Gli incontri che hanno preceduto l’evento, per quanto intensi, fattivi, voluti, di preparazione, alla fine non ci hanno preparato all’intensità dell’impatto emotivo che scaturisce da una partenza. L’abbiamo immaginata, organizzata, schematizzata e anche relazionata, su word, su pdf, su jpg, quasi a convincerci che così doveva andare e così sarebbe andata.
Dall’incontro al porto, emozionati e spauriti, qualcuno in viaggio per la prima volta, qualcun altro un po’ più avvezzo, ci siamo ritrovati sul traghetto alla volta di Pozzuoli, con il primo monito “attenzione quello delle 08:10 della Medmar, non quello delle 08:20 della Caremar”, il primo fremito, il primo errore possibile dietro l’angolo del porto che poi non ha angoli ma solo una semi circonferenza, come fosse un abbraccio dal quale lentamente scivolare via, per altri lidi, altro mare, altri porti. Nemmeno il tempo di rendercene conto che eravamo lì, tutti insieme, un po’ sparsi nel salone tra un “che bello che sei riuscito a venire” ed un “no, Giulio non è riuscito”, siamo sbarcati a Pozzuoli, terra con la quale, per pura coincidenza condividiamo il Vescovo, di nuova nomina e che già ci piace, Mons. Carlo Villano.
Certo che a ripensarci, speriamo che nessuno abbia sbagliato traghetto e ora si trova su quello della Caremar!
Il primo fuori programma avviene subito, al terzo punto della scheda programma, in formato word sui nostri cellulari: dovevamo metterci nel pullman e partire per Civitavecchia. Ci siamo ritrovati nel cortile della Diocesi di Pozzuoli, insieme ad altri giovani e al nostro futuro Vescovo, che però ci siamo adottati subito, senza aspettarne l’ufficialità. Abbiamo pregato insieme e ci ha benedetti tutti, noi di Ischia e i nostri coetanei di Pozzuoli. Bel momento, ha scherzato con noi con il suo improbabile dialetto “jamm ja” che non si capiva se era un maldestro tentativo di imitare Alessandro Siani o un goliardico ammiccamento alla “funiculì, funiculà” ma poiché gli vogliamo già bene, l’abbiamo presa così come gli è uscita e abbiamo fatto la ola.
Di nuovo nel pullman, di nuovo in cammino, di nuovo insieme, di nuovo a sognare, a elettrizzarci, a sperare, a sonnecchiare perché, altro che notte prima degli esami, notte prima del salto col parapendio, che con il Signore non si scherza mica, tra l’altro farà pure il portoghese, niente di più facile che si sia già imbucato.
Alla domanda “cosa senti di lasciare sull’Isola e cosa vorresti poter portare al ritorno”, le risposte più disparate: 1) “lascio la routine ed il caos soffocante di un’isola turistica, sperando di incontrare Gesù…e portarmelo appresso”; 2) “Onestamente non volevo venire, è stato un anno complicato, poi ho deciso di dare una svolta e rimettermi in gioco; spero di riportare una fede più fortificata che mi aiuti anche ad esprimere le mie potenzialità”. 3) “lasciare l’isola con le mie insicurezze e riportare lo zaino pieno di coraggio per affrontarle”. Le altre risposte, vengono riassunte al solo fine di strappare un sorriso “vado per trovare l’anima gemella”, “vado per vedere il Portogallo”, “vado perché costretta da mio fratello”.
E siamo arrivati a Civitavecchia, con lo sbalzo di temperatura tra l’aria condizionata del pullman e l’afa di un torrido inizio di agosto. Sarà un preludio al caldo portoghese? Chi può dirlo.
Le operazioni di imbarco avvengono abbastanza scorrevolmente, sarà che siamo abituati alle attese, agli stop, alle apparenti perdite di tempo, occupiamo il tempo a suonare, cantare, ridere e ci riscopriamo giovani. Quando restiamo fermi per troppo tempo in una stessa posizione/situazione/dimensione è un po’ come se perdessimo il senso della nostra gioventù e quasi ce ne dimenticassimo.
I sacerdoti che ci accompagnano fanno il loro mestiere, organizzano subito una messa allestendo il salone passeggeri. Sono davvero irrecuperabili, spuntano sacerdoti sull’altare imbandito di cui non avevamo contezza. Gli abiti borghesi ci hanno giocato lo scherzo: si erano infiltrati tra noi.
Purtroppo non tutti hanno potuto partecipare all’eucarestia, abbiamo fatto degli onesti turni a salvaguardia della postazione perché abbiamo scoperto che se nel raggio di 1 metro non vengono intercettate persone, anche con gli zaini a terra (tipo il cappello di totò per tenere il posto) arrivano nuove persone e ci si siedono sopra.
Sembra un po’ gli esodi di una volta: dalle grandi città industrializzate si partiva per la terra di origine, che era sempre al sud di dove si lavorava, e nel treno si occupavano tutti i posti possibili nei corridoi. I nonni ce lo raccontavano e noi ora lo stiamo vivendo per davvero. Anche questo ha una sua bellezza.
Tra un po’ la nave uscirà dal porto, per noi il secondo, stamattina era l’alba, ora ci aspetta il tramonto. Attraverseremo il crepuscolo di un giorno che termina e che ci vedrà sui nostri sacchi a pelo, a dormire sotto lo stesso tetto di cielo, tutti insieme. Buona la prima.