Omelia di Mons. Gennaro Pascarella per l’ingresso del nuovo parroco, don Pasquale Trani
Parrocchia S. Maria Assunta nel santuario di San Giovan Giuseppe della Croce
Fratelli e sorelle carissimi,
Pace a voi! È questo il saluto del Risorto, quando apparve ai discepoli e stette in mezzo a loro.
Pace a voi! È questo il saluto che il Risorto continua a porgerci attraverso chi preside l’Eucarestia.
Pace a voi! È questo il dono che il Signore risorto porta con sé, quando lasciamo che ci avvolga con la Sua presenza. Egli ci ha fatto una promessa: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono in mezzo a loro». (Mt 18,20).
La nostra preghiera è vana, se non viviamo in sinfonia, in accordo, se non siamo “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32). Gesù ce l’ho detto con chiarezza: «In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà» (Mt 18,19). È la concordia, l’accordo, frutto dell’amore reciproco, che attira la presenza del Risorto nella comunità. Un padre della Chiesa dice che come la calamita attira il ferro così una comunità unita nella reciproca carità attira la presenza del Risorto.
«Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono in mezzo a loro» significa anche: “Dove non ci sono questi due o tre in sinfonia, io non ci sono”, “cioè, ci sarei, ci sono sempre, ma se non siete in accordo tra voi, non potete sperimentare la mia presenza”. Non basta stare insieme uno accanto all’altro, dobbiamo essere tra noi in armonia!
La nostra preghiera non arriva al Cielo, quando è fatta da una comunità divisa, indifferente! Nella Prima Lettura (tratta dalla Prima Lettera a Timoteo 2,1-8) l’autore sacro ci ha raccomandato che nelle nostre celebrazioni «prima di tutto… si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio»; ma la nostra preghiera deve essere fatta, “alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche”.
Dobbiamo sempre di nuovo rivedere la qualità delle nostre celebrazioni: se non c’è comunione, unità, amore reciproco, la capacità di dare e ricevere il perdono, espressione della misericordia, l’altro dell’amore, possiamo abbellire degli ornamenti più preziosi le nostre chiese, fare i canti più solenni, fare le novene più accurate, non sperimenteremo la presenza del Risorto e le nostre preghiere non squarciano i cieli!
Auguro alla vostra comunità di fare sempre di nuovo, quando vi radunate, soprattutto per la celebrazione dell’Eucarestia, una rinnovata esperienza della presenza del Risorto. Noi siamo chiamati ad annunciare e testimoniare a tutti che Egli è vivo, è presente nella nostra vita e nella storia, che è non un personaggio del passato?
Il rito dell’ingresso del nuovo parroco mette in risalto il significato profondo della comunione della comunità parrocchiale.
Invocheremo tra poco lo Spirito Santo chiedendogli che “il parroco e i parrocchiani formino una sola famiglia, riunita nella fede, nella speranza e nella carità”.
E nella preghiera di benedizione del nuovo parroco pregheremo così: «Guarda con paterna benevolenza il nuovo parroco, a cui affidi un’eletta porzione del tuo gregge; fa’ che la comunità parrocchiale di S. Maria Assunta nel santuario di San Giovan Giuseppe cresca e si edifichi in tempio santo del tuo Spirito e renda viva testimonianza di carità, perché il mondo creda in te e in colui che hai mandato, il Signore nostro Gesù Cristo».
La comunità parrocchiale è chiamata ad essere “una sola famiglia”, “tempio santo dello Spirito Santo” e “viva testimonianza di carità”. Solo così può testimoniare Gesù Cristo e Dio che Egli ci ha svelato.
In questa preghiera c’è l’eco del testamento/preghiera di Gesù la sera prima di morire: «affinché siano tutti uno, come tu, o Padre, sei in me e io in te; siano anch’essi uno in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).
Papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium implora tutte le comunità ecclesiali del mondo a vivere la comunione fraterna: «A tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). È quello che ha chiesto con intensa preghiera Gesù al Padre: “Siano una sola cosa … in noi … perché il mondo creda” (Gv 17,21). Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti». (n. 99).
Se non c’è la comunione fraterna, se c’è voglia di prevalere sull’altro, autoreferenzialità, odio, divisioni, chiacchiericcio, superbia … dove vogliamo andare ad evangelizzare? (cfr. n. 100) La comunità parrocchiale deve essere aperta. Le porte delle Chiese devono essere aperte sia per permettere a chi è dentro di uscire, perché la Chiesa c’è per annunciare e testimoniare a tutti Gesù Cristo e il suo Vangelo sia a quelli che sono fuori di entrare, perché Egli è nato, è morto ed è risorto per tutti.
Nel Vangelo (Lc 7,1-10), che è stato proclamato, alcuni anziani dei Giudei supplicano con insistenza Gesù che guarisca il servo di un centurione, che egli aveva molto caro. Il centurione, pur essendo pagano, amava il popolo d’Israele e aveva costruito la sinagoga e trattava il servo come un figlio. Gesù accoglie la richiesta; ma è ormai vicino alla casa del centurione, quando questi invia alcuni amici a dirgli: “Signore, non disturbarti! Io non sono degno che entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito”. Egli è ammirato dalla fede di quest’uomo ed esclama: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!”. Potremmo tradurre oggi le parole di Gesù anche così: “Neppure nella Chiesa ho trovato una fede così grande!”.
Soprattutto noi ministri e tutti gli operatori pastorali dovremmo saper scorgere la fede nelle persone semplici, forse non impegnate nella pastorale, senza incarichi particolari; ma che vivono nel loro quotidiano la fedeltà a Dio, seguendo i suoi comandamenti. Papa Francesco le chiama “i santi della porta accanto”.
Lo Spirito Santo non si fa chiudere dai confini della Chiesa, semina dovunque “semi del Verbo”. Sta a noi scorgerli, accoglierli e aiutare a svilupparli. Carissimo don Pasquale, ricorda sempre che tu e la comunità che ti è affidata dovete essere come Giovanni Battista: indicare Gesù Cristo; voi dovete diminuire e far crescere Lui! Sia Maria il modello. Lei è il silenzio su cui Dio ha parlato, è lo sfondo che fa risaltare suo Figlio, la prima discepola di suo Figlio. Come Lei anche tu insieme alla comunità dovete dire a tutti: “Fate quello che il Signore vi dirà!” e dirlo non solo con le parole, ma con la testimonianza di vita. Sarete una comunità “generativa”, se è fondata sulla Parola di Dio ascoltata e vissuta. Maria, donna del silenzio e dell’ascolto, donna dell’attesa paziente e dell’accoglienza, donna che ha creduto, amato e sperato, donna che ci indica il nostro dover essere e poter essere, donna che Gesù ci ha lasciato come madre … vi avvolga con il suo amore materno e vi renda degni figli suoi!