Commento al Vangelo Mt 22,1-14
Con un sincronismo perfetto queste parabole in questo mese sono coincise con la vendemmia, con l’inizio dell’autunno. La parabola di questa domenica parla di una festa, una festa data da un re. Se la vigna ricorda la fatica e la gioia della vendemmia, la festa è qualcosa che abbiamo scritto dentro di noi. Le nostre vite sono ritmate dalle feste. Con questa immagine Gesù ancora una volta vuole parlarci di Dio.
Interessante perché già nell’incipit la parabola che scrive Matteo dice qualcosa di bello, di forte: la partecipazione a questa festa, il voler incontrare il nostro Dio, non è qualcosa di dovuto, non è un obbligo ma è un invito. A volte la chiamata alla festa è passata come qualcosa che dobbiamo per forza fare. Con il “tu devi” abbiamo rovinato la freschezza, la bellezza di questo invito. Gesù ci racconta di un Dio che vuole invitarci alle nozze liberamente, che non costringe. C’è una cosa meravigliosa, vuoi venire? La fede cristiana non è un obbligo, non è qualcosa che dobbiamo vivere per forza perché siamo nati in Italia.
La buona notizia è che Dio è libero e vuole che noi siamo liberi. Però quello che dice la parabola è qualcosa di sconcertante: la stragrande maggioranza degli invitati rifiuta l’invito perché ha da fare altro. Le cose sono quelle che ci rovinano la vita. È impressionate il fatto che la parabola fa anche l’elenco delle cose: devono comprare un campo, si devono sposare, devono fare un affare; noi siamo un po’ così. Avviene anche per noi così: anche se intuiamo che qui c’è qualcosa di bello, che stare con Dio mi rende felice, facciamo una gran fatica a lasciar stare le cose che dobbiamo fare e non riusciamo ad occuparci della nostra anima. E come se noi dicessimo a Gesù: “Prima devo sistemare i problemi, mia figlia, il mutuo, poi quando sarò calmo e tranquillo mi dedicherò a te”. Ma chiediamoci: Possiamo rinviare la nostra felicità? Sant’Agostino lo diceva sempre: “Ho paura di anteporre molte cose a Cristo”. Cosa hai di più importante da fare rispetto a Dio e alla tua anima? Dove sei? Io lo capisco e lo vivo sulla mia pelle: oggi organizzarsi una vita di fede è davvero impegnativo; è difficile mantenere l’appuntamento della messa, è difficile fermarsi quei dieci minuti al giorno per parlare con Dio, è difficile impegnare del tempo nella lettura e nell’ascolto della parola, approfondire una parabola; tutto chiede fatica, allenamento, palestra. Siamo invitati a una festa di nozze, a fare esperienza di Dio, alla sua gioia, non a qualcos’altro. La parabola continua dicendo che quelli che erano stati invitati non sono venuti e per questo motivo il re cambia l’invito, decidendo di chiamare tutti.
È evidente che Gesù si sta riferendo ai capi del popolo e agli anziani che non lo accolgono, lo rifiutano, rifiutano l’invito ad accogliere questo Dio raccontatoci da Gesù. Forse lo stesso Gesù cambia prospettiva. Molti faticavano ad accettare il messaggio. Matteo sta scrivendo il suo Vangelo per una comunità di ebrei convertiti al cristianesimo. Essi fanno fatica ad accettare che persone non ebree entrino nella comunità.
Questo succede anche noi: quelli di dentro, preti, suore, consiglio pastorale, catechisti, operatori pastorali, congreghe, movimenti e associazioni corriamo il rischio di rifiutare l’invito del re perché trasformiamo la festa in lavoro. Il re invita tutti ad entrare; siamo spinti ad entrare anche se non ce lo aspettavamo. Quante volte abbiamo incontrato uomini e donne toccati da Dio anche se non lo cercavano. Che bello tutto questo! Dio ci sorprende proprio perché delle cose non le aspettiamo! Infine, l’ultimo elemento di questa parabola: l’uomo che si presenta alla festa senza l’abito di nozze. L’abito rappresenta non solo la dignità o il rango ma la responsabilità davanti a Dio. Cosa vuol dire questo.
Matteo ci vuol dire e vuole far dire a Gesù che dobbiamo accorgercene di quello che stiamo facendo, dobbiamo capire, accorgerci di quello che stiamo vivendo. L’abito nuziale è lo stupore, è la grandezza di quello che stiamo facendo, è trattare Dio come un Padre; è serio questo amore. Lui ci prende sul serio. Dobbiamo essere responsabili di fronte a questo invito e a questo banchetto! È la responsabilità davanti all’amore che si fa sacrificio. Indossare l’abito (la parola abito ha a che fare con la parola abitudine) significa anche che devo metterci del mio per dimostrare passione per Lui e non mettere Dio sullo stesso piano delle cose che ho da fare.
Che bella questa parabola, non dimentichiamocene i passaggi: siamo tutti invitati e possiamo anche non accettare il suo invito dicendo che abbiamo da fare. Sappiamo però che chi prende sul serio il suo invito ha bisogno di accorgersi sul serio di questa responsabilità e di questo amore perché Dio è misericordiosi sì, ma non stupido e leggero. Concludo queste mie riflessioni con la bellissima preghiera che la Chiesa ci fa ripetere in ogni celebrazione prima di accostarci al Corpo di Gesù: O Signore non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato. Amen!
