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La Speranza che cammina sulle vie del mare

“Camminando s’apre cammino” è il progetto giubilare della Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia, ideato dal coordinamento della Campania, fortemente sostenuto dall’Assistente Ecclesiastico Nazionale Mons. Michele Pennisi e acclamato da tutte le confraternite. Da quel raduno straordinario delle Confraternite tenutosi il 3 giugno a Pompei, il progetto che vede tutti impegnati come “pellegrini di Speranza” è stato accolto con entusiasmo soprattutto dalle confraternite della diocesi di Ischia.

Il Calendario delle tappe che avrebbe toccato l’Icona Maria Madre della Speranza e delle Confraternite, è parso da subito molto fitto di appuntamenti e alla Diocesi di Ischia, la “peregrinatio” era prevista non prima della fine del 2024 e l’inizio del 2025, anno in cui l’Icona terminerà il Cammino di fratellanza tra le confraternite, per giungere al Papa in vista del Giubileo 2025.

Per una strana “Dio-incidenza” c’è stata una variazione al cammino, ci piace immaginarla come una inversione a “U”, di quelle che ti reimmettono sul percorso dopo che un “navigatore” (supremo) lo ha ricalcolato.

Così, sfidando il tempo e lo spazio, la stagione estiva con i flussi turistici, il poco se non inesistente tempo per organizzarsi, mettendo in conto, anzi per niente, l’imponderabile, al netto di vari ed eventuali impedimenti, ostacoli, défaillance dell’ultimo secondo,  derivanti  da una modifica estemporanea e fulminea al programma, è accaduto che direttamente dall’ Arciconfraternita Maria SS. Del Carmine di Nola (NA), l’icona del Maestro Piero Casentini, ma ormai considerata Icona patrimonio collettivo, Maria Madre della Speranza e delle Confraternite, è giunta a noi, che ancora non ci siamo resi conto del “come” e del “perché”.

Noi, isolani e mai isolati, diocesi unita ad un’altra diocesi eppure con una sua forza, una sua individualità, un suo carattere che si esprime, come accaduto oggi, 19 luglio, anche nella rapida, silente, risposta affermativa del mettersi rapidamente in cammino per aprire quel cammino che ci porterà tutti verso il Giubileo 2025. E per Quel Cammino che s’apre camminando e che apre anche le vie del mare, come un traghetto fa con il suo bulbo di prua, sia che esca dal porto, sia che entri per approdarvi, in un altro porto, una rappresentanza di confraternite isolane, è partita alla volta di Pozzuoli a ritirare il “testimone”, l’Icona, per continuare la staffetta sull’Isola tra tutti i confratelli ischitani.

Poco importa di quale confraternita, poco importa se non è la stessa congrega in cima alla lista e dalla quale inizierà la “peregrinatio”, e men che meno importa se membri di una confraternita che è stata commissariata e che, probabilmente, non si è mai sentita viva e partecipe come ora.

Due giovanissimi e due diversamente giovani, il vecchio ed il nuovo che avanzano insieme, percorrendo le vie del mare per essere Pellegrini di Speranza e portare l’icona a chi realmente necessita di Quella speranza, che non viene dal mondo poiché il mondo non gliela può restituire. Quella Speranza di cui anche un turista potrebbe avere necessità, di cui tutti, nessuno escluso, abbiamo bisogno. Ischia, in questo momento, più di tutti: la pandemia che ci ha isolati ancora di più del mare, il terremoto che ci ha sbriciolato le case allontanandoci da quelle non del tutto cadute, la frana che ci ha travolti con i suoi detriti portandosi via quei figli che non rivedremo più in questo mondo. E che ricorda sempre, ad ogni passo, ad ogni sguardo verso il monte, di quella ferita ancora visibile, palpabile, sanguinante e che ai turisti sfuggirà, sembrando una particolarità della conformazione orografica del territorio. Solo noi sappiamo e serbiamo nel nostro cuore la memoria finanche corporea che smuove la sola vista.

E l’abbiamo vista anche oggi quando ci siamo imbarcati da Casamicciola, porto che solo di recente è stato riaperto al traffico marittimo poiché i fondali erano ancora sporchi di fango e detriti ed andava ripulito.

Lasciavamo alle spalle la montagna che con il suo solco, con la sua ferita ancora aperta, ci ricorda che le strade da percorrere, qualche volta, sono davvero ardue, sconnesse, fangose e lastricate di imprevisti che puoi solo attraversare ma che alla fine del percorso, qualche volta, restituiscono un panorama o l’emozione di ciò che si è conquistato, con una intensità a cui non siamo abituati e capita di pensare che la ragione per cui ci si muove, il fine ultimo, che spesso ultimo non è mai, merita tutto il sacrifico sin qui offerto.

Così nella scia lasciata dal traghetto che mollava gli ormeggi dal Porto di Casamicciola non è stato difficile immaginare un altro cammino e pensare che per l’Icona, in cammino dal 3 giugno 2023, sarebbe stata la prima volta che avrebbe camminato sulle acque per raggiungere l’altra sponda e che l’acqua, sebbene tagliata dal bulbo di prua del natante che vi naviga, non è mai separazione di confini ma collegamento tra varie sponde, cammino fluido per toccare molte rive. E se volessimo parlare di fratellanza, anche l’acqua del mare, almeno per noi isolani, è consorella.

