L’8 luglio si celebra la Giornata Internazionale del Mar Mediterraneo, un’occasione per capire meglio lo “stato di salute” del Mare Nostrum (“il nostro mare”, come lo chiamavano i latini) e sui pericoli che lo minacciano. Secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sono oltre 240 le specie straniere identificate nel nostro mare, e sui fondali italiani si deposita più del 70% dei rifiuti marini, dei quali il 77% è plastica ingerita da più del 63% delle nostre tartarughe marine. Sulle spiagge, con una media di 400 rifiuti ogni 100 metri, la situazione non è migliore, ma le buone azioni di salvaguardia stanno dando i loro frutti: negli ultimi anni, finalmente, la pesca non è stata eccessiva o illegale, ma nel rispetto dell’ambiente marino senza sfruttarlo.
Desideriamo, però, parlarvi del nostro mare non solo da un punto di vista dell’ambiente, ma anche perché è un luogo in cui si naviga e in cui negli ultimi anni tante persone sono passate, partendo dal proprio Paese povero e/o in guerra per trovare un posto in cui stare meglio e costruirsi una nuova vita, senza purtroppo, molto spesso, arrivare a destinazione.
Tutti noi, grandi e piccoli, possiamo aprire il nostro cuore e i nostri occhi all’appello del Papa, scritto nella Laudato Si’: “il grido della Terra è il grido dei poveri”, che significa che non possiamo occuparci dell’ambiente, impegnandoci ad essere dei “Piccoli Custodi”, se non ci occupiamo anche dei poveri. Il nostro pianeta ha un sacco di luoghi bellissimi, alcuni anche molto ricchi di minerali utili per l’uomo, il quale ha scoperto che poteva arricchirsi di denaro per mezzo di essi. Ma se si segue solo l’obbiettivo di arricchirsi, senza tenere conto del popolo che abita quel luogo pieno di qualità, succede che i potenti del mondo invadono (con guerre, ricatti politici, dominazioni, ecc.) quei luoghi e lasciano in povertà i popoli che vi abitano, perché non si arricchiscano loro. Tutto questo succede ancora oggi, ed è per questo che spesso sentiamo di quelle povere persone (migranti/profughi) che tentano di scappare sui cosiddetti barconi.
Quindi, in questa giornata, il nostro pensiero non può andare solo alla cura dell’ambiente, ma deve andare anche e soprattutto alla cura delle persone, che sono nostri fratelli. E noi – che crediamo che Dio è sempre vicino anche quando l’uomo non si comporta da fratello, si fa tentare dall’approfittarsi dell’altro/dei luoghi e non segue le orme della Verità e Bontà, della Fratellanza e dell’Uguaglianza – abbiamo una buona notizia: se apriamo il nostro cuore, i nostri occhi e la nostra mente, potremo contribuire anche noi a un cambiamento, iniziando a pensare/parlare di questo terribile fatto e pregando perché l’accoglienza di Gesù sia l’accoglienza anche nostra, mettendo da parte la paura, pensando alla migliore convivenza possibile tra chi arriva e chi c’è già.
