Uno dei partecipanti al sinodo che si sta svolgendo in Vaticano indirizza a Papa Francesco la sua testimonianza.
«Caro Papa Francesco, sono entusiasta del clima che si è creato nel Sinodo. Il metodo seguito permette in modo sincero di raccontarsi, di esprimere desideri e sogni.
Si parte dalle esperienze e non dai principi. È un metodo induttivo che funziona e ha un valore particolare anche per il suo significato teologico, oltre che metodologico. Ci porta, infatti, a leggere le pratiche e i vissuti come abitati dall’opera dello Spirito.
In questi giorni, vissuti tra molto ascolto e incontri, ho notato tutta la fatica che si fa nel rinunciare alle proprie posizioni e alle proprie convinzioni. I vescovi latini non vogliono rinunciare al desiderio della rilevanza dove si insinua la tentazione della riconquista di “territori perduti”, ma anche a un certo modo di intendere il primato petrino che spesso nasconde pigrizia nel gestire con saggezza e competenza situazioni riguardanti le Chiese particolari, senza il bisogno di ricorrere ogni volta a Roma. Gli orientali non sono pronti a rinunciare ad alcuna delle loro tradizioni. I religiosi fanno fatica a rinunciare a una certa esagerata autonomia che spesso rischia di generare una Chiesa parallela, come pure i movimenti e le nuove comunità ecclesiali.
Non si può avere tutto senza rinunciare a niente. Ciò è impossibile e mina alla radice la “profezia” del Sinodo, ma anche il futuro della Chiesa. Come mai, infatti, abbiamo appesantito la Chiesa così tanto? Come abbiamo potuto arrivare al punto di toglierci il respiro? Come mai le nostre Chiese (non la Chiesa) sono diventate la tomba della fede (almeno in Europa che conosco meglio)?
Ho una sola risposta: il Signore ha rinunciato a ciò che aveva di più caro, al “tesoro geloso” della sua divinità, per vivere in mezzo a noi e per non spaventarci. Ha dato tutto per noi, fino all’ultimo respiro compiendo così ogni cosa. In questo modo ci ha mostrato che questa è l’unica via per essere liberi, per correre come la sposa del Cantico dei cantici alla ricerca del suo sposo.
Ma come possiamo correre, gridare a squarciagola il Vangelo se siamo così appesantiti e facciamo fatica a muoverci? Siamo forse ostaggio di una certa obesità fatta di autosufficienza e narcisismo?
Ecco perché credo che la sinodalità ci aiuterà a svuotarci di tante pretese di potere, di tante strutture che appesantiscono la nostra vita.
La sinodalità è una diaconia che permette a ciascuno di fare il suo lavoro, di svolgere il proprio ministero, come permise agli apostoli di predicare la Parola e agli altri di servire i poveri e le vedove.
Nel mio cuore, pertanto, mi porto tante domande a casa, molte di più di quante ne avevo prima di venire qui, ma sento che sono domande capaci di tracciare un cammino e di indicare una direzione, quella del discernimento nello Spirito, che è condizione permanente della Chiesa.
Chiudo con una citazione di Rainer Maria Rilke: «Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e cerca di amare le domande, che sono simili a stanze chiuse a chiave e a libri scritti in una lingua straniera. Non cercare ora le risposte che non possono esserti date, perché non saresti capace di convivere con esse. E il punto è vivere ogni cosa. Vivi le domande ora. Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga, di vivere fino al lontano giorno in cui avrai la risposta».