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“Sentitevi corresponsabili”

Omelia di Mons. Gennaro Pascarella per l’ingresso del nuovo parroco, don Luigi Trani – Parrocchia Maria SS. Madre della Chiesa, Fiaiano

            Fratelli e sorelle carissimi,

            un fraterno e cordiale saluto ad ognuno di voi. Il Signore vi doni pace e gioia!

            L’ultimo atto che farò come vescovo di Ischia è presentarvi questa sera il vostro nuovo parroco. Sabato saremo tutti insieme ad accogliere il nuovo vescovo Carlo.

            Il vescovo e il parroco passano, ma la diocesi e la parrocchia rimangono!

Grande responsabilità avete anche voi tutti, fratelli e sorelle fedeli laici!

La Chiesa, che concretamente si realizza in una comunità ecclesiale in comunione con il Vescovo, è pienamente sé stessa se sono coinvolti nella sua vita e nella sua missione tutti i suoi membri, e in maggioranza siete voi donne e uomini fedeli laici. Il cammino sinodale, -papa Francesco ci sta spingendo a viverlo con fervore e con perseveranza! -, è maturo se anche voi vi sentite corresponsabili che è più dell’essere collaboratori. Il rischio è che ci si ponga di fronte alla Chiesa e non sentirsi parte di essa.

            Il rito dell’ingresso di un nuovo parroco invita l’assemblea a invocare lo Spirito Santo, perché il parroco e i parrocchiani formino “un’unica famiglia”, fondata sul Battesimo e sull’Eucarestia, “centro e fulcro della vita cristiana”, riunita nella fede, nella speranza e nella carità. Chiederemo tra poco al Padre che la vostra comunità parrocchiale “renda viva testimonianza di carità, perché il mondo creda in te e in colui che hai mandato, il Signore nostro Gesù Cristo”.[1] Gesù, la sera prima di morire ha chiesto al Padre: “Padre, che siano uno … perché il mondo creda” (Gv 17,21).

La prima evangelizzazione è la vita della comunità: “una comunità fraterna attraente e luminosa”![2] “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, – ci dice Gesù, dopo averci donato il comandamento nuovo – se avete amore gli uni per gli altri”.

«L’amore, che è e resta il movente della missione, – scriveva san Giovanni Paolo II – è anche “l’unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato. È il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui essa deve tendere. Quando si agisce con riguardo alla carità o ispirati dalla carità, nulla è disdicevole e tutto è buono”»[3].

In ogni celebrazione eucaristica chiediamo che il Signore ci doni il suo Spirito che ci renda un “cuor solo e un’anima sola” per essere suoi testimoni.

San Paolo nel brano della Lettera agli Efesini (4,1-7.11-13), che è stato proclamato, ci ha esortato a “conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace”.

Egli ci ha indicato dove si fonda l’unità: abbiamo “un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo”, “un solo Dio e Padre di tutti”, “un’unica speranza”. Il Battesimo ci innesta nel corpo di Cristo, che è la Chiesa, e l’Eucarestia rinnova il dono e l’impegno di essere “un corpo solo e un solo spirito”. Nel concreto della nostra esistenza dobbiamo comportarci di conseguenza: “con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandoci a vicenda nell’amore”.

L’unità evangelica non è uniformità, omogeneità, è unità “trinitaria”: la diversità è ricchezza! Lo stesso Spirito che dà ad ognuno una “grazia” (dono gratuito) diversa è l’artefice dell’armonia delle diversità nell’unità. Paolo semplifica alcuni di questi doni di Cristo attraverso lo Spirito: apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri. Potremmo aggiungere oggi catechisti, animatori della carità, operatori pastorali! Dove tutti questi doni devono tendere? A edificare la Chiesa, “corpo di Cristo”, e condurre all’unità in Cristo.

Sorelle e fratelli carissimi,

oggi è la festa di san Matteo, apostolo ed evangelista. Nel Vangelo (Mt 9,9-13), che abbiamo ascoltato, egli racconta la chiamata di Gesù a seguirlo.

