Dagli Ittiti ai giorni nostri, passando per il Cenacolo
Il valore simbolico del pane, altissimo per noi cristiani grazie all’Eucarestia, non nasce con il cristianesimo. Per esempio, la produzione del grano in Anatolia (nell’odierna Turchia) risale a 10.000 anni a. C. e le popolazioni di quei territori lo macinavano e facevano il pane sin dal Neolitico, cioè dal 8.000 a. C. Il grano e il pane erano considerati sacri in Mesopotamia e gli Ittiti, popolazione dell’Anatolia, producevano oltre 150 tipi di pane.
Nel padiglione della Turchia ad EXPO Milano 2015 c’era un’interessante mostra dal titolo: “Il pane & il grano”, che raccoglieva dipinti e bassorilievi dedicati proprio alla storia secolare di questi prodotti. Ad esempio, un bassorilievo ritrae tre donne ittite che camminano durante una processione religiosa con in mano delle spighe di grano (IX sec. a. C. ).
In un altro bassorilievo è rappresentata una festa in onore di una nobile coppia ittita. I due sposi sono ritratti a tavola e hanno in una mano un calice di vino e nell’altra una pagnotta.
Pane e vino: alimenti simbolo di tante civiltà, simbolo della capacità umana di attuare un complesso e sofisticato procedimento produttivo, grazie al quale si utilizzano processi esistenti in natura (la fermentazione, la lievitazione), guidandoli, controllandoli, calibrandoli con sapienza, per ottenere prodotti d’eccellenza da ingredienti semplici.
Il lavoro che porta al pane è davvero lungo e laborioso. Bisogna arare la terra, prepararla ad accogliere il seme. Poi si semina, si attende che cresca la pianticella, guardando il cielo, temendo le alluvioni, la grandine. Poi si raccoglie, si batte, si trebbia. I chicchi vengono macinati: ecco finalmente la farina, che bisogna conservare in luoghi adatti, asciutti. E finalmente la si impasta, con il lievito e l’acqua. Lentamente, magicamente la pasta cresce: al momento giusto, la si mette nel forno, alla giusta temperatura, per il tempo necessario. Ecco il pane!
Non ci pensiamo abbastanza, noi che andiamo dal panettiere.
Quanto lavoro c’è dietro, quanta sapienza antica: certo aiutata oggi dai macchinari, ma senza l’uomo che sa dosare, che sa calibrare qualità e quantità, il prodotto finale non sarebbe così squisito. Capiamo perché un tempo buttare via il pane vecchio fosse considerato un sacrilegio, un disprezzo verso un bene così prezioso, frutto di un lungo e faticoso lavoro. Il pane avanzato veniva riutilizzato in tanti modi, dando vita a piatti tra l’altro gustosi e ancora oggi apprezzati: la ribollita, la panzanella, la pappa col pomodoro.
Al pane Sant’Agostino ha dedicato un sermone: «Questo pane racconta la vostra storia. E’ spuntato come grano nei campi, la terra l’ha fatto nascere, la pioggia l’ha nutrito e l’ha fatto maturare in spiga. Il lavoro dell’uomo l’ha portato sull’aia, l’ha battuto, ventilato, riposto nel granaio e portato al mulino. L’ha macinato, impastato e cotto in forno. Ricordatevi che questa è anche la vostra storia. Voi non esistevate e siete stati creati. Vi hanno portati nell’aia del Signore, siete stati trebbiati dal lavoro dei buoi: così chiamerei i predicatori del Vangelo. Nell’attesa di diventare catecumeni eravate come grano conservato nel granaio. Poi vi siete messi in fila per il battesimo. Siete stati sottoposti alla mola del digiuno e degli esorcismi. Siete venuti al fonte battesimale. Siete stati impastati e siete diventati un’unica pasta. Siete stati cotti nel forno dello Spirito Santo e realmente siete diventati il pane di Dio».
Pietro Crisologo invece usa la metafora del pane riferendola a Gesù: «Seminato nella Vergine, fermentato nella carne, impastato nella passione, cotto nel forno del sepolcro, condito nelle chiese che ogni giorno distribuiscono ai fedeli il cibo celeste.»
Questi Padri della Chiesa usano immagini di immediata comprensione per i loro uditori: il pane era cibo quotidiano, aveva grande valore nutritivo ma anche simbolico.
«Questo è il mio corpo»: Gesù non ha certo scelto a caso quell’alimento.
di Susanna Manzin – Pane e Focolare