Durante la traversata i volti erano un po’ tesi, come di chi vuol farsi trovare pronto all’avvenimento anche se pronti non lo si è mai del tutto. Lasciato il Faro di Ischia e pensando che quel faro spesso di notte è l’unico punto di riferimento per i naviganti, arrivati a Pozzuoli se n’è palesato un altro che è sembrato volesse testimoniare che tutto sommato, in ogni costa, per chi naviga, c’è sempre un faro che dà l’orientamento.

Il nostro, di Faro, era lì, oltre quella forma cilindrica con le vetrate e la luce artificiale, oltre la barriera frangiflutti che protegge il porto, oltre la banchina di imbarco e oltre le auto in colonna. Era in quell’auto con bagagliaio aperto e la confezione appena visibile, almeno dal portellone, mentre sbarcavamo e ci avvicinavamo a quella che a breve sarebbe diventata la “nostra” icona. E qui, quando Gerardo e Felice l’hanno tirata via dall’auto per mostrarci come si monta e si è palesata in tutto il suo splendore, ebbene qui,   ci è mancato il fiato perché abbiamo realizzato, guardando il mare alle nostre spalle, il traghetto che per pura “coincidenza” si chiama “Maria”, che ci stavamo muovendo sotto l’insegna di “pellegrini di speranza” , distratti dal nostro lavoro, dai nostri tempi inconciliabili tra loro, dai nostri affanni, pensieri, scadenze, distratti dal caldo torrido ed al netto delle nostre varie umanità, mentre di fatto, era Lei, Maria Madre della Speranza e delle Confraternite, che aspettava noi sul porto.

E ci attendeva paziente, sotto il sole rovente, guardando al traghetto che entrava nel porto, con l’aria resa densa dal calore che non consente di delinearne i confini, forse a mala pena la scritta della compagnia e forse, attendeva fremente come solo una mamma fa, e riservatamente emozionata più di noi perché da lì a poco avrebbe iniziato con noi un pezzo di strada, ma al di là del mare. Al di là del tempo, al di là dello spazio.

Il traghetto del ritorno, con l’ospite di eccezione, seduta in mezzo a noi, ha riportato a Ischia le stesse persone dell’andata, solo con un volto più radioso e con una nuova variazione al programma iniziale che però nessuno aveva il coraggio di esternare. Avevamo rubato del tempo alle nostre quotidianità, appariva più che sufficiente essere andati a prenderla ed averla portata a Ischia. Ma facevamo fatica ad allontanarcene e a confessarcelo.

In nostro aiuto un conoscente avventore che alla domanda “chi di voi la porterà in Chiesa?”, si è sentito rispondere quasi in coro “l’accompagniamo tutti”. Non abbiamo riso sguaiatamente per decoro, eravamo pur sempre in compagnia di una “Signora” di tutto rispetto e d’altri tempi.

Allo sbarco abbiamo rifatto il cammino a ritroso, con la montagna, la sua ferita, le sue strade trafficate da turisti che ignorano ed il porto con i suoi fondali non del tutto ripuliti.

Avevamo tra le mani però una ragione in più per guardare avanti ed aprire, camminando, quel cammino che ora si faceva concreto, reale, fattivo.

Una macchina che aspettava e che avrebbe caricato l’icona e gli altri con motorini e passaggi di fortuna, verso la chiesa di Sant’Anna, che non è di strada per chi torna, ci devi andare apposta, facendo l’ennesima variazione al percorso. Verso la prima tappa della peregrinatio. E poi Ciro, il priore della congrega ospitante, che non è potuto partire per questo motivo, quest’altro e quest’altro ancora. Ma si è fatto trovare lì, occhi bassi allo sbarco e poi schivando gli sguardi, sul portone della Chiesa; Ciro, che ha posizionato il primo dei quattro bulloni che servono a fissare l’icona sulle sbarre da portare in spalla. E lo ha fatto senza nemmeno vedere il video di tutorial come se avesse sempre fatto questo. Ciro era lì, col volto tirato, forse emozionato, e nessuno di noi saprà dirlo se a solcare le sue rughe comparse tutto a un tratto e tutte insieme da quel mese di novembre ad oggi, sia stato solo sudore. Ciro, il Priore della prima congrega da cui parte la peregrinatio isolana, nella frana di novembre ci ha lasciato un pezzo di anima ed oggi, con un’ala spezzata, ha avuto tra le mani e se ne prenderà cura, LA SPERANZA.

Con il segno della croce ci piace pensare che Ciro ha fatto un po’ di pace con la speranza e se ce l’ha fatta lui, c’è speranza per tutti, anche al di là del mare. Benvenuta sull’Isola a Maria Madre della Speranza e delle Confraternite, che era lì ad attenderci mentre l’aspettavamo.


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