Bello il commento che fa papa Francesco a questo brano[4].

Tutto inizia con uno sguardo: Gesù vide un uomo. Tutti vedevano Matteo come un “pubblicano”, “seduto al banco delle imposte”, un collaborazionista, un traditore del popolo, pubblico peccatore. “Agli occhi di Gesù, Matteo è un uomo, con le sue miserie e la sua grandezza”. Egli non si ferma agli aggettivi, ma va al cuore della persona. Matteo è prima di tutto un uomo amato da Dio. “Questo sguardo di Gesù è bellissimo, che vede l’altro, chiunque sia, come un destinatario di amore”.  Dovrebbe essere così anche il nostro sguardo: ogni uomo è candidato all’unione con Dio e all’unità tra noi. Sì, in tutti, in tutti, in tutti vedere dei possibili candidati all’unità con Dio e all’unità fra di noi. Guardare ogni persona con misericordia, soprattutto i cosiddetti “lontani”. Gesù mette in chiaro che non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. “E se ognuno di noi si sente giusto, Gesù è lontano, Lui si avvicina ai nostri limiti e alle nostre miserie per guarirci”.

Dopo c’è un movimento: Gesù gli disse: “seguimi”. Ed egli “si alzò e lo seguì”.

Matteo stava seduto. Lo stare seduto era segno di potere, davanti a lui c’era chi doveva pagare il tributo. Gesù “gli fa lasciare una posizione di supremazia per metterlo alla pari con i fratelli e aprirgli gli orizzonti del servizio”. Il papa a questo punto pone una domanda provocante: «noi discepoli di Gesù, noi Chiesa, siamo seduti aspettando che la gente venga o sappiamo alzarci, metterci in cammino con gli altri, cercare gli altri? È una posizione non cristiana dire: “Ma vengano, io sono qui, che vengano”. No, vai tu a cercarli, fai tu il primo passo».

Uno sguardo, un movimento e una meta.

Per prima cosa Gesù va a casa di Matteo, che prepara “un grande banchetto”, a cui “partecipa una folla numerosa di pubblicani” come lui. Matteo torna nel suo ambiente, ma cambiato da Gesù e lì fa conoscere Gesù. Dobbiamo mettere la gente in contatto con Gesù, testimoniando ogni giorno la bellezza dell’Amore che ci ha guardati e ci ha rialzati.

Dobbiamo portare Gesù lì dove viviamo!

Sorelle e fratelli carissimi,

Gesù, riprende il rimprovero del profeta Osea al popolo di Israele, che viveva una religiosità di “facciata”, le cui preghiere erano fatte di parole vuote e incoerenti: “misericordia io voglio, non sacrifici”.

I farisei erano molto religiosi nella forma, ma si scandalizzavano perché Gesù condivideva la tavola con i pubblicani e i peccatori! Si ritenevano giusti e non ammettevano una possibilità di ravvedimento e di guarigione. Erano fedeli alla lettera della Legge, ma non avevano conosciuto il cuore di Dio, che è misericordia!

Sia la misericordia il pilastro della vostra comunità. Innanzitutto, ognuno di voi sperimenti la misericordia di Dio, allora non potrà non essere misericordioso!  

Carissimo don Luigi,

sei chiamato ad essere costruttore di comunione e di unità non solo in questa parrocchia, ma anche in quella di cui sei parroco da tempo e in quella in cui sei da ieri amministratore. Soprattutto sei chiamato a far camminare insieme, come chiese sorelle, le tre comunità.

È una “divina avventura”!

Ti accompagnerò con la preghiera. Maria, madre di Gesù, madre della Chiesa, nostra madre, non ti farà mancare il suo materno aiuto!  Lascia che abiti sempre con te, nella tua “casa”!


[1] Cfr. Preghiera di benedizione del nuovo parroco

[2] Francesco, EG, 99

[3] Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 60

[4] Francesco, Udienza generale, 11 gennaio 2023


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