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Omelia di Mons. Carlo Villano per l’inizio del suo ministero pastorale nella Chiesa di Ischia

23 settembre 2023

Carissimi fratelli e sorelle,

in questo momento significativo per la nostra comunità diocesana, lasciamoci condurre ancora una volta dalla Parola del Signore, lampada che brilla e guida sicura per il nostro cammino.

Nel brano del Vangelo appena proclamato, Gesù ci pone di fronte l’immagine della chiamata al lavoro in una vigna, alle diverse ore del giorno.

Questo è il grande mistero e la grande sfida della Chiesa: il campo di Dio (cfr. Cor 3,9; Lumen gentium n. 6), la vigna del Signore, in cui tutti siamo chiamati a lavorare, a dare il nostro contributo senza rimanere disoccupati, inoperosi (‘senza lavoro’ dice il testo greco). Ci potrebbe essere anche per noi la tentazione di rimanere ai margini della strada, inoperosi, lontani dalla vigna. Così potremmo cadere nella tentazione di osservare dall’esterno, forse anche per criticare tutto quello che non va, senza però lasciarci mettere realmente in discussione.

La chiamata del Signore a lavorare a tutte le ore nella Sua vigna risuona come un appello a darci da fare, a rimboccarci le maniche, a offrire il nostro contributo dentro la vigna, all’interno della comunità dei discepoli, nella nostra amata Chiesa. Lo accogliamo oggi come un invito davvero provvidenziale!

Questa chiamata del Signore, come ogni vocazione, è anche un invito alla conversione. Come credenti siamo chiamati sempre a convertirci ai pensieri del Signore che non sono i nostri (ci ha ricordato Isaia), alle sue ‘vie’ (cfr. Is. 55,9), cioè al suo modo di valutare, ai suoi criteri di scelta. Il trattamento del padrone di casa, che dà la stessa ricompensa agli operai chiamati in diverse ore del giorno, desta scandalo secondo i criteri di giusta retribuzione, ma soprattutto secondo una logica commerciale. Ciò che colpisce è il suo rimprovero, che mette in luce le radici di questo modo di ragionare e il senso di ribellione che ne deriva: l’invidia. Per essere più aderenti al testo dovremmo dire: lo sguardo invidioso (alla lettera: l’occhio cattivo), incapace di cogliere il bene dell’altro, incapace di accogliere l’altro come un bene e non come un fattore da valutare con una logica commerciale.

Si, la conversione è affare del cuore, ma parte del nostro sguardo. Carissimi, per crescere nel nostro essere comunità, nella nostra capacità di costruire la Chiesa come casa accogliente per tutti, dobbiamo prenderci cura innanzi tutto del nostro modo di guardare gli altri, a partire dai nostri fratelli di cammino. A volte i nostri occhi possono essere accecati da un falso bisogno di giustizia, che finisce per essere fonte di divisioni, di sospetti, di diffidenza.  Oggi ci sentiamo interpellati dalla Parola in maniera forte: “con quali occhi guardi la realtà, con quali occhi guardi tuo fratello, tua sorella?”.

Cara Chiesa di Ischia, dal nostro sguardo, dalla nostra capacità di conversione degli occhi, deriva anche lo stile del nostro essere Chiesa, che viene ripreso e rilanciato da coloro che non vivono la comunità, ma guardano con attenzione e interesse alle nostre vicende. Grazie allo sguardo rinnovato saremo capaci di tornare sempre all’essenziale del nostro essere discepoli e renderlo visibile anche agli altri.

La grande ricchezza dell’essere Chiesa, come ci insegna Gesù nelle diverse parabole nel Vangelo di Matteo, sta nel sentirsi parte di una rete in cui siamo tutti interconnessi, un intreccio di legami che ci dice che nessuno può essere disinteressato al bene dell’altro. Davvero ‘nessuno si salva da solo’, come ci ha ricordato papa Francesco in Fratelli tutti (cfr. nn. 32.54.137). A lui va oggi il nostro sincero ringraziamento per il suo servizio in questi 10 anni, con l’assicurazione della nostra preghiera e della nostra leale disponibilità.

In questa Chiesa di Ischia, che il Signore ha benedetto nei secoli con tanti semi di santità e generosità, abbiamo delle straordinarie potenzialità che siamo chiamati a far fruttificare. L’essere chiesa isolana ci fa sperimentare in modo più intenso la prossimità. La prossimità è un grande punto di forza per un cristianesimo che si incarni nel vissuto quotidiano della gente: una Chiesa di popolo che sa farsi vicina con umiltà e semplicità alle attese e al dolore di ciascuno, come abbiamo sperimentato ancora recentemente per l’immane tragedia che ha coinvolto alcune famiglie nel territorio di Casamicciola. Essere prossimi gli uni agli altri ci fa vivere con particolare enfasi e coinvolgimento gli avvenimenti della vita religiosa e civile, a volte amplificati anche a livello comunicativo. Questa amplificazione può aiutarci a far emergere ancora di più la ricchezza di ciò che unisce, di ciò che rappresenta un patrimonio condiviso, comune.

