Anche quello abbiamo dimenticato: lo stupore dei bambini, la loro ingenuità, la loro innocenza. Poveri noi, se abbiamo dimenticato i piccoli siamo finiti: senza amore, senza futuro, senza Dio. Un’esagerazione? No. La realtà nuda e cruda. Ricordo ancora il ritornello della canzone di Povia “Quando i bambini fanno oh.” E ancora i versi “tutti i bambini fanno “oh”,/dammi la mano/ perché mi lasci solo,/sai che da soli non si può,/senza qualcuno,/nessuno/può diventare un uomo”.
E mi fermo qui a riflettere come giorno dopo giorno la categoria di persone più trascurata e infelice è proprio quella dei bambini. E la famiglia? È ancora la cellula fondamentale della società? Oggi tutto sembra annullato dalla fluidità e dal cambiamento che ci sta letteralmente snaturando e annientando come persone, educatori, genitori responsabili e credibili. E le vittime di tutto questo sono proprio loro, quelli che ancora sono capaci di dire “Che meraviglia!”, quello che non sanno più fare gli adulti. Eppure, siamo stati piccini anche noi e come sosteneva il poeta Giovanni Pascoli: “C’è in noi un bambino…” E l’unico modo di farlo parlare è la poesia…. Oltre la poesia, direi, il cuore. Solo gente senza cuore può assistere e restare impassibile di fronte allo scempio che si snoda quotidianamente dinanzi ai nostri occhi.
Se ne parla tanto, ma la strage degli innocenti sembra non avere fine. Così, nella realtà quotidiana ci si dimentica proprio di loro, dei piccoli ammassati e dimenticati come cose, lasciati morire nelle stive delle navi dei migranti, o abbandonati nelle periferie degradate e nei quartieri famigerati di città vittime e preda della criminalità organizzata. E come si fa? Lo stato ci prova con la repressione, la prevenzione, ma pare che non ci sia limite al peggio. E poi si interviene sempre troppo tardi, quando ai piccoli non è rimasto un briciolo di speranza, di fiducia in chi avrebbe dovuto prendersi cura di loro. E come fidarsi di adulti che, nelle nostre “civilissime” città, lasciano come cose i figlioletti nelle loro auto, dimenticandosi letteralmente di loro? E che dire di quelli massacrati di botte, o sistemati nella culla con un biberon per una settimana e lasciati morire di fame e di sete? Si è perso ogni senso della misura e del pudore.
Dove sono più i ragazzini che correvano in cortile, nei campetti improvvisati, nelle viuzze secondarie? Una volta era così: i nostri figli dopo i compiti stavano insieme a parlare a giocare lì, all’ombra della parrocchia, sereni, seguiti da tutti. Potevano combinare qualche marachella sì, ma noi mamme ci sentivamo, ne parlavamo, stavamo attente a tutti e al loro comportamento… Il problema di uno era il problema di tutti e lo si risolveva insieme. Certo oggi i piccoli, quelli “normali”, sono seguiti in maniera maniacale, tutto è programmato: scuola, doposcuola, catechismo (forse), palestra, e poi? Chissà, forse pianoforte o equitazione. Ma avranno il tempo di parlare coi genitori? Di confidarsi? Perché poi c’è il famigerato cellulare e tutte le trappole connesse. Loro stanno tranquilli e il papà e la mamma stanno sereni, fin quando non si accorgono di avere accanto uno sconosciuto. E quindi, si va dallo psicologo. Prendiamoci cura dei nostri bambini, sono figli di tutti, sono il nostro futuro, la nostra speranza. Ma la ricordate la canzone di Gianni Morandi “Un Mondo D’amore”?
Semplice ma chiarissima nell’enumerare i comandamenti dell’amore: C’è un grande prato verde /dove nascono speranze /che si chiamano ragazzi Quello è il grande prato dell’amore/ Uno: non tradirli mai, /han fede in te. Due: non li deludere, credono in te. /Tre: non farli piangere, /vivono in te./ Quattro: non li abbandonare,/ ti mancheranno./ Quando avrai le mani stanche tutto lascerai,/ per le cose belle /ti ringrazieranno,/soffriranno per gli errori tuoi.
Educatori sociologi e pedagogisti hanno un bel da fare, soprattutto con gli adulti, perché non è solo la mente delle persone che deve cambiare, ma soprattutto il cuore. Io qualche domanda me la sono fatta e mi sono data anche qualche risposta. Viviamo, purtroppo, in perenne contraddizione con noi stessi: da educatori vogliamo imporre leggi e regole, ma forse siamo i primi a non rispettarle. Sono stata molto negativa vero? Ma la realtà che balza agli occhi è questa, anche se ci sono tante persone di buona volontà che operano in silenzio e con coraggio in tante realtà per consentire ai bimbi più sfortunati di crescere più serenamente. Non ci resta che piangere? No: possiamo pregare e rivolgerci a quel dolcissimo Bambino che il nostro San Giovan Giuseppe della croce stringe amorevolmente tra le braccia perché ci aiuti a riaccendere lo sguardo spento di tanti piccoli, a far rivivere quello sguardo così bello, innocente e limpido di un bambino.