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GMG2023 – 3° giorno

Il terzo giorno inizia come è terminato il secondo: strada, pullman, autogrill, strada. Canti, preghiere, lodi, sonno, pausa e ancora chilometri, fino ad Alcainca, dove un comitato di accoglienza ci ha commossi già alle porte della città con striscioni di benvenuto e occhi di cuore che abbracciano fratelli dopo un lungo viaggio. Sembrava fossimo tornati a casa dopo molti anni e l’intero paese era in festa, non solo cugini, fratelli, genitori, nonni, ma pure il sindaco, il parroco, insomma tutti. Straniti ci siamo guardati intorno, dietro, ed ancora più dietro, chiedendoci, ma aspettano proprio noi o si sono sbagliati?

Più confusi che persuasi, di corsa in palestra per sistemare i minorenni mentre i maggiorenni, due a due, scelti a caso, saranno ospitati da famiglie che aderiscono al progetto. A noi è parsa una cosa strana, a loro è sembrata la più normale delle cose “che cristiani saremmo?” è stata la risposta che ci ha consegnato Google traduttore.

Il cammino “secondo la tabella di marcia” è diventato l’anti mantra: tutto può essere cambiato, modificato, anche in itinere e che si vive al secondo, nemmeno al minuto; non c’è un pranzo fisso ma è “alla carta”, come il libretto del kit GMG, “pregare alla carta”, allo stesso modo ci ritroviamo a sapere di dover fare una cosa e poi, qualcuno rimescola le carte da viaggio, e ne facciamo un’altra diametralmente opposta.

Precarietà, la parola ricorrente a partire dal nostro pullman; poche e ben confuse informazioni vanno a miscelarsi con lo stupore e la non linearità dei nostri schemi mentali, che da qualche giorno, sono saltati tutti e tutti insieme (grazie a Dio). Sulla tabella di marcia erano, di fatto, in continuo divenire e noi ci eravamo arresi già al titolo.

Alzatina di spalle e via, noi non siamo come i grandi, spesso cercatori di crepe, noi guardiamo il cielo, il mare e se proprio ci scappa un “uffa”, poi lo depositiamo nei rifiuti ingombranti dell’autogrill successivo. Ci hanno insegnato a restare leggeri, a svuotare le tasche, a portare l’essenziale…ci si chiede chi tornerà davvero in Italia e con cosa. Ma vedremo nel finale di recuperare qualche frammento della nostra essenzialità.

Precarietà sulla sistemazione, sul pranzo, su chi va dove e alla fine tutto, per incanto, trova una propria collocazione. E il fuso orario, che sarà pure di una sola ora, fa anche lui, il suo.

Dell’amico “Portoghese” si hanno sparute notizie, di tanto in tanto ne sentiamo l’odore, ci pare di scorgerlo da lontano, nel riverbero del sole che incrocia i colori variopinti di questa città tappezzata a festa, la nostra festa, e nel gioco dei riflessi con il vetro del pullman diventa complicato delinearne i contorni. Ci vorrebbero delle lenti da sole con filtro speciale, gli occhi non reggono.

Probabilmente, si è portato avanti col percorso, pensiamo ci abbia preceduto con qualche mezzo di fortuna, forse ha fatto l’autostop, perché, quando siamo arrivati a destinazione, la sensazione di tutti è stata che già era lì ad aspettarci e a sistemare i tavoli, organizzare i posti letto. Salvo poi imbucarsi, come un “Portoghese”, tra noi, in direzione campo dove hanno allestito una grande festa, tipo concerto, in onore di noi italiani. Se fossimo adulti ci chiederemmo se ha pagato la sua quota, ma noi non lo siamo per fortuna.

“Allénati nella vera fede, perché l’esercizio fisico è utile a poco, mentre la vera fede è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente e di quella futura. Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti. Per questo infatti noi ci affatichiamo e combattiamo, perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono.”

La prima lettera di San Paolo a Timoteo sembra scritta per me, per te, per chi mi sta dietro e chi mi sta davanti, per noi. Ischitani, Puteolani, Campani, Italiani e non. Noi tutti, con tutte le nostre fragilità, debolezze, contraddizioni, insicurezze, precarietà, paure e gira voce che chi si allena ad amare Gesù si allena ad amare anche sé stesso e si mormora (in portoghese ma lo abbiamo tradotto) che chi lo fa, combatte quella che viene chiamata “la buona battaglia”.