Qui sta la nostra identità! Un’identità ben radicata nei borghi, nelle frazioni, nei meravigliosi scorci panoramici; ma non per questo un’identità chiusa in sé stessa e autoreferenziale. L’identità isolana non è una identità isolata! Il mare che circonda quasi abbraccia questa meravigliosa isola, perla del Mediterraneo, non può essere visto solo come ciò che separa, tiene distante e, in certe condizioni, rende inaccessibile. Il mare è l’elemento che crea connessione, mette in relazione, permette lo scambio dei doni. Apriamoci sempre a questo scambio! Scommettiamo ancora sull’accoglienza e il dialogo! Questo non toglierà nulla alla nostra millenaria storia, alle nostre tradizioni, anzi le arricchirà e le renderà occasione di arricchimento per noi e per gli altri.

Perché questo sia possibile occorre scegliere il dialogo come stile del nostro essere chiesa, anche quando l’accoglienza della diversità risulta faticosa. Se il nostro stile sarà il dialogo, radicato nell’ascolto e nell’accoglienza, come il cammino sinodale ci sta stimolando, diventeremo più autorevoli e credibili nell’aprirci al dialogo con tutte le componenti della società civile. È questo che possiamo offrire ai rappresentanti delle istituzioni, che saluto e ringrazio per la loro presenza. Potremo così perseguire il comune intento di operare scelte coraggiose e concrete per la promozione della dignità della persona, delle sue condizioni sociali ed economiche. Potremo batterci insieme per la salvaguardia del meraviglioso patrimonio paesaggistico, naturale e artistico che ci è stato consegnato.

Ma l’immagine del mare ci richiama anche alla vastità della missione della Chiesa. Spingendo lo sguardo dal mare verso la linea dell’orizzonte siamo chiamati a superare confini e barriere, soprattutto nel nostro modo di pensare la vita cristiana e di pensarci come discepoli di Gesù. Il Signore ci chiede di essere Chiesa qui, a Ischia, radicati in una ricca tradizione cristiana, che dobbiamo accogliere e custodire fedelmente. Ma la Chiesa va sempre oltre i confini delle nostre esperienze personali e comunitarie. L’orizzonte missionario della Chiesa abbraccia il mondo intero. Siamo chiamati a sentirci Chiesa in comunione con tanti altri fratelli e sorelle di territori, sensibilità e culture così diverse dalla nostra.

La capacità di andare oltre, di attraversare i confini vedendo la linea dell’orizzonte spostarsi più in là, è tipica del credente. Il credente è un uomo, una donna sempre in ricerca. “Cercate il Signore…” ci ha ammonito Isaia nella prima lettura, aggiungendo “mentre si fa trovare” (cfr. Is 55,6). Il Signore va cercato continuamente, con la consapevolezza che si lascia trovare, spesso proprio lì dove non pensavamo.

Chiesa di Ischia, non smettere di cercare il Signore! Lasciati sorprendere da Lui, che si lascia trovare spesso in quei luoghi e in quelle persone che sono ai margini, agli occhi del mondo.

In questo nuovo tratto di strada che si apre davanti a noi stasera, abbiamo un’occasione preziosa che ci viene offerta: il cammino condiviso con la Chiesa sorella di Pozzuoli. È sicuramente una sfida esigente, che ancora chiede una conversione nel nostro modo di guardare e sentire la vita della Chiesa nella sua quotidianità. Ma sarà sicuramente un’opportunità feconda per rilanciare lo slancio missionario di entrambe le comunità diocesane. Siamo chiesa non per noi stessi, ma per annunciare il Vangelo e permettere che esso raggiunga ogni uomo e ogni donna nei nostri territori, nella concretezza della loro vita e del loro sentire. Si tratta di camminare insieme, in autentico stile sinodale, ricalcando le orme degli apostoli insieme a Gesù. Ce lo ha ripetuto tante volte in questi due anni il caro Vescovo Gennaro, a cui ancora rivolgo una parola di gratitudine per la generosità e la passione nel suo ministero apostolico su quest’isola.

Camminare insieme vuol dire saper riconoscere il ritmo dell’altro, saper attendere chi fa più fatica e provare ad agganciare il passo di chi sembra andare più spedito.

Camminare insieme è possibile se il nostro sguardo, libero dall’invidia, riesce a vedere nell’altro una fonte di arricchimento, un dono prezioso da custodire.

Camminare insieme vuol dire riconoscere la diversità delle nostre sensibilità e provare a comporle, seppur con fatica, in una nuova armonia.

Camminare insieme vuol dire avere la pazienza di tessere nuove trame di relazioni e ricucire gli strappi che possono averci allontanati gli uni dagli altri

Camminare insieme, infine, vuol dire essere consapevoli di essere discepoli dell’unico Maestro e gregge dell’unico Pastore. È questa un’esigenza che avverto come vescovo e sento dal profondo del cuore di condividerla con voi, nel giorno in cui ha inizio il mio servizio pastorale nella nostra Chiesa di Ischia: solo se cammineremo insieme potremo dare forma, dare corpo ai sogni che nutriamo per la nostra Chiesa. Solo camminando insieme il nostro annuncio potrà essere credibile ed efficace. Solo camminando insieme sapremo riconoscerci parte di un’unica Chiesa, oltre ogni particolarismo o campanilismo.

Chiesa di Ischia, coraggio! Non aver paura di riprendere questo cammino! Ti assicuro il mio desiderio di impegnare tutte le mie energie per proseguire insieme questo cammino.

Sì, camminiamo insieme!

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