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Commento al vangelo Mt 16,21-21

È sempre il nostro amico Pietro che ci accompagna in questa domenica. Sì, è l’apostolo che aveva detto davanti a Gesù e davanti a tutti che Egli era il Cristo, il figlio del Dio vivente; è l’apostolo che ha ricevuto le chiavi del Regno di Dio; è l’apostolo su cui si dovrebbe fondare la coerenza della nostra fede e della nostra chiesa; è l’apostolo su cui qui e ora, ancora oggi, si fonda la nostra fede.

Eppure, siamo davanti a un altro fallimento di questo uomo, per dire che anche noi possiamo essere apostoli in cammino in questa bellissima avventura che è la Chiesa. Se Pietro è così fragile, possiamo esserlo anche noi! Abbiamo un patrono dei fallimenti! Pietro aveva detto una cosa stupenda, cioè che Gesù è il messia, ma fa subito i conti con se stesso dopo aver ascoltato quello che vuole fare Gesù.

Una cosa è dire ‘Gesù è il messia’ e un’altra cosa è dire ciò che ci si aspetta da questo messia, perché Dio non è mai come ce lo aspettiamo. Gesù nel Vangelo ci ricorda che egli non è un messia muscoloso, non è un messia battagliero, non è un messia condottiero, né un messia da fuochi d’artificio; non sarà uno che attirerà consensi e applausi. Egli era un falegname di Nazareth, poco carismatico e molto distante dallo stereotipo del messia che accompagnava la predicazione dei rabbini.

Gesù adesso però esagera: parla di sacrificio, di prove, di incomprensione, di sofferenza, di morte, della sua morte. Non serve essere figlio di Dio per capirlo: tira una bruttissima aria intorno a Gesù. I discepoli sono scossi. Ora sanno chiaramente che Gesù è il messia, ma sanno che il messia non può morire, mentre Gesù sta dicendo loro che deve morire. Pietro prenderà da parte Gesù e, ora che è appena stato investito della tiara papale, lo invita a non abbattere il morale delle truppe dei discepoli.

Rimprovera il maestro dicendogli cosa deve fare. Pensate, Pietro vuole insegnare a Dio, come noi vogliamo dire a Dio come si fa Dio. Gesù si volta e schiaffeggia il primo papa. Il papa si prende una bella lavata di testa e Gesù gli dice che lui non pensa secondo Dio ma secondo gli uomini; gli dice di mettersi dietro di lui e lo chiama Satana! Chi sa a quanti papi Gesù ha dovuto ridire queste parole! Amici, quando vogliamo indicare a Dio quale direzione prendere, quando vorremmo fare qualche correzione all’agire di Dio, quando anche se devoti, santi, pii, preti, vescovi, martiri, ragioniamo secondo gli uomini, quando non siamo discepoli ma ci crediamo maestri di Dio, quando ingenuamente assumiamo la logica satanica di questo mondo, Gesù non ha paura di schiaffeggiarci e richiamarci all’ordine, anche con fermezza.

Pietro deve scegliere da che parte stare. Gesù non ama la croce, ne farebbe volentieri a meno; Gesù non vuole morire. Ciò che Gesù vuole è manifestare il vero volto di Dio e, per farlo, è disposto a subire tutto ciò che ha detto. Pietro deve scegliere da che parte stare, dalla parte della croce sulla quale Gesù dona la vita morendo pur di non rinnegare il vero volto di Dio, o dalla parte del mondo che pensa solo a sé, che usa gli altri, che contratta, che contrabbanda, che cambia idea, che giudica senza esporsi, che non paga mai.

Questa è la croce non altro; la croce non è sofferenza, né prova divina, né alcuna delle assurde idiozie che abbiamo immaginato intorno a questo invito. Peggio, quante volte abbiamo stravolto questo brano e offeso Dio facendogli dire l’esatto contrario di quello che voleva dire. Dio non ama la croce. Perché dovrebbe chiederci di amarla? Dio non manda le croci, gli altri le mandano, noi stessi le costruiamo su di noi. La sofferenza va evitata dov’è possibile, ma amare a volte porta con sé il donarsi fino alla morte, fino allo svuotamento di sé, fino al sacrumfacere, al sacrificio, che non significa sopportare un marito violento, farmi da parte davanti all’arrogante o diventare uno zerbino. Dio non apprezza tale atteggiamento.

Significa invece entrare nella logica del dono, la logica che Gesù assume fino a morirne. Siamo davvero disposti a osare tanto? Gesù è onesto. Il dolore non è un criterio di scelta; la proposta è molto chiara: da una parte la vera identità di Dio, la sua logica che è logica di dono, disposto a morire per amore e dall’altra parte la piccina logica del mondo. C’è ancora un bel pezzo di strada da fare, ma Pietro ha scelto in cuor suo. Pietro nonostante il duro rimprovero (io me ne sarei andato via offeso) riflette e continua il suo percorso proprio perché è testardo. Ci vuole tutta la vita per diventare discepoli.

Pietro dovrà ancora essere masticato dalla croce, dovrà ancora fallire clamorosamente per capire che cosa c’è veramente in gioco. Nessuno di noi conosce la propria fede fino a quando questa non è messa alla prova. Così Pietro che ormai si sentiva adulto nella fede, saldo nelle sue convinzioni, deve fare i conti con la sua paura e rinnega il maestro e piange. Perché mai Pietro è stato scelto come garante della nostra fede? Perché crede!

È l’unico che si è buttato nel lago andando incontro a Gesù che cammina sulle acque, impulsivo come sempre. È un discepolo con un percorso di vita complesso, altalenante, di spoliazione interiore, di crescita straordinariamente affascinante e vero. Buona domenica!

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