da un giorno all’altro, i fratelli, i parenti, gli amici sono scomunicati. Ecco perché Matteo riporta questa frase di Gesù che abbiamo letto nel Vangelo di oggi. Gesù dice che chi ama la madre e il padre più di lui non è degno di lui. Nella traduzione precedente si parlava di “odiare” semplicemente perché nell’ebraico non esiste il comparativo di maggioranza; per dire che una ragazza è molto bella si dice la ragazza non è brutta. Gesù sta dicendo allora una cosa straordinaria: sta dicendo a queste persone rimaste orfane, un po’ disorientate – e quindi anche a noi – che lui è il punto d’appoggio, che è capace di dare un amore più grande di tutto l’amore che possiamo immaginare.

Gesù pretende di essere l’esperienza più totalizzante che possiamo fare nella nostra vita. Io penso che lui abbia ragione. Se glielo permetti, se come parrocchia glielo permettiamo, Gesù può essere un’esperienza totalizzante nella nostra vita. Chi lo segue può fare un’esperienza d’amore che neanche i più innamorati riescono a fare. Provare per credere. Poi Gesù dice una frase che dobbiamo capire molto bene: chi non prende la propria croce e non mi segue non è degno di me. Ora devo dire che questa frase soprattutto qui, ma anche in Marco e in Luca ha creato più di un’ambiguità. Molte persone hanno identificato la croce con la sofferenza; quindi prendere la croce vuol dire che per seguire Gesù, per fare quest’esperienza d’amore bisogna soffrire.

Purtroppo, penso che sia una visione distorta del cristianesimo. Quando Gesù dice di abbracciare la croce non intende dire portare una sofferenza. Gesù stesso in croce è stato 6 ore; perché noi dovremmo permanere in croce? Allora dobbiamo capirci bene: Dio non manda le croci. Non capisco perché ci sia questa idea, come se Dio dovesse un po’ metterci alla prova e quindi ci facesse un po’ penare in croce. Cioè, è come se un padre di famiglia dicesse a suo figlio: “Guarda la vita è faticosa e io ti devo preparare alla vita faticosa.

Vieni qua ti taglio un dito!”. Assurdo! Ma che senso ha questa cosa? Più persone che conosco durante la prova, durante la croce, durante la sofferenza, la fede non la purificano ma la perdono. Allora perché Dio dovrebbe correre il rischio di farci perdere la fede chiedendoci qualcosa che non siamo in grado di fare? Allora la croce non è in alcun modo qualche disgrazia che Dio mi fa cadere addosso per raffinare, per purificare la mia fede, ma è piuttosto la scelta consapevole che Gesù fa di andare fino in fondo nella sua missione! La croce è una scelta consapevole per dimostrare chi è Dio fino in fondo! Una volta, una persona disse che il marito era violento e la picchiava quando beveva e ha concluso dicendo: pazienza sopporto la croce che Dio mi ha donato.

Sono rimasto sconcertato: Dio attraverso le botte del marito voleva purificarla? Siamo lontani anni luce da quello che vuole Gesù! Neanche Gesù ha voluto la croce! Quanto possiamo stravolgere il Vangelo! Capiamo bene Gesù cosa intende usando la parola croce: infatti il Vangelo continua dicendo che chi vuole donare la sua vita, chi perde la propria vita, la trova. Sapete, questo è uno dei detti più veri pronunciati da Gesù. Nei vangeli è citato per ben sei volte.

Chi perde la propria vita, chi la dona, chi fa della sua vita un dono, la ritrova. La croce è questo allora: non è una disgrazia, ma un atteggiamento che possiamo adottare per imitare Gesù che ha donato la sua vita. In un momento drammatico della vita della comunità di Matteo, egli prende questo detto di Gesù e lo dice a loro e a noi: se vogliamo partire di nuovo dobbiamo donare per imitare Gesù. Per farcelo capire Gesù fa un esempio molto pratico: quello dell’accoglienza.

Accogliere un profeta come profeta significa che siamo chiamati a reagire, a ripensare il nostro essere Chiesa, questa indicazione è preziosa: il nostro punto d’appoggio è l’amore per Cristo che è l’esperienza più totalizzante di amore che possiamo fare, ma anche noi per primi diventiamo capaci di accogliere, accogliere le situazioni, accogliere le persone, abbassare i toni e soprattutto essere come questo padre che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.

Se desideriamo davvero fare un salto di qualità, oggi la parola ci da questa grande occasione. Buona domenica!

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