I bene informati, sostengono senza tema di smentita, che non è importante chi vince o chi perde questa battaglia, ma chi la combatte, sempre che sia buona. A sussurrarlo, tra gli altri, don Ciotti che consegna una riflessione “la fragilità è la condizione naturale umana, chi non ne riconosce la propria, difficilmente accoglierà quella dell’altro. Anche i dubbi sono i benvenuti, la fede non esclude il lamento, la protesta e l’incomprensione davanti a Dio; anche il dubbio conduce a Dio, non ne dobbiamo aver paura perché Dio ci aspetta e ci dà appuntamento proprio lì, nelle nostre fragilità. Dubbi, fragilità, insicurezze, sono uno sprone a vivere al di là delle nubi del nostro vivere”. Per inciso, a Lisbona le nubi fanno proprio parte del pacchetto GMG, oggi. Presenti e belle cariche, fanno da sfondo alla bandiera che sventola sulle nostre teste perché si veda che il protagonismo non manca. È quella della pastorale giovanile di Ischia, che taglia i cieli di Lisbona, e che oggi è davvero uno spettacolo, crediamo segnerà il confine tra il prima e il dopo, il prima di Lisbona e il dopo GMG.

Tutta questa precarietà e tutto questo protagonismo, insieme e amalgamati tra loro: come allenamento non è male, qualche volta vi inciampiamo, qualche altra capitomboliamo, qualche altra ancora ci nascondiamo per riprendere fiato, e di tanto in tanto corriamo il rischio di sembrare protagonisti, che non sempre ha un’accezione negativa, specie quando aleggia tra noi il solito sospetto, riconosciuto dall’odore,  anche qui, anche ora; il sospetto che il nostro amico “Portoghese” sia dietro le quinte, forse nel gobbo a suggerire i testi del presentatore di turno che sale sul palco o del conduttore che invita alla gioia, chissà.

In tutta onestà, per come ci guardiamo con circospezione sorniona, per come scrutiamo oltre l’orizzonte del palco, per quanto saltiamo e balliamo sulle note del “tunf-tunf”, ognuno di noi ha la tentazione forte, anzi fortissima, di acquattarsi dietro le quinte per poterlo finalmente stanare e urlare “Tana per tutti”. Solo che la telecamera di TV2000 potrebbe passare dove stiamo noi, in prossimità delle transenne e se rimanessimo lì potremmo salutare chi sta a casa e certamente guarda la diretta. E quindi decidiamo di rimanere ai nostri posti, qualcuno sedendosi sul prato, qualcun altro stendendosi, tanto per recuperare un po’ di forza lasciata tra pullman e cammino a piedi fino a quando non accendiamo, su espressa richiesta di don Michele, dal palco, le torce dei telefonini. Ma come? Non erano scarichi? non abbiamo preso le powerbank perché invece di tornare alle famiglie dove abbiamo lasciato gli zaini, ci hanno dato un cambio di programma e siamo dovuti correre a pranzare e poi direttamente qui e poi il cellulare era scarico, tant’è che non lo usavamo più, riposto e stipato nello zaino e invece ora si accende e fa, di tutto il campo 64827 puntini di luce, che da casa sembravano stelle, come le lacrime, di gioia o di dolore, poco importa, che quando escono, se alzi gli occhi al cielo sembrano stelle.

Alla domanda che ormai non ci facciamo nemmeno più, la risposta è che stiamo qui alla ricerca di uno sguardo, di un volto, che ci dica che noi non siamo solo un puntino, nella massa informe di questa gioventù, ma qualcosa di più, infinitamente più prezioso e autentico.

Il “Portoghese” preparava la mensa, ce ne siamo subito resi conto quando al ritorno nel pullman la messa “on the road” ci ha tenuti inchiodati con lo sguardo in avanti, trasognanti ed ancora carichi di cori, botta e risposta, onde di braccia, incipit…e tanto, tanto, tanto altro ancora. Anche oggi, riposeremo domani.

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