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Invito alla gioia!
Commento al Vangelo Mt 22,1-14
Con un sincronismo perfetto queste parabole in questo mese sono coincise con la vendemmia, con l’inizio dell’autunno. La parabola di questa domenica parla di una festa, una festa data da un re. Se la vigna ricorda la fatica e la gioia della vendemmia, la festa è qualcosa che abbiamo scritto dentro di noi. Le nostre vite sono ritmate dalle feste. Con questa immagine Gesù ancora una volta vuole parlarci di Dio.
Interessante perché già nell’incipit la parabola che scrive Matteo dice qualcosa di bello, di forte: la partecipazione a questa festa, il voler incontrare il nostro Dio, non è qualcosa di dovuto, non è un obbligo ma è un invito. A volte la chiamata alla festa è passata come qualcosa che dobbiamo per forza fare. Con il “tu devi” abbiamo rovinato la freschezza, la bellezza di questo invito. Gesù ci racconta di un Dio che vuole invitarci alle nozze liberamente, che non costringe. C’è una cosa meravigliosa, vuoi venire? La fede cristiana non è un obbligo, non è qualcosa che dobbiamo vivere per forza perché siamo nati in Italia.
La buona notizia è che Dio è libero e vuole che noi siamo liberi. Però quello che dice la parabola è qualcosa di sconcertante: la stragrande maggioranza degli invitati rifiuta l’invito perché ha da fare altro. Le cose sono quelle che ci rovinano la vita. È impressionate il fatto che la parabola fa anche l’elenco delle cose: devono comprare un campo, si devono sposare, devono fare un affare; noi siamo un po’ così. Avviene anche per noi così: anche se intuiamo che qui c’è qualcosa di bello, che stare con Dio mi rende felice, facciamo una gran fatica a lasciar stare le cose che dobbiamo fare e non riusciamo ad occuparci della nostra anima. E come se noi dicessimo a Gesù: “Prima devo sistemare i problemi, mia figlia, il mutuo, poi quando sarò calmo e tranquillo mi dedicherò a te”. Ma chiediamoci: Possiamo rinviare la nostra felicità? Sant’Agostino lo diceva sempre: “Ho paura di anteporre molte cose a Cristo”. Cosa hai di più importante da fare rispetto a Dio e alla tua anima? Dove sei? Io lo capisco e lo vivo sulla mia pelle: oggi organizzarsi una vita di fede è davvero impegnativo; è difficile mantenere l’appuntamento della messa, è difficile fermarsi quei dieci minuti al giorno per parlare con Dio, è difficile impegnare del tempo nella lettura e nell’ascolto della parola, approfondire una parabola; tutto chiede fatica, allenamento, palestra. Siamo invitati a una festa di nozze, a fare esperienza di Dio, alla sua gioia, non a qualcos’altro. La parabola continua dicendo che quelli che erano stati invitati non sono venuti e per questo motivo il re cambia l’invito, decidendo di chiamare tutti.
È evidente che Gesù si sta riferendo ai capi del popolo e agli anziani che non lo accolgono, lo rifiutano, rifiutano l’invito ad accogliere questo Dio raccontatoci da Gesù. Forse lo stesso Gesù cambia prospettiva. Molti faticavano ad accettare il messaggio. Matteo sta scrivendo il suo Vangelo per una comunità di ebrei convertiti al cristianesimo. Essi fanno fatica ad accettare che persone non ebree entrino nella comunità.
Questo succede anche noi: quelli di dentro, preti, suore, consiglio pastorale, catechisti, operatori pastorali, congreghe, movimenti e associazioni corriamo il rischio di rifiutare l’invito del re perché trasformiamo la festa in lavoro. Il re invita tutti ad entrare; siamo spinti ad entrare anche se non ce lo aspettavamo. Quante volte abbiamo incontrato uomini e donne toccati da Dio anche se non lo cercavano. Che bello tutto questo! Dio ci sorprende proprio perché delle cose non le aspettiamo! Infine, l’ultimo elemento di questa parabola: l’uomo che si presenta alla festa senza l’abito di nozze. L’abito rappresenta non solo la dignità o il rango ma la responsabilità davanti a Dio. Cosa vuol dire questo.
Matteo ci vuol dire e vuole far dire a Gesù che dobbiamo accorgercene di quello che stiamo facendo, dobbiamo capire, accorgerci di quello che stiamo vivendo. L’abito nuziale è lo stupore, è la grandezza di quello che stiamo facendo, è trattare Dio come un Padre; è serio questo amore. Lui ci prende sul serio. Dobbiamo essere responsabili di fronte a questo invito e a questo banchetto! È la responsabilità davanti all’amore che si fa sacrificio. Indossare l’abito (la parola abito ha a che fare con la parola abitudine) significa anche che devo metterci del mio per dimostrare passione per Lui e non mettere Dio sullo stesso piano delle cose che ho da fare.
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Don Cristian Solmonese
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