Per riflettere, vi proponiamo un dialogo (un pochino lungo, ma di facile lettura) tra un papà e il suo bambino, attraverso alcune domande che tutti ci poniamo: “Papà, chi sono tutte quelle persone che muoiono annegate in mare?” “Sono uomini, donne, giovani, madri e padri che sono fuggiti dalla loro casa, hanno attraversato il deserto africano e dopo mesi e mesi di cammino a piedi o con mezzi di fortuna sono arrivati sulle coste del Mediterraneo e da lì, impolverati e stanchissimi, si sono imbarcati con la speranza di arrivare da noi, in Europa” “E perché sono fuggiti dall’Africa che è molto più grande del nostro Paese e anche dell’Europa?” “Perché nei loro Paesi sono scoppiate guerre sanguinose, ci sono persecuzioni e violenze atroci, oppure si muore di fame e di malattie che lì sono ancora incurabili, quindi, rimanere in quei posti per loro significava mettere a rischio la propria vita e quella dei propri cari” “E così hanno deciso di lasciare la loro casa, i loro averi, i giocattoli, i compagni di classe, la maestra?” “Sì, tutto quello che avevano, compresi i parenti, gli amici, gli affetti più cari e hanno deciso di fare questo grande viaggio pieno di pericoli, senza voltarsi mai indietro, cercando un posto dove non ci sia nessuno che cerca di farti del male, di ucciderti. Ecco perché, come profughi, provano a venire da noi” “Perché nelle nostre città si vive bene e non si muore di fame? “Sì, figliolo. E anche perché nel nostro Paese la libertà e i diritti delle persone sono più garantiti e gelosamente custoditi, puoi trovare anche qualcuno che t’aiuta senza chiederti nulla in cambio, e se ti ammali qualcuno ti cura, ti dà la medicina giusta, e un bambino come te trova una nuova maestra e nuovi compagni con cui giocare” “Ma perché le loro barche affondano?” “Perché sono troppo piene e troppo vecchie. Così, se incontrano onde alte e mare in burrasca, vengono sommerse” “Perché sono troppo piene, papà? Non potrebbero aspettare la barca successiva?” “Hai ragione figlio mio, ma vedi: loro non sanno se ci sarà un’altra barca che partirà dopo. Hanno pagato quel biglietto molto caro, molto di più di qualsiasi viaggio che tu potresti pensare di fare, e non possono scegliere. E poi i capitani che guidano la nave sono prepotenti e avidi di denaro, come il Gatto e la Volpe: a loro non interessa che i passeggeri stiano comodi o tutti schiacciati come sardine. A loro basta che paghino. E più ne caricano a bordo e più zecchini guadagnano” “Ma sono tutti così i capitani delle navi?” “No, grazie al cielo. Solo certi pirati che vivono nell’Isola che non c’è. Stai tranquillo, sono molti di più i veri capitani che hanno a cuore i passeggeri e la loro sicurezza. Anzi molti di loro quando in mare incontrano questi grossi canotti stracarichi e queste barche sgangherate e sempre troppo piene, vanno loro incontro e li salvano caricandoli sulle loro navi e poi li accompagnano in porto. Ma a volte i profughi affondano lo stesso, purtroppo, perché nessuno li vede. Magari capita di notte, in alto mare e nessuno è lì vicino e può rispondere al loro disperato SOS” “Perché non andiamo ad aiutarli, allora?” “Noi andiamo ad aiutarli e ne salviamo molti, ma dalle coste africane ne partono sempre di più, intere flotte di disperati. E molti ancora si sono messi in viaggio nel deserto” “Anche Fuad, il mio compagno di banco, un giorno mi ha raccontato che i suoi genitori sono arrivati in Italia con una barca piena di buchi e di gente” “Sì, ricordo. E lui era ancora nella pancia della mamma, quando lei è salita sul barcone. Arrivati davanti un’isola che si chiama Lampedusa stavano per naufragare, per fortuna è giunta una nave che li ha tratti in salvo” “Anche il nonno è andato in barca in America, ma la sua era più sicura. Vero, papà? “Più sicura e molto più grande. Anche lui aveva pagato un biglietto molto caro. Aveva portato con sé solo una vecchia valigia e con lui era partito metà del suo paese. Il mare, allora, era l’oceano Atlantico. Ha sofferto molto: ha lasciato nonna a casa e i figli, ma poi è tornato senza naufragare” “Qui invece naufragano sempre. E se si mettessero a cercarli tutte le navi d’Europa? Con tanti radar e tanti riflettori di notte?” “Giusto, è una buona idea. L’unione fa la forza, sempre, figliolo. Tante navi significa tante scialuppe, tanti salvagenti, tante funi da gettare in mare per salvare chi è già caduto in acqua. Chissà forse un giorno anche i grandi capiranno quello che mi stai dicendo. E poi sto pensando a quanto sarebbe bello se un giorno questi viaggi disperati per terra e per mare finissero, per incanto. Ma c’è bisogno che accada qualcosa: c’è bisogno di un prodigio tanto grande” “Quale?” “Uno capace di svegliare dal loro lungo sonno i capi delle grandi Nazioni, di liberare la grande terra africana dagli artigli dei mostri che ne stanno portando via tutte le ricchezze e la stanno trasformando nella Palude della tristezza. Preghiamo ora un momento perché questo succeda presto e per tutti i poveri del mondo; chiediamo a San Benedetto, patrono d’Europa, la sua intercessione”.